Palazzo Soranzo a San Polo

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Palazzo Soranzo a San Polo. In "Venezia Monumentale e Pittoresca", Giuseppe Kier editore e Marco Moro (1817-1885) disegnatore, Venezia 1866. Da internetculturale.it

Palazzo Soranzo a San Polo

È difficile il decidere a chi debba attribuirsi il merito di questa mole, che fiancheggia il campo, distinta per estensione ed elevatezza, poichè, come supplire al difetto di documenti in una fabbrica di quattro e più secoli addietro, per giudicar sulla origine della proprietà e sui passaggi? Nessun aiuto può aversi in vero dagli atti di morte della soppressa Parrocchia, i quali si dispersero, e risalgono soltanto poco oltre al 1600; meno ancora dai catasti del censo, essendo già noto l’incendio, che distrusse l’archivio del Collegio dei Dieci Savi alle Decime, istituito nel 1463, dopo gli acquisti del la terraferma d’Italia. Ed è noto del pari, che il Senato ordinava nel 1514 la rinnovazione dell’estimo e della decima universale, dalla qual epoca datano le ultime notifiche delle famiglie sui possessi nella Dominante. Parrebbe però che da una cisterna, dello stile dell’edificio, per un blasone scolpito intorno al parapetto, secondo il Cappellaio e il Frescot, si attingesse la notizia della casa antichissima Nosadini, aggregata da molti anni alla nobiltà di Polonia!, e celebre nella marca Trivigiana che ottenne dal maggior Consiglio la cittadinanza originaria, con abilità alla Cancelleria Ducale.

La quale famiglia, illustrata dall’infula, e da onori equestri in Baldassare e in Antonio, arricchiva nell’esercizio secolare dell’avvocatura, ed offerse alla Repubblica 100/m ducati in tributo, nell’ultima guerra ottomana, ottenendo nel 1694 il patriziato. Ma siano qualunque le induzioni, è un fatto, che ha più documenti in appoggio, avere appartenuto il palazzo ai Soranzo da un secolo dopo la sua fondazione. Forse si eseguiva allora un primo restauro generale, e si abbelliva di pitture l’esterna farcia, con storie di fantasia, che resistevano all’acqua, ed al sole, ai tempi del Vasari, che ne fu testimonio ed ammiratore. Poiché erano prove dell’arte di Giorgio Barbargli, detto Giorgione, per le belle fattezze e i modi gentili, che diede saggio dell’eccellenza del suo pennello nei prospetti di altri palazzi, e nei freschi della propria casa a San Silvestro, su cui restano ancora tracce sotto la cornice, nei gruppi di fanciulli a chiaroscuri, e con ovali dalla parte del rivo, ora interrateli quale palazzo meriterebbe di essere contrassegnato da una lapide, come si fece per le case del Tintoretto e del Vittoria, essendo stato il fondator di una scuola, poiché ridusse a metodo l’arte del suo colorire, vinto l’ingegno del Bellini coi larghi tocchi, i contorni sfumati, e il passaggio soave di lumi e di ombre, e diede norma al Tiziano per ingrandire la sua maniera, e alimento al genio di Fra Sebastiano Dal Piombo.

Dai registri della famiglia si ricava, che dopo il 1468, in cui un Zuanne da Sant’Angelo figura testatore, i Soranzo si trasferissero in questo palazzo, si nominando nel 1551 un Giacomo da San Polo, il figlio del quale acquistava da certo Vincenzo da Pozzo quella piccola porzione di casa, contermine al palazzo Maffetti, che si vede innestata con lo stemma, oggi a chiaro-scuro, dei Soranzo Mocenigo, per eredità conseguita nel 1743, che è posto sopra l’arcuato sottoportico dei Cavalli. Potrebbe quindi sciogliersi il dubbio dell’illustre sig. Rawdon Brown, autore benemerito dei ragguagli sulla vita e le opere di Marin Sanuto, sul palazzo, che il marchese di Mantova volle visitare il 22 novembre 1496, e forse sarebbe questo a San Polo, dove si celebrarono le nozze di Zuanne Soranzo con la figlia del cavaliere Giorgio Corner, fratello alla regina di Cipro, con feste e banchetti di suntuosa magnificenza.

Nobile è il prospetto di questo vastissimo fabbricato, e si ricorda dal Sansovino nella Venezia, come degno di essere veduto tra i principali. Infatti i capitelli delle colonne risultano di ottimo gusto, nella duplice decorazione, con diversi ornati a fogliami, con teste leonine negli ovali, e con sparsi fregi. Ad ogni arcata stanno incassati i poggioli nella parte interna tra le colonne, secondo l’antico stile, poiché solamente al tempo del Sansovino si usarono costruirsi in maniera da sporgere in fuori colonnati all’intorno, alti poco più in su della cinta, e comodi per il fresco.

