La festa del Primo Maggio, al tempo della Serenissima

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Mura esterne dell'Arsenale. Portale della demolita chiesa di Santa Maria delle Vergini (Verzeni). Setsiere di Castello

La festa del Primo Maggio, al tempo della Serenissima

La chiesa ed il convento delle Vergini sono oggi scomparsi, ma nel 1226 dopo tre anni dalla loro costruzione tanto la chiesa dedicata alla Vergine quanto il convento di monache Agostiniane erano in grande rinomanza nella città. Il doge Pietro Zani con le sue ricchezze ed il papa Gregorio IX con le sue indulgenze concorsero alla grandezza ed alla fama del tempio e del monastero, anzi il doge volle che emtrambi fossero, a titolo di onore, sotto l’alto patronato ducale.

A convalidare questo diritto la Signoria decreteva dapprima che ad ogni elezione di una nuova badessa il doge dovesse recarsi al monastero per darle la solenne investitura con il simbolo di un prezioso anello d’oro, ma poi si stabiliva che ogni anno, nel primo giorno di maggio, principe e Signoria si recassero in gran pompa al monastero.

Difatti verso nona di ciascun calendimaggio l’augusto corteo usciva dal Palazzo e, sui soliti peatoni dorati e pavesati a festa, si recava alle Vergini dove, ascoltata la messa, la madre badessa coperta di un ricco mantello di seta bianca offriva al doge un mazzo di fiori con il manico tutto d’oro e circondato di finissimi merletti veneziani.

Il cavaliere del doge, maestro delle cerimonie, incaricato cortesemente dalle religiose, distribuiva poi altri mazzi di fiori, alquanto meno ricchi, al vescovo, al nunzio apostolico ed ai maggiori personaggi del seguito mentre le campane suonavano a gloria in quella gaia festa di sole, di colori, di profumi.

In quella mattinata anche le maestranze dell’Arsenale, che confinava con il monastero delle Vergini, lavoravano poco. Al primo annuncio dell’arrivo del doge, e l’annuncio veniva dato dal cannone del castello di Sant’Andrea, i “patroni” radunavano gli operai e nei loro panni da fatica erano condotti ad ammirare lo spettacolo, facendo così il lavoro lieta corona alla simbolica festa religiosa.

E quando il doge, finita la funzione, montava nei peatoni che dovevano ricondurlo a Palazzo, le maestranze prorompevano in un alto grido di gioia: Viva San Marco! e l’eco di quel grido così sincero e così vero, gridato dirimpetto al porto del Lido, usciva superba nel golfo, nel golfo glorioso della grande Repubblica.(1)

(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 1 maggio 1924.

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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