Famiglia Mocenigo

0
5486
Campo de l'Arsenal, 2389 (Castello) - Stemma Mocenigo

Famiglia Mocenigo

Mocenigo. Le origini della famiglia Mocenigo sono, come molte altre, avvolte nella nebbia dei secoli, sicché non mancarono scrittori che intorno ad essa fantasticarono cose lontane dal vero, e spoglie quindi d’ogni critica. Per tanto, due sono le opinioni riguardo a ciò, la prima, cioè, che discenda da Lamberto conte di Angiò, fratello di Roberto il Pio, re di Francia e figlio di Ugo Capeto, il quale, cacciato dal fratello, fuggi in Germania appo Ottone III imperatore, e quindi il figlio suo Benedetto, venuto in Italia, prima a Milano e poi nella Venezia terrestre pose stanza: nel quale ultimo luogo, dicono, edificasse il castello di Musestre, e da qui passò finalmente a por stabile dimora in Venezia, intorno al 1000. Quivi giunto, fu ascritto al patriziato, e fondò l’illustre casa Mocenigo. Tale è la narrazione che ne fa il Bresciano Malvezzi, nella sua Istoria; seguito poi da Francesco Spinola, da Elia Rensnero Leonino, nella sua Genealogia delle casa di Sassonia, e da altri scrittori, tra quali, in qualche modo aderisce, il Frescot. La seconda opinione, strana in vero e al tutto falsa, è del conte Jacopo Zabarella, il quale nel trattato La Rosa, discorrendo particolarmente di questa casa, la vuole originata, nientemeno, da Aleso figliolo secondogenito di Agamennone, re di Micene, il quale, passato in Italia, fondò la città di Aricia, e diede principio al regno dei Falisci. Ma il dabben uomo non si avvide che Aricia fu in quella vece fondata assai prima da Ippolito figliuolo di Teseo, e quindi quella città è più antica dello stabilimento dei Greci e dei Troiani in Italia, secondo dicono Virgilio, Ovidio ed altri scrittori latini; ne si avvide, essere perfino falso che Aleso fosse figlio di Agamennone, ma si suo compagno d’arme, giusta Servio. Aggiunge poi per nuova stranezza, che dal nipote di Aleso, detto Corneto, ed anche Cornelio, discese quel Cornelio che si trovò con Romolo alla fondazione di Roma, e che fatto patrizio romano fu progenitore della famosa gente Cornelia, dalia quale si diramarono li Subatini, che si trapiantarono in Bologna, da cui discese Marco Sabatino, che nel 955 piantò dimora in Venezia ed ottenne il patriziato. Come poi, e per quale maniera mutasse questo famiglia il cognome, l’udirlo dal prefato Zubarella è cosa veramente gioconda; come è giocondo il sentire da lui provata l’origine da Agamennone, dallo scudo usato dai Mocenighi composto di due rose dei colori contrapposti del campo azzurro e d’argento, dicendo che Agamennone portava una corona di rose; e una rosa per insegna gestava anche la gente Cornelia, voluta da Agamennone discesa. Tutte coteste novelle non sorrette da alcuna autorità, e meno sostenute dalla critica, fan ridere chiunque sa essersi sempre e fino dal suo giugnere in Venezia questa casa appellata Mocenigo, siccome testimoniano le cronache e le venete storie. Piantata pertanto in Venezia questa nobilissima casa, produsse, fin dai primordi, tribuni ed nitri magistrati gravissimi, ed uomini insigni ed illustri nella toga, nelle armi e nel sacerdozio: e possedé larghe ricchezze, colle quali poté erigere molti edifici, tra quali la facciata della chiesa di Sant’Eustachio, la cappella maggiore di Santa Lucia, che ora si rivedrà trasportata in quella di San Geremia, ed un’altra cappella nella chiesa di Santa Maria Maggiore; oltre tanti palazzi, monumenti insigni sepolcrali, ed altre cospicue memorie.

Lo scudo accennato delle due rose, non fu il solo gestato da questa casa; imperocché ne usò altresì uno inquartato con l’armi di Francia, ed un altro, pure inquartato, coll’aquila bicipite dell’impero.

