Ponte Cavallo, sul Rio dei Mendicanti

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Ponte Cavallo, sul Rio dei Mendicanti - Castello

Ponte Cavallo, sul Rio dei Mendicanti. Calle Larga Giacinto Gallina – Campo Santi Giovanni e Paolo

Ponte in pietra; struttura in mattoni e pietre, bande in mattoni. Due mascheroni sono presenti su ciascuno dei lati del ponte. Su un fianco del ponte, al centro dell’arco, tre stemmi in pietra di Provveditori di Comun, sull’altro fianco resti di un leone marciano scalpellato. Sul ponte sono presenti inoltre ben tre capiteli; L’Annunciazione e la Madonna col Bambino (lato Cannaregio), e Maria Regina (lato Castello), bassorilievo in pietra a livello dell’acqua, sulla mensola inferiore è incisa la data MDCXV. (1)

Il nome attuale risale ai primi anni del Cinquecento; prima si chiamava Ponte de la Scuola, per la sua ubicazione accanto alla famosa Scuola di San Marco, una delle sei maggiori Confraternite veneziane, istituita nel 1260 con scopi religiosi e umanitari e fabbricata sul campo dei Santi Giovanni e Paolo: San Zanipolo, il campo più monumentale ed insigne per opere d’arte e per memorie storiche dopo la Piazza di San Marco.

Il Ponte Cavallo prese il suo nome nuovo dal monumento equestre del Colleoni, il solo monumento che l’antica Venezia innalzò nelle sue piazze, perché dal suo ripiano, meglio che altrove, si può ammirare la bellezza dell’opera magnifica specialmente del cavallo che nella eletta fattura d’arte sembra animarsi di un reale soffio di vita.

El zeneral da terra“, Bartolomeo Colleoni, celebre condottiero al servizio della Repubblica, venuto a morire nel suo castello di Malpaga a pochi chilometri da Bergamo, lasciava nel suo testamento alla Serenissima ben centomila ducati d’oro per continuare la guerra contro i Turchi, purché gli fosse eretta una statua sulla piazza di San Marco. Ma il Senato, accogliendo il dono cospicuo, decretava invece che la statua fosse innalzata nel campo di San Giovanni e Paolo dove c’era la grande Scuola di San Marco, conciliando così in qualche modo il desiderio del defunto con il proposito col proposito di non guastare la meravigliosa prospettiva della “più bella piazza di tutta la terra“.

Vennero subito eletti tre patrizi, commissari del monumento, e furono Bernardo Venier, Gabriele Loredan e Nicolò Mocenigo ai quali la Repubblica ordinò di trovare un celebre artista per fare la statua equestre “dil capitanio zeneral, opera somptuosa de bronzo, da motar in questo campo de san Zanipolo a mezo la scuola granda“.

Fu chiamato Andrea Verrocchio, celebre maestro d’arte fiorentino, che venne a Venezia nel 1481 con “uno cavallo naturale de stracie per fare Bartolamio da Bergamo su uno corsiero“, ed egli ne fece il modello, ma venuto a sapere che la Signoria intendeva di non lasciargli fare che il solito cavallo, il cavaliere si diceva l’avrebbe fatto il Bellano di Padova, acceso di sdegno, spezzò la testa e le gambe del cavallo e segretamente se ne tornò a Firenze.

Il Senato lo condannò al bando perpetuo, ma, a mente più riposata, ritornò sulla sua deliberazione e richiamò l’artista. Maestro Andrea, incominciava a raccomodare il suo modello, quando il 23 giugno 1488 fu colto dalla morte, lasciando nel suo testamento la preghiera che l’opera fosse continuata dal suo discepolo Lorenzo dei Credi; ma invece il monumento, per ordine del Senato, fu compiuto dal Leopardi.

Alessandro Leopardi, veneziano, multiforme e possente ingegno, scultore, fonditore, maestro di zecca, architetto, era stato condanato nel 1487 in contumacia a un bando di cinque anni per aver falsificato un documento chirografo in una eredità di tale Marin di Bernardo. Rifugiatosi a Ferrara, la Repubblica cui premeva condurre a termine l’opera cominciata, “perficere equum et statuam“, accordava al Leopardi nel 1490 un salvacondotto e l’artista venuto a Venezia si metteva al lavoro terminando il magnifico monumento dopo quasi, sei anni.

