Il Redentore, il voto e la scelta del luogo nell’Isola della Giudecca

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Chiesa del Santissimo Redentore - Isola della Giudecca

Il Redentore, il voto e la scelta del luogo nell’Isola della Giudecca

Venezia nell’agosto del 1576 presentava l’aspetto macabro di una città in cui trionfava la morte, la peste falciava le vite senza misericordia e spesso in una sola giornata erano più di quattrocento i morti che sui roghi venivano bruciati o nel carnaio comune erano distrutti con la calce viva.

Il doge Alvise Mocenigo, la Signoria e il Senato in tanta sciagura non vollero mai abbandonare la città e visto che tutti gli sforzi per arginare il morbo erano inutili, pensarono di rivolgersi a Dio, unica speranza che rimanesse in quel secolo in cui era ancora viva e profonda la fede.

Nella memoranda giornata del 4 settembre, si raccolse il Senato e tra il silenzio generale sier Antonio Bragadin proponeva e subito si deliberava a voti unanimi “che il Serenissimo Principe nostro con li Magistrati et tutti li altri di questo Consiglio, con la veste che portano ordinariamente, debbano andar li giorni prossimi, zuoba venere e sabbato, nella chiesa nostra di san Marco, dove doppo udita la Messa, sia fatta ogni giorno processione portando il Santissimo Sacramento et pregando Dio dal Presente flagello et il sabbato, giorno di nostra Donna, finita la processione, debba il Serenissimo per nome pubblico far voto a sua divina Maestà, che si edificherà una chiesa a laude et gloria sua, intitolata al Redentor nostro et ch’ogni anno, nel giorno che questa Città sarà libera dal presente contagio, sua Serenità et li suoi successori anderanno solennemente a visitare la predetta chiesa a perpetua memoria del beneficio ricevuto“.

Difatti nel sabato, era l’otto di settembre, il terzo giorno del famoso triduo deliberato dal Senato, si recò in processione non già il Santissimo Sacramento come negli altri due giorni, ma la miracolosa immagine della Madonna Nicopeia e prima che cominciasse la Messa il Serenissimo Alvise, ritto presso l’altare maggiore, circondato dalla signoria e dai gonfaloni dogali, recitò il voto con voce chiara e ferma, mentre i patrizi, i cittadini e il popolo stavano genuflessi sotto le volte dorate del magnifico tempio. “Finita la cerimonia si cominciò la Messa, quale fu cantata musicalmente“.

Fosse il voto o più probabilmente la stanchezza del flagello, il 22 ottobre il Senato scriveva al suo ambasciatore a Roma: “Le cose della peste in questa città sono hormai talmente migliorate, che si troviamo in bonissimo termine et, con l’aiuto di Missier Dio, speriamo in breve di molto meglio“. La speranza non fu delusa e venivano eletti i due senatori Agostino Barbarigo e Antonio Bragadin a Provveditori sopra la fabbrica della nuova chiesa, ordinando loro “che andassero venendo per tutta la città i luoghi giudicati opportuni” per l’erezione del tempio votivo.

Il 22 novembre “parendo hormai la peste havesse perduto le forze et esserle venute a meno le saette“, vennero presentate in Senato tre località prescelte: accanto al monastero della Croce sull’attuale area occupata dal giardino Papadopoli a Santa Croce, sul terreno “del taia piera dil nobile sier Lazaro Mocenigo nel campo di San Vidal sora il Canal grande“, il terzo luogo era “su uno grande orto” quasi al centro dell’isola della Giudecca, vicino al piccolo “romitorio” dei Padri Cappuccini.

Dopo una lunga e vivace discussione, rimase scartata la località della Croce, sier Paolo Tiepolo parlò in favore di San Vidal, dove i padri Gesuiti avevano presentato un progetto di collegio per i nobili, ma si oppose sier Leonardo Donà e con eloquenza brillante e persuasiva dichiarò trattarsi di una chiesa e non di un collegio e che il tempio alla Giudecca affidato ai Cappuccini, “quali haveano disprezzo delle cose terrene et haveano per leze penitentia e preghiera” davano affidamento vero e sincero della completa affermazione del voto.

Così fu e il terreno sul quale doveva sorgere il nuovo tempio rappresentava una larghezza di circa trentacinque metri e quasi cento di lunghezza e tra i progetti presentati fu scelto quello del Palladio che aveva in Venezia già fabbricato San Giorgio Maggiore e la imponente facciata di San Francesco della Vigna.

Dopo quindici anni la magnifica chiesa, del Redentore era compiuta ed era costata centomila ducati. (1)

(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 20 luglio 1930.

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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