Una farmacia del ‘700 (V parte)

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A sinistra, vaso ad orcio, in maiolica di Venezia, datato 1565, con manici a serpe, riccamente decorato a trofei, tamburi, scudi ed allegorie relative alla scienza farmaceutica. A destra, vaso ad orcio, in maiolica di Venezia del secolo XVI, con manici a delfini, decorato con il leone di S.Marco entro corona robbiana. Civici Musei d'Arte del Castello Sforzesco - Milano

Una farmacia del ‘700 (V parte)

I guadagni di un farmacista

Si era in giugno e si stava disponendo ogni cosa per la composizione della triaca, che doveva esser pronta per il 23, giorno in cui per consuetudine ogni farmacia veneziana doveva sottoporre pubblicamente la propria triaca all’approvazione del consiglio di Sanità. Tale fabbricazione era assai complicata, dato il numero degli ingredienti che dovevano comporre la droga, ritenuta preziosa dai medici di allora. Ma anche di ciò poco si curavano il vecchio Rigoni e il Migliorati, che lasciavano fare al giovane di farmacia. Parve a questi che mancasse qualche sostanza fra le più necessarie, e infatti durante l’operazione di miscela, che durava parecchi giorni e che seguiva certe regole fisse, si accorse che dal vaso dell’oppio mancavano ben 20 libbre. Egli scese subito ad avvertire il Migliorati; si cercò l’oppio dappertutto, ma invano, e il più attivo nella ricerca fu certamente il giovane che si aggirava per la casa disperato e piangente prevedendo quanto sarebbe accaduto. Mancava pure gran parte della china, ed ecco Giovanni accusato di aver venduto queste sostanze a proprio vantaggio, per quanto potesse apparire assurdo egli ricorresse a tali mezzi, quando, volendo, avrebbe potuto comodamente allungare le mani in bottega, nella cassetta dei denari.

Giunse intanto a Venezia il vecchio suo padre, accompagnato da una nipote e da una serva, la quale pare esercitasse a Valdagno nella farmacia Rigoni la stessa padronanza che sino a poco tempo prima aveva esercitato all'”Aquila nera” la greca Coraffana: scopo del viaggio era per il Rigoni prendersi qualche spasso, e per le due donne conoscere la Dominante. Per non mortificare il vecchio, la diatriba fu messa da parte; ma, appena partito il fratello, Francesco Rigoni fece ricadere più che mai la sua ira e il suo disprezzo sul nipote. Questi allora si ribellò, dichiarando di preferire il misero desco di casa sua alla tavola dello zio sempre corrucciato e sospettoso. Né l’intervento dei parenti, né quello autorevolissimo della Nobil Donna Procuratessa Pisani, dei Pisani di San Polo, valsero a far ritornare nelle grazie della zio il povero Giovanni, il quale, scrivendo di quei giorni, si paragonava al Gratarol, che non aveva trovato a Venezia, alcun valido difensore delle sue ragioni. Né in quella circostanza gli fu di grande aiuto la sorella, la quale non doveva aver mai provato affetti fraterni: aveva il carattere “di una villica e non di una abitatrice di città, ove le femmine hanno un non so che di acume, di penetrante, che non hanno le provinciali“; inoltre ad essa troppo interessava conservare per sé le grazie della zio. Ma quando, morto questo, e più tardi morto il marito, essa rimase senza appoggio, le convenne accettare l’aiuto del fratello che, dimenticando il passato, venne in soccorso della vedova, rimasta nella miseria con sei figlioli.

Giovanni Rigoni lasciò così Venezia e troncò con questa partenza ogni sogno per l’avvenire, se ancora ne nutriva l’animo suo amareggiato. Recatosi a Vicenza, vi soggiornò per tutto quel carnevale e parte della quaresima presso l’eccellentissima famiglia Scrofa, sempre ospitale coi Rigoni. Quindi andò a cercare tranquillità e conforto nella villa di suo zio materno, Dionisio Pedoni, alla Ghellina presso Thiene. E vi rimase fino a tardo autunno di quel 1775. Il paesaggio riposante nella dolcezza delle verdi praterie, che schiudevano un orizzonte vastissimo a levante e a mezzogiorno, mentre a ponente e a settentrione una corona di monti offriva una ridente prospettiva, infondeva una calma benefica nell’animo di Giovanni Rioni, il quale ormai aveva rinunciato a qualsiasi ritorno all'”Aquila nera“, dove lo aveva prontamente sostituito Zuanne Cavalieri da Rovigno, proveniente dalla spezieria “alle Due Colonne” a San Canzian, giovane non troppo capace e assai scarso di istruzione, ma che andò subito a genio al vecchio “spezier” stravagante.

Ma Giovanni dovette finalmente decidersi a raggiungere la cittadina paterna: vi ritornava a malincuore perché intuiva di essere condannato a dimorarvi a lungo, desiderato dal padre che non aveva prestato soverchia fede alla furie del fratello contro il nipote, e che si sentiva vecchio e acciaccato per reggere da solo la farmacia di Valdagno. Ma ogni volta che zii o cognati si recavano a Venezia, a Giovanni Rigoni riusciva di seguirli nella città mai abbastanza rimpianta. Si guardava bene dall’incontrare lo zio: vi visitava piuttosto la sorella e il cognato, dai quali non aveva mai, a dir vero, un’accoglienza molto coriale. Ma pure li compiangeva perché si dibattevano in angosciose difficoltà finanziarie; perciò ogni volta, ripartendo da Venezia, recò seco uno dei nipotini, per aiutare i Marin. Ma tutta la gratitudine dei genitori, dopo un anno di soggiorno del bimbo a Valdagno, parve dimostrarsi col dono di una forma di cacio d’Olanda del peso di sei libbre, che poteva valere al più 9 lire venete. E’ vero che forse non potevano dare di più …