Il doge Tommaso Mocenigo nacque circa l’anno 1343 da Pietro Mocenigo, procuratore di San Marco de citra, e fu fratello di Leonardo, il quale fu parimente procuratore de supra. Fino dai primordi suoi egli diede non dubbie prove del suo valore in quei torbidissimi tempi per la Repubblica, nei quali era impegnata nella perniciosissima lotta contro i Genovesi. E però l’anno 1379, vale a dice, intorno al trentesimosesto dell’età sua, lo troviamo capitan di galea, ed inseguito con superiori forze dai Genovesi, fu costretto salvarsi nello schifo, lasciando la nave in preda a nemici, che, recatala seco in trionfo, la ridussero in fiamme. Si riscattava egli però da questa vergogna, quando, eletto, nel 1384, provveditore generale contro i Genovesi medesimi, riportavo corseggiando per mare frequenti vittorie, e ricche prede con sé conduceva; pei quali fatti sollevava egli non poco l’animo dei suoi concittadini, dalle passate sconfitte abbattuto. Avendo poi i Turchi conquistato gran parie dell’Asia, tuttodì minacciavano divorarsi l’imperio greco, e già avevano assalito Emmanuele II Paleologo, e la medesima città di Costantinopoli pareva dovesse essere certissima loro preda, sicché l’imperatore cercò i Veneziani di aiuto, e non invano. Imperocché armarono quarantaquattro galee e ne diedero il comando al nostro Tomaso. Egli quindi si recò incontro al nemico, e lo ruppe, sicché temendo i Turchi il valore dei Veneziani, levarono le ciurme dai loro legni, e posero tutto lo sforzo nelle genti di terra, per cui ebbero vittoria sulle armi crociate terrestri. Il re d’Ungheria quindi fuggito si salvò sulle galee del Mocenigo, e venne condotto presso a Zara, della qual cosa gratissimo, donò magnificamente Tomaso. Ma più d’ogni altro caro e prezioso fu il presente che ottenne dall’imperatore di Costantinopoli, in testimonio della sua molta affezione, e fu di una particella del Santissimo legno di Croce, e di parte della veste inconsuttile di Gesù Cristo; siccome narra l’abate Morlopino, nelle sue Illustri azioni de’ principi della famiglia Mocenigo I meriti di Tomaso gli valsero la dignità di procuratore di San Marco de supra, conferitagli il di 24 gennaio 1405; e quando Padova fu sottoposta alla Repubblica, egli ne fu il primo podestà. E perciocché a quei dì si agitavano alcune differenze fra la Repubblica e il re d’Ungheria per rispetto ai confini, fu ad esso re mandato, l’anno 1408, ambasciatore, col quale compose amichevolmente le cose. Anche nel 1412 fu inviato a ringraziar Sigismondo imperatore dell’accordato possedimento della Dalmazia. Era da ultimo a Cremona, ambasciatore appo papa Giovanni XXIII e l’imperatore anzidetto, quando, come dicemmo, fu assunto al ducato.

Splendidissimo per copia di sculture, e per il tempo e per gli artefici che lo lavorarono, è il monumento di questo doge, cretto nel tempio dei Santi Giovanni e Paolo. Sotto marmoreo padiglione sostenuto dai lati da due angeli, appoggiata a due mensole apparisce la nobile urna, in cima alla quale giace supina la statua del principe. Nel prospetto dell’urna stessa e nei fianchi, in sette nicchie, son collocate altrettante piccole statue simboleggianti le virtù teologali e cardinali. Retro al padiglione vi è un operoso compartimento disposto a due schiere, nella superiori delle quali, entro sci nicchie, sono figure di profeti e di santi, protettori della casa Mocenigo, e nella inferiore, praticate si vedono altrettante simulate finestre. Sul pinacolo del padiglione è il simulacro dell’apostolo Tomaso. Finalmente sotto dell’urna è scolpita nel mezzo la seguente inscrizione, e dai lati di essa gli stemmi gentilizi del principe :

