Pasquale Cicogna. Doge LXXXVIII — Anni 1585-1595

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Sala dello Scrutinio. Jacopo Robusti detto Tintoretto. Ritratto di Pasquale Cicogna

Pasquale Cicogna. Doge LXXXVIII — Anni 1585-1595. (a)

Concorrevano al principato Vincenzo Morosini e Pasquale Cicogna, i meriti dei quali fecero tenere per alquanti giorni indecisi gli elettori. Rinunziato spontaneamente il primo, ed anzi, perorato in favore dell’emulo, veniva il Cicogna eletto doge, il di 18 agosto 1585, però con poca soddisfazione del popolo che desiderava il Morosini. Religiosissimo Pasquale, erasi raccolto intanto, come suo costume. nella chiesa dei Crociferi ad orare, e colà ricevette l’annunzio del suo esaltamento.

Trovava egli la Repubblica in profonda pace, la quale tornava tanto più desiderata, in quanto che l’Europa era allora agitatissima, e massime Francia e Spagna, quella per la guerra intestina contro gli Ugonotti, e questa per la sua ambizione di monarchia universale, onde preparava qui e qua discordie, e navi e armi contro Inghilterra. Quindi scene di sangue accaddero da far inorridire gli animi più austeri, bastando per tutte accennare la strage di S. Bartolomeo, la cruda morte della innocentissima Maria Stuarda e l’assassinio di Enrico III di Francia.

In mezzo a tutte queste commozioni, la Repubblica si tenne forte nel suo sistema pacifico, nè s’interpose che per mezzo della diplomazia; sicché rifiutò costantemente le proposte fattele, e gli eccitamenti, fra gli altri, di una lega contro i Turchi. Anzi, a cagione degli Uscocchi, che non cessavano di scorrere i mari, procurava, col mezzo della Baffo, figlia del governatore di Corfù, che presa dai pirati e trasmessa al serraglio del sultano, esercitava sul suo animo grande potere; procurava, dicemmo, di rinnovare il trattato di pace: il che avvenne il 20 dicembre 1595, per lo quale si stabiliva: rimanesse Parga alla Repubblica; fossero sicuri i mari ed il commercio; s’inviassero alla Porta i pirati presi, onde ne facesse ella giustizia; pagasse la Signoria per Zante millecinquecento zecchini; confermati i patti dell’ultima pace statuita con Selim II.

Ed a motivo appunto della piena tranquillità goduta allora, diede mano sì la Repubblica, e sì i particolari ad abbellire con nuove e stupende opere la città. Delle quali, toccando di volo, per ordine eronologico, accenniamo. L’erezione del campanile di S. Giorgio dei Greci, murato dal 1587 al 1592 dall’architetto Bernardino Ongarin. Si decretava nel 1588 e si compiva nel 1591, il ponte di Rialto per opera di Antonio Da Ponte, e l’anno stesso fabbricavasi la chiesa di S. Francesco di Paola. Oltre che le varie opere di risiamo e di abbellimento nel Palazzo ducale, si eresse, da Bartolomeo Manopola, assistito da Antonio da Cittadella, nel cortile dello stesso Palazzo, nel 1589 e seguenti, la facciata dell’orologio; e l’anno dopo, si rifabbricava la chiesa di San Maurizio. Ma il seguente fu memorabile, per la costruzione dei grandi quartieri del Lido, a cui ricordare si coniò una medaglia; per la grandiosa fabbrica delle prigioni, architettate da Antonio Da Ponte, e per la fondazione della chiesa e del cenobio dei Tolentini, innalzata la prima col disegno del Palladio, alterato in parte dallo Scamozzi. A prevenire le irruzioni dei Turchi nel Friuli, la Repubblica, nel 1592, innalzava la fortezza di Palma Nova; ed a Venezia nell’anno stesso riedificavasi la chiesa di S. Lorenzo, sul modello di Simone Sorella. Si trasportava, l’anno dopo, all’Angelo Raffaele il pio luogo del Soccorso, erigendosi la chiesa; e finalmente nel 1594, si rinnovava la cattedrale di S. Pietro di Castello, a memoria di cui coniavasi una medaglia. A tutte queste opere conviene aggiungere, la curata continuazione delle fabbriche della Libreria e delle Procuratie, e la muratura ed allargamento della via bordeggiaute la laguna al nord, detta le Fondamente nuove.

