Ponte del Cristo, sul Rio de Santa Marina

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Ponte del Cristo, sul Rio de Santa Marina - Castello

Ponte del Cristo, sul Rio de Santa Marina. Calle del Cristo – Fondamenta de le Erbe

Ponte in pietra; struttura in mattoni e pietre, bande in ferro a cuori rovesciati con volute. Su un fianco del ponte, al centro dell’arco, tre stemmi in pietra di Provveditori di Comun, sull’altro fianco resti di un leone marciano scalpellato. (1)

Il Ponte del Cristo a Santa Marina, caratteristica confluenza di tre canali su cui prospetta un gruppo interessante di palazzi: a destra il palazzo Marcello Pindemonte dalla ricca e poderosa facciata attribuita a Baldassare Longhena, a sinistra il palazzo Dolfin archiacuto, costruzione del secolo decimoquarto, all’angolo dei due rii il palazzo Pisani fabbrica gorica quattrocentesca, dirimpetto il ponte scendendo sulla Fondamenta de le Erbe (o Sanudo) il palazzo Soranzo, ora Barozzi.

Il ponte si chiamava nel Cinquecento di Santa Marina per la vicinanza della chiesa omonima, ma prima era chiamato il Ponte del Cristo, nome che gli venne ridato nel 1820 quando fu distrutta la chiesa e che conserva anche oggi in memoria di un Cristo che si diceva miracoloso, il quale sorgeva in un tabernacolo nella calle attigua.

Era un Cristo regalato, o comperato che sier Gasparo Dolfin aveva portato dai suoi viaggi in Oriente che faceva due volte all’anno per ragioni commerciali, e ritornato a Venezia ordinava di fabbricare nella calle adiacente alla sua casa “uno capitello di marmoro fino” e vi aveva messo il Cristo “cum doi cesendoli” che venivano accesi al tramonto e si spegnevano al mattino.

Il 2 dicembre 1286, racconta una antica tradizione, nella calle stretta passava una povera vecchina; la neve cadeva a falde, il freddo era intenso e la neve appena caduta si ghiacciava creando al passeggero delle strade impraticabili. La vecchietta giunta dinanzi al’altare si fece il segno della croce, ma in qual momento diede uno sdrucciolone e sarebbe malamente caduta, se una forza strana e misteriosa non l’avesse sostenuta rimettendola in equilibrio. Subito i suoi occhi guardarono istintivamente il Crsito e le parve che questi le sorridesse, gridò allora al miracolo.

Intorno alla vecchia si fermò qualche raro passante, ma la notizia, anche con quel tempo orribile, cominciò a divulgarsi per la città. Dapprima furono pochi che andavano a pregare davanti il Crocefisso con l’offerta di qualche candela, ma poi col cessare della neve e del gelo furono molti e l’altare del Cristo era sempre adorno di piante e di fiori, sempre illuminato, e non c’era patrizio o cittadino che passando per la calle non facesse la sua offerta in denaro o in qualche oggettino d’oro e d’argento.

Per lunghi anni imperò sul ponte e sulla breve calle il nome del Cristo, ma dal 17 luglio 1509, quando Padova venne riconquistata da Andrea Gritti, provveditore, e da Nicolò Pasqualigopatron” dell’Arsenale, contro le armi dell’imperatore Massimiliano, tale fu l’entusiasmo a Venezia per quella vittoria che il giorno di Santa Marina, in cui era accaduto il lieto avvenimento fu proclamato festivo per la Dominante. Così anche il ponte e la calle presero il nome di Santa Marina e in quel giorno il doge, col suo splendido corteo, si recava nella chiesa dedicata alla santa in ringraziamento della vittoria ottenuta.

Il dose andava in funzione” preceduto dagli otto stendardi di seta, due bianchi, due rossi, due azzurri, due verdi, dalle sei trombe d’argento, dai pifferi, dagli scudieri, dal cavaliere ducale che aveva alla sua dritta il capitano grande e alla sinistra lo scalco maggiore, il chierico di sua Serenità con un candelabro d’argento e seguivano i canonici di San Marco, i Segretari del Senato, i cancelieri inferiori e il Cancelliere grande, infine veniva il doge dal manto di broccato d’oro e dietro a lui tutte le autorità maggiori della Repubblica.

Nella chiesa cominciava la funzione, e nel campo la sagra, che si spandeva per tutta la contrada e il Ponte del Cristo, allora chiamato di Santa Marina, ed era tutto un festoso sventolio di bandiere, di festoni, di drapponi dipinti che ricordavano gli episodi della guerra padana.

Caduta la Serenissima la chiesa di Santa Marina da parrocchiale divenne succursale di Santa Maria Formosa, ma nel 1818 fu chiusa al culto, devastate le tombe, trafugate pitture e sculture, colati reliquiari d’oro e d’argento, e poco dopo ridotta a spaccio di vino. Un curioso particolare, narra il Cicogna nei suoi Diari manoscritti; dove prima si celebravano le funzioni divine, dove la fede esaltava il dogma cristiano, andavano e venivano gli inservienti della “malvasia” gridando: “Un boccal a la Madona! Un quartuzzo al Santissimo! Un goto a santa Marina!” secondo che i bevitori erano seduti presso la profanata cappella della Madonna, o a quella del Santissimo o presso l’altare di Santa Marina.

In Calle del Cristo vicino al ponte, abitava e venne a morte Giovanni Bellini, figlio naturale di Jacopo e fratello di Gentile, il mistico pittore di Madonne tutte soavità, pervase da un infinito sentimento di umana dolcezza.

Sul Ponte del Cristo il celebre pittore ritornava alla sua casa la sera del 12 settembre 1485 in compagnia di un Federico di Nicolò, sensale di drappi al fondaco dei Tedeschi, e di sua moglie Andriana. Sul ripiano del ponte il Federico incontrava un tale Zuane, drappiere, il quale per gelosia di mestiere gli diresse alcune parole d’insulto e sembrava cercasse anche di ferirlo. Data querela all’Avogaria, Zuane veniva condannato ad un solo mese di carcere e ciò sulla testimonianza del buon Giovanni Bellini che aveva cercato di mitigare la colpa del bollente drappiere.

Marin Sanudo nei suoi Diari racconta che il 29 novembre 1516 “se intese esser morti Zuan Bellin in contrada santa Marina, optimo pictor, havia anni otantasie, la cui fama è nota, depenzava per excellentia; fo sepolto a san Zanipolo in la soa archa dove etiam è sepulto Zentil Bellin suo fratello“. I funerali gli furono fatti dalla Scuola grande di San Marco di cui era confratello, e il cataletto su cui posava il sommo artista portato a spalla, era seguito dal Tiziano, il prediletto allievo del Bellini, quando nella bottega belliniana aveva cominciato i primi passi nella sua grande arte immortale.

Il Ponte del Cristo venne restaurato parecchie volte, e rifatto del tutto nel 1852 allargandolo nel suo ripiano e più tardi gli furono messe le solite spalette di ferro. Nel 1862, sparì il tabernacolo e il famoso Cristo che stavano da secoli nella calle e che avevano dato il loro nome attiguo ponte, e più nulla si seppe di quel cimelio, il Cristo crocefisso, che risaliva al tredicesimo secolo, quando sier Gasparo Dolfin lo portava a Venezia dai suoi viaggi d’Oriente “fatti per razon di marchantia qual era stata per Venetia il fondamento di la soa grande richezza“. (2)

(1) ConoscereVenezia

(2) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 11 dicembre 1933

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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