HEC BREVIS ILLVSTRI MOCENIGA AB ORIGINE THOMAM
NAGNANIMVM TENET VRNA DVCEM GRAVIS ISTE MODESTVS
IVSTICIE PRINCEPSQ. FVIT DECVS IPSE SENATVS
ETERNOS VENETVM TITVLOS SVPER ASTRA LOCAVIT
HIC TEVCRVM TVMIDAM DELEVIT IN EQVORE CLASSEM
OPPIDA TARVISI CENETE FELTRIQ. REDEMIT
VNGARIAM DOMVIT RABIEM PATRIAMQ. SVBEGIT
INDE FORI IVLII CATARVM SPALATVMQ. TAGVRAM
EQVORA PIRATIS PATEFECIT CLAVSA PEREMPTIS
DIGNA PORATIS SVBIIT PATRIIS MENS FESSA TRIVPHIS.
PETRVS ‘ MAGISTRI ‘ NICHOLAI ‘ DE ‘ FLORENCIA ‘ ET ‘ IOVANNES
MARTINI ‘ DE ‘ FESVLIS ‘ INCISERVNT ‘ HOC ‘ OPVS . M ‘ CCCC ‘ XXIII.

Il doge Pietro Mocenigo nacque da Leonardo q. Pietro, nel 1406, e nel 1442, essendo sopraccomito di galea contro i corsari in golfo, sospinto da una burrasca a Brindisi, e preso e menato a Napoli, fu egli per rispetto al suo nome e alla Repubblica a cui apparteneva, fatto libero da quel re, quantunque in guerra coi nostri. Tornato in patria, era scelto, nel 1461, qual consigliere del doge, e poco appresso spedito a Paolo II ambasciatore straordinario nella sua esaltazione al pontificato. Ma i grandi talenti militari del Mocenigo lo chiamavano a posto più geloso e di gloria maggiore. Era la Repubblica impegnata in atrocissima guerra coi Turchi, e le loro armi avevano assediato Negroponte. Nicolò Canale, che comandava la veneta flotta, era stato indolente testimonio della presa di quella isola, per lo che il Senato commetteva al nostro Mocenigo il comando, in pari tempo i Dieci gli ordinavano di spedire ai ferri il suo antecessore per essere giudicato a Venezia. Partì Pietro, e trovato il Canale già impegnato nell’assalto di Negroponte, occultò l’ordine dei Dieci. Ma poiché il Canale al sopravvenire del nuovo generalissimo fu tocco di gelosia, e dichiarò non voler correre il pericolo di un’impresa di cui sarebbe poi per dividere la gloria con altri, il Mocenigo pose ad effetto il volere dei Dieci, e spedì in ferri a Venezia l’antecessore e il figliuolo di lui. Svernate le truppe a Modone, doveva nella primavera ricevere il Mocenigo trenta galee da Venezia, venti dal Papa, alcune da Ferdinando di Napoli e da altri Stati. Ma parve a lui di non dover perder tempo in vano, e prese in Morea truppe da sbarco, pose olla vela per Metelino e mise tutta l’isola a ferro ed a fuoco. Indi si volse contro Delo e le Cicladi, e rientrò nel porto di Napoli di Romania, carico di spoglie e di gloria; ove poscia tutti i rinforzi promessi giunsero prima della metà di giugno di quell’anno 1472. II cardinale Orsini comandante le galee pontificie, ed il generale della flotta di Napoli misero nelle mani del Mocenigo il supremo comando dell’armi. Partita la flotta tutta, posero assedio a Satalia, ma forte essendo quella piazza, il Mocenigo si ridusse a Rodi, abbandonato ivi, per il verno imminente, dai legni di Napoli, sicché entrò nel porto di Smirne, sorprese la città, la pose in fiamme, e carico di schiavi e di bottino fece ritorno a Modone. Essendo alla armata, aveva ottenuto dalla Repubblica, il dì 4 novembre 1474, il titolo di procuratore di San Marco de citra, in luogo del defunto Jacopo Loredano. Si portò poscia il Mocenigo in Persia per mettere ordine alle opere marziali dirette da quel re contro i Turchi; indi cacciò questi dalla Caramania, espugnò Sicione, Gerico, Seleucia, e varii altri luoghi di quella provincia: e poiché i Persiani toccarono sconfitta, e poiché rientravano nei porti loro le flotte di Napoli e della Chiesa, partì Pietro verso Cipro, saputo che Jacopo Lusignimo re di quell’isola e marito di Caterina Cornero era agli estremi di sua vita. Giunto colà confortò il moribondo, ricevendo da lui vive raccomandazioni acciocché fosse accolta sotto la protezione della Repubblica sua moglie. Mocenigo rimase in Cipro in attesa degli ordini del Senato, consolò la vedova e intese a rassodare l’autorità di lei, disponendo con Andrea Cornaro le più saggie misure per il buon governo di quell’isola. Appena Pietro ricevette le istruzioni dalla madre patria, non lasciò occasione per assistere la regina vedova, e coll’opera e col consiglio contro i congiurati, che tentavano di porre sul trono di Cipro Carlotta moglie di Lodovico di Savoja. E poiché la vedova metteva alla luce un figliuolo, egli, il Mocenigo, lo teneva al sacro fonte; e poco appresso purtiva con la flotta per Modòne. Ma ardeva più che mai il fuoco della ribellione in Cipro, e il Mocenigo tornava a domar la discordia punendo di morte i più colpevoli. Era molto tempo però che Pietro batteva il mare, ed era domo dalle fatiche. Quindi domandava ed otteneva dal Senato di poter riposarsi in patria. Ma non si tosto preparava a goder della quiete, che gli fu duopo partire di nuovo, onde, unitamente a Triadano Gritti, difendere l’assalita Albania e principalmente Scutari dall’armi ottomane: e nonostante che egli e le sue ciurme fossero colte da malattia, pur non volle abbandonare il comando in fino a che i Turchi non evasero da quelle terre. Tornava pertanto in patria afflitto da grave morbo, e non si era per anco ben riavuto che fu assunto al grado supremo della Repubblica, come sopra notammo, morendo dopo un anno, due mesi e quindici giorni.