Retta la Repubblica doge Cicogna quasi due lustri, veniva a morte il 2 aprile 1595, e veniva lodato in funere da Enea Piccolomini sanese, giusta il Sansovino, e deposto nella chiesa dei Crociferi, ove otteneva dalla pietà di Pasquale Cicogna, suo nipote, monumento nobilissimo (b).

Durante il ducato di lui, cioè nel 1594, fu desolata Candia dalla peste, dalla quale perirono da circa ventiseimila abitanti nel corso di sei mesi; tanta fu la sollecitudine del Senato, e lo zelo di Giovanni Mocenigo, provveditore generale di quel regno, di Girolamo Cappello, duca, di Filippo Pasqualigo, capitano, e dell’arcivescovo Lorenzo Vitturi, che fu riparato ai bisogni in ogni maniera. Venezia pure sofferse gravissima carestia nello stesso anno, anche questa menomata dalla provvidenza solerte del Senato.

Nel periodo stesso si crearono parecchi magistrati, e sono 1.° i tre Provveditori sopra l’Adige, instituiti, per decreto 5 gennaio 1580, dal Maggior Consiglio, onde vigilassero a conservare la navigazione di quel fiume; magistrato che, nel 1677, ebbe nuova forma. 2.° Nello stesso anno furono eletti i due Sopraintendenti alle decime del clero, per provvedere ai disordini, alle confusioni ed alle difficoltà che erano insorte nello esigerle. 3.° L’anno dopo, si decretò dal Senato la istituzione di tre nobili, col titolo di Provveditori sopra feudi, il cui incarico fu di esaminare le istanze dei sudditi, che domandavano le investiture di feudi, o la rinnovazione delle antiche. 4.° I tre Provveditori alle artiglierie, si costituirono nel 1589, onde sopraintendere all’esercizio degli artiglieri e delle cose relative. 5.° Finalmente, nel 1590, fu sostituito all’unico provveditore, il Magistrato dei Ire Provveditori sopra il bosco del Montello, per la conservazione ed il buon ordine del bosco stesso.

Il ritratto del Cicogna, che é l’ultimo dipinto dal Tintoretto, reca l’iscrizione seguente:

BELLO VNMQVE FERVESCENTE, PACEM SERVAVI, ET EX SVBLICIO RIVOALTI PONTEM COMPLEVI. CARCERVM FORTIA, PROCERVMQ. TECTA AMPLIAVI : PALATIONES VRBIS, ET PALMAE FVNDAMENTA IECI. (1)

(a) Dai lidi vicini, come scrive il Frescot, passò a Venezia a por stanza la famiglia Cicogna, ed esercitò la professione aromatario. Nel 1381, avendo Marco Cicogna, in occasione della guerra di Chioggia, offerto alla Repubblica sé stesso con un suo famiglio, dodici balestrieri da lui stipendiati, quattromila lire circa dei grossi, ed un suo naviglio, dopo la guerra stessa, fu ascritto con tutta la sua discendenza al Maggior Consiglio. Innalzò quindi per arma una cicogna d’argento in campo azzurro. Pasquale Cicogna poi nacque nel 1510 da Gabriele e da una dama di casa Manolesso. Dei suoi primi anni e delle cariche minori conseguite non reca memoria il Coppellari; il quale ricorda solo, che dopo di avere Pasquale sostenuto il rettorato di Retimo, veniva, nel 1564, eletto podestà e capitano di Treviso. Poi fu mandato duca in Candia, ed appresso venne eletto capitano generale nell’isola stessa, e provveditore generale alla Canea; nelle quali magistrature seppe ottimamente contenersi, cacciando i Turchi nemici, e comprimendo i Greci ribelli, sicché meritò che quei popoli gli erigessero una statua sulla pubblica piazza. Dopo la guerra di Candia, fu, nel 1576, podestà di Padova; poi sostenne la dignità di savio grande, e il dì 24 dicembre 1583 conseguì la stola procuratoria de citra, in luogo del defunto Marco Grimani, fino a che veniva, due anni dopo, assunto al principato, come sopra notammo. Condusse a moglie una figlia di Marcantonio Morosini, dalla quale però non ebbe prole, e fu di vita sì religiosa, che mori in odore di santità, come dice l’inscrizione sepolcrale. È celebre il prodigio che si narra a lui succeduto, la memoria del quale é pur ricordata nella stessa inscrizione. Oltre al ritratto superiormente accennato, é espresso il nostro doge in due quadri collocati nella sala del Pregadi. Il primo, dipinto da Tomaso Dolabella, che lo rappresenta in atto di adorare l’Eucarestia, fu inciso ed illustrato alla Tavola XCVII. Nel secondo, operato da Jacopo Palma Juniore, si vede in orazione davanti il Salvatore, intorno ai quale leggasi l’illustrazione della Tavola XCI.

