Il corno dogale

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Corno dogale di Francesco Morosini, il Peloponnesiaco (Venezia, 26 febbraio 1619 – Nauplia, 6 gennaio 1694). Museo Correr

Il corno dogale

Racconta la tradizione che il doge Pietro Tradonico nella sua prima visita al monastero di San Zaccaria, avvenuta nell’anno 855, ricevesse in regalo dalla badessa Agostina Morosini un diadema, volgarmente chiamato “Corno ducale“, tutto d’oro e magnificamente gemmato, ma nessuna cronaca lo afferma e la notizia rimane sempre quale leggenda.

Nei primi tempi i dogi portavano il “birettum” o berretto ducale, chiamato anche “zoja” per la ricchezza del tessuto e delle gemme, alto e rotondo con tre perle alla sommità. Poi il berretto fu compresso nel mezzo e così modificato prese con altre varianti, alla fine del 400, la forma ed il nome del famoso Corno dogale.

Il diadema era ricco di gioielli, sfolgoranti, ed i più grossi erano sessantasei, tra cui ventiquattro grandi perle a foggia di pera, un diamante ad otto facce di peso e purezza mirabili, un grande rubino di singolare bellezza, una croce composta di ventotto smeraldi, e qua e là topazi e turchesi. Il suo valore era di circa duecentomila ducati, il solo rubino valeva ducati centocinquantamila, somma enorme a quel tempo.

Una legge del 1367 raccomandava di fare la “zoja” più leggera tanto che il doge potesse portarla in capo nelle grandi solennità, poiché molto spesso veniva recata accanto al principe sopra un bacino d’argento.

Sotto la “zoja“, e più tardi sotto il “corno“, i dogi portavano una cuffia bianca di sottilissimo lino, onde, levando il diadema il capo rimanesse coperto in segno di autorità.

Però il ricchissimo e pesante diadema non era portato dai dogi che nelle occasioni solenni, ordinariamente essi adoperavano un berretto della stessa forma di drappo d’oro ma senza gemme.

Il corno ducale era di proprietà dello Stato e passava da un doge all’altro. (1)

(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 13 novembre 1924

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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