E giravano eguali sopra il cortile, rimossi in seguito, con mutilazione delle colonne, ma almeno con disordine interno, ciocché non può dirsi della chiusura di alcune arcate dei poggioli, che turbò l’armonia dell’insieme e di tutt’i terzi acuti. Né dissimile in merito è il lavoro dei capitelli sulle colonne di marmo, con mascheroni, aquilotti e lioncelli rampanti nell’atrio d’ingresso, uno dei maggiori dei palazzi veneziani, con due accessi sul campo, adorni di bassi rilievi preziosi. È però a deplorarsi il disordine nella facciata, per le suddivisioni delle pareti, onde si scorgono per metà conficcate le colonne nelle muraglie, nascosto un leggiadro gruppo di tre, coi capitelli gotici, e con sacrificio delle proporzioni, contraffatta la più bell’opera del vestibolo.

Le tracce della costruzione vetusta risultano pure dal cornicione della gran sala, scompartita in due o tre stanze, lavoro del 400, nei suoi impalchi; molto ingegno lombardesco si conosce nelle arcate, con colonne d’ingresso alla scala del primo ordine e del secondo, e nei vari soppalchi delle stanze, uno dei quali ha tale finitezza di arabeschi, e cosi puro stile, da imitare i disegni raffaelleschi nelle logge magnifiche del Vaticano. Ottanta e più si contano i rosoni, nei riquadri di doratura di zecchino, simili a quelli ornamentali, sulla facciata del palazzo dei Camerlenghi a Rialto. I soppalchi sono di vario prezzo, e indicano le epoche dei squisiti restauri; uno è adorno di stucchi dorati; altro di pitture a fresco, e di tele del Lazzarini, dell’Amigoni, e del degno scolaro del Tiepolo, il Fontebasso. Le sovra porte hanno ornati di stucco, e i parapetti sotto i davanzali sono di serpentino, di verde antico, con fasce di marmo di Carrara. Le parte numerose di noce anno figure di metallo, specchi incassati, e i contorni di marmo. Prova superstite è una tanta magnificenza della ricchezza dei Soranzo, leggendosi di un Lorenzo nel 1560, inumato nella chiesa di San Polo, con epigrafe, che con parola del dialetto veneziano si chiamava tocco d’oro. Pare che si attribuisse agli antenati il cognome di Superanzi, per lo scherma opposto ai nemici dal lor valore, in sussidio della patria. Gabriele infatti, come capitano de le navi nelle armate di Enrico Dandolo, colse allori nel 1202, nei conquisti di Zara e Costantinopoli; fece mostra di coraggio Vittore, quando essendo Provveditore dell’armata contro i Turchi nel 1474, prese Seltalia, ricca città della Panfilia, conquistava la Caramania, e quale generalissimo di mare, rese tributaria l’isola di Veglia, e ruppe sul Po l’esercito dei Ferraresi. Ma fu ancora più prode Benedetto, che sopra-comito alle Curzolari, e ferito da tre frecce sul volto, visti uccisi i compagni d’armi, e arbitri della galera gli ottomani, con romano ardimento rifuggendo all’idea di servaggio, appiccò il fuoco alla munizione e saltò in aria con l’oste; il quale eccidio coglieva impavido Giovanni Tomaso, che assisteva l’armata del generale Mocenigo dalla galera generalizia, nella battaglia dei Dardanelli.

E sarà sempre memorabile il nome del Doge Giovanni, che, vinti i Tartari, e messa a sacco la città di Caffa nel mar Nero, spogliava le cariche galee genovesi, e tante ricchezze ammassava, che per l’abbassamento considerevole delle derrate, si provvedeva con un solo ducato tutta una casa di vettovaglie. Di questo principe, che ebbe il vanto di venerare il divino Alighieri, venuto allora tra noi oratore pei signori di Ravenna, esisteva nel palazzo il ritratto, opera del Giorgione, che si acquistava da un Inglese per 40/m franchi, e formava parte della stupenda galleria domestica. Quale di tempi diversi mirabile accordo! Un’architettura della scuola del Calendario, opere interne lombardesche, lavori nella esterna faccia del Giorgione, come dovevano essere imponenti i recinti, quasi lo spettacolo delle arti, a contesa tra loro, se competesse la palma all’eleganza e magnificenza della mole, alla magia della pittura, al merito od al gusto dello scalpello! (1)

(1) GIANJACOPO FONTANA. Cento palazzi fra i più celebri di Venezia (Premiato Stabilimento Tipografico di P.Naratovich. 1865).

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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