Quantunque dica il Sanudo, che Pietro, morendo, lasciasse tutto il suo al fratello Nicolò, pure, dalla inscrizione scolpita sul monumento, risulta che questo fosse eretto da Nicolò e da Giovanni, poi doge, suoi fratelli. Pietro Lombardo fu l’architetto e in gran parte lo scultore del monumento in parola aiutato da Tullio ed Antonio. Un arco, cui serve di piede un sontuoso basamento e fanno ala tre ordini di nicchie, corona un ricco sopraornato e cima un attico coperto da frontone, ne compone il tessuto. Nulla di più gentile può vedersi dell’urna, che, sorretta da tre guerrieri e sormontata dal simulacro del Mocenigo, prende la parte centrale del monumento. L’eroe, preso in mezzo da due geni, l’uno dei quali si appoggia sullo scudo gentilizio, l’altro porta il baston del comando, più che alle doppie insegne di doge e guerriero, tale si mostra al generoso sembiante e al risoluto atteggianento. Una delle sculture che si vede in fronte al sarcofago mostra l’eroe, che dopo aver sedato in Cipro i tumulti, consegna alla vedova regina le chiavi di Famagosta; l’altro la sua entrata gloriosa nella città di Scutari, ed il ricevere dalle mani del vinto Trace le chiavi di quella città. Nei fianchi del sarcofago stesso vi sono i santi Giorgio e Teodoro, e nel mezzo si legge scolpita entro una corona d’alloro l’inscrizione: ex hostivm manvriis, accennante, giusta il Sabellico, eretto il monumento col ricavato delle asiatiche spoglie. Sullo specchio dell’attico è un bassorilievo esprimente le Marie al vuoto sepolcro del Salvatore risorto, e in cima al monumento torreggio, fra due angeli, il simulacro del Redentore. Nel riquadro centrale del basamento, si legge questa inscrizione:

PETRO . MOCENICO . LEONARDI . F . OMNIB . NON . MINVS . OPTIMI.
QVAM . ELOQVENTISS . SENATORIS . MVNERIB . DOMI . FORISQVE.
FVNCTO . MARIS . IMP . QVI . ASIA . A . FAVCIB . HELLESPONTI . VSQVE.
IN . SIRIAM . FERRO . IGNIQ . VASTATA . CARAMANNIS . REGIBVS.
VENETORVM. SOCIIS . OTHOMANO . OPPRESSIS . REGNO . RESTI
TVTO . PYRATIS . VNDIQVE . SVBLATIS . CYPRO . A . CONIVRATIS . NON.
MINORI . CELERITATE . QVAM . PRVDENTIA . RECEPTA . SCODRA . DVC
TV . ET . AVSPICIIS . SVIS . OBSIDIONE . LIBERATA . CVM . R . P . FOELICITFR . GES
SISSET . ABSENS . DIVI . MARCI . PROCVRATOR . INDE . DVX . GRATO.
PATRVM . CONSENSV . CREATVS . EST . IOANNES . TERTIVS . AB . HOC.
DVX . ET . NICOLAVS . MOCENICI . FRATRES . PIENTISSIMI . B . M. D.
VIXIT . ANN . LXX . MENS . I . DIEB . XX . OBIJT . NON . SINE . SVMMO.
POPVLI . GEMITV . DVCATVS . SVI . ANNO . I . MENSE . II . DIE . XV.
ANNO . SALVTIS . MCCCCLXXVI.

Il doge Giovanni Mocenigo fratello del doge Pietro, di cui parlammo, fu Giovanni Mocenigo, nato nel 1409, e non minore a lui per fama di opere egregie; imperocché, passato per gradi alle magistrature più gelose della patria, fu, nel 1467, eletto a podestà e capitano di Treviso, dalla quale città passò poi, nel 1470, in Udine siccome luogotenente, nella circostanza difficile che il pascià di Bosnia era penetrato fin pressa le porte di quella città e commetteva orribili guasti. Giovanni attese a fortificare la sponda destra dell’Isonzo e a difendere quelle terre minacciate dalle armi ottomane. Tornato in patria, fu uno dei deputati eletti a trattare cogli ambasciatori del duca di Ferrara ; ed ebbe facoltà dal Senato di accogliere quelle condizioni che a nome del loro principe essi ambasciatori offrivano. Era Savio del consiglio, e la sua molta bontà, prudenza ed attitudine nel maneggio dei pubblici affari gli valsero per ottenere la suprema dignità della patria, come superiormente narrammo. Sposato una dama di casa Micheli, che morì prima della di lui assunzione al ducato, ebbe da essa un figlio ed una figlia, questa si maritò con Antonio Dandolo, dottore; e quello, di nome Leonardo, riuscì senatore gravissimo, che sostenne varie ambascerie, e fu provveditore generale in terra ferma nelle guerre di quei tempi, e da ultimo venne decorato della stola procuratoria de supra, il dì 12 ottobre 1524, morto nel 1535.

Il doge Alvise I o Luigi Mocenigo nacque nel 1508, da Tomaso q. Nicolò, procurator di San Marco, e fu uno dei chiari lumi di questa famiglia. Dalla carica di savio agli ordini, passò nel 1540 a capitano di Vicenza, e poscia venne eletto savio di Terraferma. Mostrato, fin dalle mosse di sua vita politica, grandezza d’animo e somma eloquenza, fu spedito ambasciatore a Carlo V, ed in appresso gli fu dato il governo della città di Crema col titolo di podestà e capitano; e compiuto il suo reggimento, fece parte del consiglio dei X. Rinunziato da Carlo V l’impero al fratello Ferdinando, pretendeva il pontefice Paolo IV
non potersi ciò fare senza la sua autorità, e sì grande fu la sua fermezza, che non assentì all’ingresso in Roma dell’inviato colà spedito da Ferdinando medesimo. Il Mocenigo, costituito ambasciatore della Repubblica, nulla poté ottenere dall’immutabil gerarca, il quale rimase nel suo proposito fin che bastogli la vita. Compiuta quella ambasceria, passò Luigi nel Friuli, siccome provveditore generale di Terraferma; e sostenuto dappoi, nel 1664, il governo di Padova, e poscia la magistratura di savio del Consiglio, venne promasso, il 17 febbraio 1565, a procurator di San Marco de ultra, in luogo del defunto Marcantonio Grimani. Era quindi spedito un’altra volta provveditore nel Friuli, e da ultimo veniva assunto al principato, come superiormente dicemmo. Sostenne con lode grandissima il reggimento della patria ed ebbe in premio l’amore e la venerazione del suo popolo. Menò a moglie Lauredana, figlia di Luigi Marcello, la quale premorì al marito, e per la sua somma bontà e pietà fu cara ed onorata da tutti, sicché in morte fu pubblicamente laudata da Ottaviano Magno, segretario del Senato. Oltre il ritratto superiormente accennato del Mocenigo, si vede egli effigiato nel dipinto collocato nella sala del Collegio, ove per mano di Jacopo Tintoretto è espresso il voto da lui fatto per la erezione del tempio del Santissimo Redentore, inciso ed illustrato nella Tavola LXXXII.