Marin Sanudo nei suoi Diari di una scrupolosa esatezza scrive: “chome a dì 21 marzo 1496, de luni, fo discoverto il cavalo eneo di Bortholamio Coglion da Bergamo, olim (una volta) capitanio zeneral nostro da etrra, posto sul campo da San Zanipolo. Opera bellissima, et tutti la andoe a vedere, et è da saper che il maistro che la fece, chiamato Alwxandro de Leopardo venitiam, oltra molti danari che hebbe da poi compito per il Conselo di Diese, li fo dato di provisione in vita soa ducati cento e l’anno“.

Appare quindi evidente, per quanto a qualcuno piaccia sostenere il contrario, che oltre al compimento del cavallo modellato solo in parte dal Verrocchio, per cui il Leopardi fu dai suoi comtemporanei chiamato “Alessandro dil cavallo” e “de soto la panza di lo cavalo è le tal lettere: Alexander Leopardus F. (fecit)”, l’artista veneziano fece di tutto il suo genio la maschia e ardita figura del Colleoni e il superbo piedestallo di quel monumento che la storia dell’arte ha ormai battezzato “il più bel monumento equeste del mondo“.

Nel 1772 il Ponte Cavallo era quasi in rovina e siccome correva ancora la consuetudine che i ponti dovevano essere riparati dai proprietari delle case adiacenti, c’era lite tra la Scuola di San Marco e i patrizi Foscolo di San Vio e Priuli di Santa Maria Formosa, proprietari delle case al di là del ponte.

Era morto il 2 maggio di quell’anno il Cancellier grande Giovanni Colombo abitante a Santa Maria Nuova, e ai funerali che si divevano fare nella chiesa dei Santi Giovanni e Paolo era accorsa una grande folla di gente, patrizia e cittadina, ma più specialmente di popolo attratto dai regali di cere che, come voleva l’usanza, distribuiva la famiglia del defunto. Finiti gli splendidi funerali alcuni incaricati uscirono dalla chiesa carichi di candele e cominciò la distribuzione.

La folla si accalcava sul ponte che metteva nel campo, quando una parte di esso crollava nel sottostante canale tra le grida e le urla dei caduti. Annegò soltanto una povera vecchia, pure moltissimi furono i feriti e i contusi, ma il giorno dopo, d’ordine del Consiglio dei Dieci, cominciarono i lavori al Ponte Cavallo, la cui spesa fu ripartita egualmente tra la Scuola di San Marco e i patrizi Foscolo e Priuli.

Il 15 maggio 1782 veniva a Venezia il papa Pio VI che ritornava triste e deluso dalla sua missione politica da Vienna. Fin dai tempi antichissimi di Alessandro III nessun pontefice aveva più visitato le lagune, ed è quindi facile immaginare con quale devoto entusiasmo si accogliesse il capo del cattolicesimo. Pio VI rimase a Venezia quattro giorni, ospite del monastero dei Santi Giovanni e Paolo, e l’ultimo giorno, la domenica di Pentecoste, celebrò la messa nella grandissima basilica di San Zanipolo.

Egli aveva avvertito che finita la messa avrebbe dato la sua benedizione al popolo di Venezia raccolto nel campo e per tale cerimonia si era costruita una grandissima loggia dinanzi la Scuola di San Marco, accanto al Ponte Cavallo. Il pontefice uscì dalla chiesa, nel campo e sul ponte una enorme ressa di gente, tra la chiesa e il monumento Colleoni un’orchestra di cento strumentali sotto la direzione del vecchio maestro Galuppi suonava il “Te Deum” dello stesso maestro, alle finestre sventolavano bandiere, damaschi e velluti, il canale era pieno di barche, di gondole, di battelli. Pio VI salì la loggia seguito da senatori, da patrizi, da prelati, da monaci, tacque la musica, un gran silenzio si diffuse nel campo e fu allora che chiara e solenne s’intese la voce del sommo pontefice che benediceva il popolo veneziano.

Di quella funzione gloriosa rimane oggi un ricordo; un grande dipinto di Francesco Guardi conservato nella celebre galleria di Stoccarda, in cui si vede il campo di San Zanipolo con il suo monumento, la chiesa, la scuola, il Ponte Cavallo, il canale la grandissima loggia e dappertutto una folla immensa nei suoi pittoreschi costumi, e nell’alto della loggia Pio VI benedicente la Repubblica nostra, nel suo popolo, neli suoi cittadini, nei suoi patrizi. (2)

(1) ConoscereVenezia

(2) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 25 maggio 1931

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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