Gli affari non procedevano molto bene nemmeno nella farmacia di Valdagno. Il giovane di negozio, che aveva preceduto Giovanni nella farmacia, aprì una bottega di spezieria, di drogheria, di caffetteria e di lotto pubblico proprio di fronte a quello del suo vecchio padrone, ed ebbe fortuna, con qualche notevole danno per l’azienda dei Rigoni. Pochi conoscevano Giovanni Rigoni a Valdagno, né, triste e sempre col pensiero a Venezia, egli era fatto per intrattenere avventori che non conosceva. Il padre vecchio ottuagenario, indolente e di poche parole, non aveva neppur lui le doti necessarie per far prosperare una spezieria, che a quei tempi aveva un po’ del salotto e un po’ del caffè o del negozio di droghe o dell’antro di un alchimista … e talvolta era una farmacia. Si sarebbe detto che quei vecchi Rigoni erano fatti più per allontanare che per avvicinare la gente alle loro botteghe!

Ma anche il trascurare troppo il fratello di Venezia non pareva politica conveniente al vecchio di Valdagno, il quale invitò l’altro a recarsi nel suo paese d’origine per un certo periodo dell’estate 1777. Francesco finì con l’accettare, e annunciò che avrebbe recato seco la nipote Marianna con una figliola. La piccola comitiva giunse a Valdagno, ma con l’appendice inattesa del signor Fermo Milani, un amico di casa Marin. Questo cavaliere diede argomento a qualche chiacchiera e a commenti maligni nelle botteghe vicine alla farmacia, e specialmente in quella di fronte. Apparve presto la ragione della presenza del Milani; egli passava per prendere alla mano della figliola per darsi maggior agio, in piena libertà, con la madre, di cui era devotissimo cavalier servente. L’accoglienza dei parenti di Valdagno fu cortesissima, “quale si conveniva ad un compartecipe delle facoltà domestiche, alle quali si aggiungevano le speranze per quello che era suo in Venezia“. Però durante quel soggiorno i rapporti fra Giovanni Rigoni e lo zio di Venezia furono assai freddi, come era facile prevedere; lo zio considerava il nipote con “quell’antigenio” che aveva sempre nutrito per lui. E la comitiva nell’autunno si partì senza molti rimpianti di chi l’ospitava.

Ma ecco che il cronista vede sferrarsi contro di lui un attacco in grande stile, il padre e uno zio, frate a Vicenza, facevano conto di trovargli moglie; e cominciò la sfilata dei “partiti“, dove, più che alla bellezza e alla giovinezza, si pensava alla dote. L’ecclesiastico pare fosse uno specialista nel combinare tale sorta di affari; egli infatti presentò tutta una serie di proposte: una Zilio, figlia di mercanti e perciò pratica di faccende di bottega, una Portenari, che avrebbe recato una bellissima dote, una Disconzi, ragazza di casa e di sani propositi. Respinte tali offerte dal principale interessato, lo zio ritornò alla carica: presentò una figlia del signor Giuseppe Bevilacqua, detto “Tagiolo“, da cui riceveva frequenti pranzi, onde il nipote sospettava che la proposta nascondesse la speranza di moltiplicare quei pranzi mercé il vincolo della parentela. Giovanni Rigoni si affretta però ad aggiungere che quest’ultima recava in dote 2000 ducati, il che pare ornasse di qualche attrattiva la sua faccia insignificante, “né bella né brutta, ma sufficientemente passabile per una moglie“. Fallito anche questo tentativo, che però il candidato al matrimonio si compiacque di non rifiutare subito, lo zio ritornò alla carica. La candidata questa volta era figlia di un ricco negoziante di pellami di Verona, il signor Caperle, e recava una dote ancor maggiore: 3000 ducati e un ricco corredo di vestiario.

Ma ormai Giovanni Rigoni aveva 37 anni; era invecchiato d’animo innanzi tempo per le delusioni che gli aveva riserbato la vita, e che temeva di vedere accresciute dal matrimonio. E decise fermamente di non sposarsi: “i fumi della gioventù passati sono; mi compiaccio dunque di aver un poco di cognizione di mondo, visto, goduto un poco di tutto, e per ciò niente potrebbe solleticarmi, o riuscirmi nuovo“.

Ma intanto lo zio Francesco, durante il viaggio di ritorno a Venezia, si era ammalato e poco dopo, giunto a casa, moriva. Suo fratello maggiore giungeva da Valdagno, appena in tempo a cogliere il suo ultimo respiro, e per buona sorte aveva recato seco un gruzzoletto, poiché il vecchio farmacista non aveva neppure lasciato di che fargli un funerale decente. Queste tristi condizioni finanziarie, complicate da certa “pieggeria“, contratta coi coniugi Maracci per consiglio del solito Migliorati, furono forse una delle cause principali dell’inattesa fine del vecchio

Il nipote non si scomodò certo in quell’occasione: fra le righe è anzi possibile intravedere una certa soddisfazione per aver lo zio finalmente pagato il suo tributo a “sorella morte“, e la speranza che ragioni di interesse lo obbligassero ora a ritornare qualche volta a Venezia. (1) …. segue

(1) Bruno Brunelli nel Il Marzocco dal 12 luglio al 27 settembre 1925 https://www.vieusseux.it/coppermine/index.php?cat=25 

Una farmacia del ‘700 (I parte) 

Una farmacia del ‘700 (II parte) 

Una farmacia del ‘700 (III parte) 

Una farmacia del ‘700 (IV parte) 

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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