Il monumento nobilissimo del nostro doge e di sua moglie Lauredana Marcello, fu ordinato dai fratelli Luigi Mocenigo q. Luigi; cioè da Luigi I, prestantissimo senatore e cavaliere; da Luigi II, procuratore di San Marco, morto in Candia l’anno 1654 mentre sosteneva gloriosamente, per la seconda volta, il carico di capitan generale di mare contro il Turco; e da Luigi III. Occupa questo monumento gran parte della parete interna della porta maggiore del tempio dei Santi Giovanni e Paolo, e fu elevato col disegno dell’architetto Girolamo Grapiglia. Tutto di marmo d’Istria, è grandioso e magnifico, composto di due ordini, l’uno corintio, l’altro composito, ed ornato di statue, bassorilievi ed altri ornamenti operosi. Sulle urne sono collocati supini i simulacri del doge e della dogaressa, vestiti ambedue delle assise ducali. Non vi è sculta però alcuna inscrizione.

Il doge Luigi od Alvise Mocenigo, VIII di questo nome nella sua famiglia, nacque nel 1626 da Luigi od Alvise I, q. Tommaso. Sostenute varie magistrature, fu eletto senatore, e nel 1684, passò a reggere Padova come podestà. Le sue molte e luminose virtù, tra cui la religione, la giustizia, l’umanità, la umiltà, la beneficenza, gli appianarono la via del trono, a cui fu assunto il dì 16 luglio 1700, come dicemmo. Nella orazione funebre scritta contemporaneamente a quella già rammentata del Palazzi, da Leonardo Rimetti Somasco, son rilevati i meriti grandi di questo principe equo, e massime la sua religiosa munificenza; tra cui fu di avere ordinato che col suo oro si erigesse la facciata della chiesa di Sant’Eustachio, compiuta tutta di marmo istriano dopo la sua morte, col disegno di Giovanni Grassi, venuto a concorso con Lorenzo Boschetti e Gian Jacopo Gaspari.

La modestia e la religione del Mocenigo spiccano eziandio nell’umile tomba che ei si preparò nella chiesa ora detta di Sant’Eustachio, nella cui contrada abitava pria di esser doge. Un semplice sigillo nel mezzo del tempio copre i suoi resti mortali, e scolpita si legge questa dimessa inscrizione:

NOMEN ET CINERES
VNA CVM VANITATE
SEPVLTA

Il doge Luigi od Alvise III Mocenigo, detto Sebastiano Mocenigo, ebbe a padre Luigi II, detto Pietro, procurator di San Marco. Datosi, fin da principio, alla carriera dell’armi, s’imbarcò come nobile di galea, e quindi venne promosso a governatore di galeazza, nella qual carica si trova, nel 1690, con la flotta comandata da Girolamo Cornaro, all’acquisto della Vallana. Poi, nel 1691, essendo capitano delle galeazze, col generalissimo Antonio Zeno, fu alla presa dell’isola di Scio, dove esercitò la carica di provveditore in campo. Ritornato in patria, nel 1698, fu eletto consigliere; poi sostenne le cariche di provveditore e savio sopra li conti. Nel 1707 fu spedito siccome provveditore generale del mare; e nel 1711 eletto podestà a Brescia, vi rinunciò, ed in quella vece fu fatto consigliere del sestier di San Polo. Nel 1713 fu nuovamente provveditore all’armata; poi senator dei Pregadi, e capitano di Padova. Affidatagli la grave missione di fissare la linea di confine nell’Albania, fra gli Stati veneti e l’impero ottomano, dopo la pace di Passarowitz, tanto si adoperò, che ottenne al suo governo maggiore spazio di territorio in confronto di quello stabilito nel trattato anzidetto. Questi meriti gli valsero per ottenere la suprema dignità della patria, a cui giunse il 24 agosto 1722, come sopra accennammo. Il Mocenigo fu uomo di specchiata integrità e di animo veracemente reale. Non mai approfittò delle occasioni, in pace od in guerra, per conseguire anche il più onesto vantaggio, ché solca piuttosto rinunziarlo ai suoi soggetti, ai quali distribuiva persino gli emolumenti che gli assegnò la Repubblica: ed allorquando questi non erano pari ai bisogni di coloro che soccorrer voleva, vi supplì sempre, e largamente, col proprio peculio. In morir poi volle lasciare alla patria testimonianza solenne del suo amore, legandole le sue armi ed i suoi trofei di guerra, e due leoni di marmo rosso, che adornano attualmente la piccola piazzetta a fianco della Basilica Marciami, appellata appunto perciò la piazza dei Leoni.

Il doge Luigi od Alvise IV Mocenigo, nacque il 16 moggio 1701 da Luigi, e per la sua integrità e sapienza fu presto destinato a sostenere le più cospicue magistrature, fra cui quelle di savio, di consigliere, di riformatore dello studio di Padova, ce. Poi veniva spedito ambasciatore straordinario due volte al re di Napoli, ed ordinario alla corte di Francia, da cui ottenne, fra le altre cose, tre ossa del santo doge Pietro Orseolo. Fu inviato pure, nel 1755, nella stessa qualità, a Roma, in luogo di Andrea Cappello, ove seppe cattivarsi l’affetto di quel grande pontefice Benedetto XIV, dal quale conseguì onorevoli prerogative alla sua Repubblica. Era già stato eletto, fino dal 1736, procuratore di San Marco de citra, in luogo del defunto Alvise II Mocenigo, quando, dopo di aver sostenuto oltre diverse e cospicue magistrature, veniva innalzato, il 10 aprile 1763, alla suprema dignità della patria, come superiormente dicemmo; morendo nell’età sua di anni 77 e circa otto mesi, compianto da tutti. Il Mocenigo fu uomo adorno di splendide virtù, in cima delle quali tenne la pietà più ardente. Magistrato, si mostrò infaticabilmente zelante, fedele e giusto; ambasciatore, fu munifico e volle dimostrare agli stranieri la veneziana grandezza. In ogni suo atto traspariva l’umiltà, la moderazione, la benevolenza coi soggetti, onde si conciliava l’altrui amore e la venerazione, tonto più quanto che natura lo aveva fornito di forme prestanti e di sembianze gentili. Di animo munificentissimo, era largo coi poveri di aiuto, alimentava pupilli e vedove, traeva dal pericolo giovani miserabili provvedendo al loro collocamento, e molto danaro contribuì nel soccorrere nei lor bisogni le comunità religiose, le quali visitava sovente, ed in particolare quello dei riformati a San Bonaventura, ove di spesso, in compagnia della moglie, confortava il suo spirito coi celesti carismi. In una parola, la religione e le sue virtù si ergono a testimoni contro gli infami detrattori della Repubblica Veneziano, che quasi empia promulgarono negli ultimi cinquanta anni della sua esistenza. (1)

(1) Il Palazzo Ducale di Venezia Volume IV. Francesco Zanotto. Venezia MDCCCLXI

Dall’alto in basso, da sinistra a destra: Campo de l’Arsenal, 2389 (Castello) – Calle del Tagiapiera, 4674 (Cannaregio) – Canal Grande, 3344 Cà Mocenigo (San Marco) – Calle Mocenigo, 3348 (San Marco) – Calle Mocenigo, 3350 (San Marco) – Rio Terà San Vio, 462 (Dorsoduro).

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

SHARE

Lascia una risposta

Please enter your comment!
Please enter your name here

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.