(b) Il magnifico monumento eretto ad onore del Cicogna da suo nipote, che prima della rifabbrica della chiesa odierna dei Gesuiti era collocato sulla porta che mettevo nel chiostro, allora dei Crociferi, come ricorda il Martinioni, si vede adesso nella cappella maggiore in cornu evangeli. Ne fu architetto Girolamo Campagna, ed il prospetto si costituisce di tre intercolunni; uno maggiore nel mezzo, e due minori sui lati. Le quattro colonne, che li spartiscono, sono di ordine composito, con piedistallo ornato. Nell’intercolunnio centrale, si apre, fra i piedistalli, una porta per cui sì entra nella sagrestia. Sopra la cornice di essa porta vi è un gran cippo che sostiene l’urna, su cui é distesa la statua del doge in munto ducale. La statua é opera dello stesso Campagna. L’urna e le quattro colonne, di tutto tondo, sono di marmo nero, bianco finissimo; tutto il resto é di pietra istriana. Nel cippo, sotto l’urna, si legge l’inscrizione seguente, e fra i due minori intercolunni, sono inseriti trofei, sotto e sopra dei quali si leggono i quattro motti che qui pur diamo, allusivi ad altrettanti fatti della vita del principe estinto.

PASCHALI CICONIAE VENETIARVM PRINCIPIS MEMORIAE SEMPITERNAE QVI POST REMP . DOMI FORIS E DIGNITATE SAEPIVS ADMI NISTRATAM POST CRETENSEM INSVLAM CVI PER DECENNI VM SVMMO CVM IMPERIO PRAEFVIT IN NAVALI AD ECHINA DAS PRAELIO INCOLVMEM RESERVATAM QVA CAVSA CYDO NES ILLI STATVAM IN FORO E.C. PATRIAE SVAE TANDEM PRINCEPS MIRA OMNIVM CONSENSIONE CREATVS EAM PARITER PER DECENNIVM TANTA ASSIDVITATE ET DILI GENTIA GVBERNAVIT VT DE EIVS COMODIS ATQ . VTILI TATIBVS NON PRIVS FINEM FECERIT QVAM ANIMAM EFFLAVERIT, ET AD SVPEROS CVM DIV AETERNITATI SVAE INTERFVISSET NON SINE OPINIONE SANCTITATIS EVOLAVIT . OBIIT DIE II APRILIS MDXCV . AETATIS SVAE ANNO LXXXV MENS . X . DIE XXV. PASCIIALIS CICONIA EX FRATRE NEPOS MAESTISS .P.C. VELVT ALTER SYMEON MANIBVS CHRISTVM EXCEPIT . ET VELVT ALTER DAVID CRETAE IN BELLO . PATAVIO IN PESTILENTIA ET PATRIAE IN FAME PRAESTO FVIT

(1) Il Palazzo Ducale di Venezia Volume IV. Francesco Zanotto. Venezia MDCCCLXI

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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