Ponte de la Madoneta sul Rio de la Madoneta. Calle de la Madoneta
Ponte in pietra; struttura in mattoni e pietre, bande in ferro a quadri e croci oblique sostenute da colonnine in pietra d’Istria. (1)
Il Ponte de la Madoneta, nella vecchia parrocchia di San Polo, prese il suo nome da un tabernacolo. oggi scomparso, con una immagine della Beata Vergine. Nel trecento il ponte si chiamava anche di “Ca’ Pisani” per alcune case possedute da questa famiglia patrizia in quella località, case che erano e sono tuttora unite da un arco sul quale si scorge ancora lo stemma degli antichi proprietari.
La Madonnina del ponte era molto venerata dagli abitanti della contrada, e il piccolo altare era sempre adorno di fiori e di ceri che venivano accesi ogni sera al suono dell’Ave Maria per circa mezz’ora, e poi durante la notte due “cesendoli” illuminavano la sacra immagine. Venezia nel Trecento era bensì religiosa, ma non mai bigotta e non volle mai permettere “le scuole dei battuti” i cui confratelli si battevano con flagelli e con certi strumenti detti “scopae” che poi presero il nome di “discipline“, ma se proibiva queste forme di degenerazione religiosa non permetteva però ai citadini qualsiasi sfregio contro la religione.
E’ da ricordare il castigo inflitto ad un certo Meiorino Basadonna, un “diabolico spiritu notus“, il quale avendo insultato Dio e la Madonna, sputando sopra una santa immagine, facendola in pezzi e calpestandola, gridando le più nefande bestemmie, fu condannato ad un anno di carcere a pane e acqua, e poi bandito con minaccia di nuovo carcere e nuovo bando se ritornava.
Anche il tabernacolo del nostro ponte toccò in quegli anni, una simile vicenda, e lo racconta Marin Sanudo nelle sue “Vite dei Dogi“, abitava a San Polo un tale Zuane Maioni, orefice all’insegna del “Gallo” a San Giovanni Elemosinario, il quale spinto da un infame impulso sacrilego nella sera del 20 novembre 1364 abbattè con un bastone le candele accese e non solo bastonò la sacra immagine, ma non ancora contento con un piccolo coltello la colpiva due volte al petto. Arrestato da alcuni popolani che passavano per il ponte, fu consegnato alla pattuglia dei Signori di Notte, gli venne subito fatto il processo e fu condannato ad essere frustato con venti colpi di staffile proprio sul ponte dinanzi alla Madonetta che aveva così empiamente colpito e a cinque mesi di carcere nella prigione “Orba“.
La sentenza fu eseguita il 25 novembre, e Zuane Maioni fu condotto ai piedi del Ponte de la Madoneta, e fattolo inginocchiare dinanzi all’altare ricevette sulle spalle e sul dorso nudo le venti “scuriade“, poi tutto sanguinante e barcollando riprese la via del ritorno verso le prigioni del Palazzo Ducale, ma giunto a Rialto, presso la ruga di San Giovanni Elemosinario, dalla folla di popolo assiepata al suo passaggio cominciarono a volare dapprima frutta guasta e torsoli di cavolo, ma poi principiarono i sassi e il piccolo corteo di fanti che si raggruppava intorno al condannato dovette chiamare in soccorso la guardia dei Camerlenghi contro l’ira popolare verso il malfattore sacrilego. A stento Zaune venne imbarcato sulla “Riva de le Prigioni“, accanto al Ponte di Rialto, sopra una barca del Consiglio dei Dieci, e tutto pesto, contuso e coperto di sangue condotto nella carcere “Orba“.
Circa trent’anni dopo sul Ponte de la Madoneta “ad Pontem Virginis Mariae, in contrada san Polo“, narrono le antiche Raspe, specie di protocollo in cui si registravano le condanna, sier Andrea Dandolo uccideva il giovane patrizio Andrea Bragadin per gelosia di donne: la causa del delitto era stata una tale Marietta “qual stava a san Zan Degolà al traghetto per mezo san Marcuola“, sier Dandolo appena compiuto il misfatto aveva presa la fuga, e noleggiata una barca a Santa Sofia si era fatto condurre a Mestre, avviandosi in fretta e furia verso il confine, mentre il Consiglio dei Dieci “lui absente” lo condannava a bando perpetuo con la grossa taglia di ducati ottocento a chi lo avesse ucciso o consegnato alla giustizia di San Marco.
L’altarino del nostro ponte divenne nella sera del 5 agosto 1582 testimone di un nuovo delitto sebbene senza conseguenze mortali: due monache converse del convento del Santo Sepolcro sulla Riva degli Sciavoni, venivano leggermente ferite, l’una sulla testa, l’altra ad un braccio; il feritore un tale Domenico Rossi, da Cividale nel Friuli, riusciva a fuggire, ma venne bandito dal Consiglio dei Dieci con la confisca sui beni di sua proprietà di mille ducati a favore del monastero del Santo Sepolcro.
Alla caduta della Repubblica la Madonnina del ponte fu da un fanatico demagogo, tale Zanetto Bocca abitante a San Polo, bersaglio di alcune frutta guaste, ma il governo democratico di allora pose tutto in tacere, anzi tolse la Madonetta e distrusse il piccolo tabernacolo non più adatto, si diceva in quei giorni, allo spirito innovatore dei nuovi tempi.
Il ponte fu rifatto e fu allargato in base al famoso progetto di “sventramento” (nobile parola per esprimere una nobile idea, diceva Pompeo Molmenti) della città di Venezia. E il nefasto proposito ebbe luogo con la costruzione di un lungo ed oscuro sottoportico per allargare la calle che dal ponte conduce al Campo San Polo (*); sottoportico gemello di quell’altro che adorna la Calle de la Bissa e che al dire di qualche intelligente veneziano agevola il passaggio e abbelisce la città.
Così il nostro Ponte de la Madoneta, ricordo di quella tale “Virginis Mariae” che lo adornava, ha preso la sua sistemazione definitiva, e potrà dormire i suoi sonni tranquilli sullo stretto canale che attraversa da tanti secoli. (2)
(*) Nel 1927 venne posto nel sottoportico un’altarino (capitèło) con una copia della Madonna trecentesca posta all’esterno della Scuola di San Giovanni Evangelista
(1) ConoscereVenezia
(2) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 9 gennaio 1933
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