Armature Veneziane al Kunsthistorisches Museum di Vienna

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1638
Jacopo Tintoretto. Ritratto del doge Sebastiano Venier, vincitore a Lepanto

Armature Veneziane al Kunsthistorisches Museum di Vienna

Nei secoli passati i ricchi tesori delle corti degli Asburgo sono stati tutelati dai principi rinascimentali con attenzione riverente, soprattutto in virtù del loro legame con le vicende del casato. Le radici del Kunsthistorisches Museum, così strettamente connesse alla storia e alla fortuna degli Asburgo, risalgono al 1358, quando un primo nucleo di opere medievali diviene di proprietà della famiglia con l’acquisizione del Tirolo da parte del duca d’Austria e re di Germania, Boemia e Ungheria. Ereditato dal padre l’amore per l’arte, diventa amico e committente di numerosi artisti del suo tempo, fra cui anche il tedesco Dürer.

Nel 1567 Ferdinando II raccoglie nel Castello di Ambras, nei pressi di Innsbruck, una ricca collezione di armature e di ritratti eseguiti da grandi maestri. L’identità del castello è strettamente legata alla personalità di Ferdinando, vero principe rinascimentale e grande promotore di arti e scienze.

Nel 1605 Carlo, figlio ed erede di Ferdinando II, vende l’immensa collezione di Ambras all’ Imperatore Rodolfo II, che trasferisce alcuni pezzi alla corte di Praga, lasciando però una parte consistente della raccolta nel castello tirolese. Amante e conoscitore dell’arte, Rodolfo II dà vita nel castello di Hradčany a Praga, dove risiede, a una prestigiosa galleria di pittura, affiancata da raccolte di antiquariato e di preziosi oggetti d’arte decorativa. Egli rivela una predilezione per il Rinascimento italiano, in particolare per il Cinquecento Veneziano, oltre che per i maestri tedeschi fiamminghi. Da Praga provengono anche tutte le opere di Dürer che appartenevano alla collezione francese di Granvelle, portati tra il 1612 e il 1619 dal fratello Matthias che trasferì la corte imperiale da Praga a Vienna, portando però con sé solo una parte dei dipinti e degli oggetti d’arte; ciò che rimane a Praga verrà saccheggiato dalle truppe svedesi nel 1648 durante la Guerra dei Trent’anni, e passerà nelle collezioni di Cristina di Svezia. Dal 1628 al 1662, con il matrimonio fra l’arciduca del​ del Tirolo Ferdinando Carlo e Anna de’ Medici, entrano nella residenza di Innsbruck opere italiane del Cinquecento e del Seicento e intorno agli stessi anni, Arciduca Leopoldo Guglielmo, figlio dell’Imperatore Ferdinando III, raccolse un gran numero di capolavori della pittura italiana e fiamminga. Parte di questi furono acquistati per conto del fratello, alcune invece andranno a formare la sua collezione personale, che porterà a Vienna nel 1659 e in numero elevatissimo: milletrecento novantasette dipinti, più di trecento disegni, cinquecento quarantadue sculture. I conseguenti matrimoni tra la famiglia imperiale e le altre nobili casate hanno contribuito a formare la collezione odierna; durante le guerre napoleoniche, per timore di saccheggi da parte dei francesi, vengono trasferiti a Vienna tre grandi patrimoni artistici: le opere d’arte ancora conservate ad Ambras e le due raccolte medievali dei gioielli della corona e del tesoro dell’Ordine del Toson d’oro, entrambe custodite nella Schatzkammer.

Il Kunsthistorisches Museum di Vienna è tra i musei più grandi e importanti del mondo; l’edificio neorinascimentale fu fatto costruire dall’Imperatore Francesco Giuseppe I per ospitare le collezioni imperiali e custodisce un enorme patrimonio artistico di oggetti realizzati nell’arco di cinque millenni, dall’epoca egizia, passando per l’antica Grecia fino al XVIII secolo e che testimoniano la passione degli Asburgo per il collezionismo. Parte dei tesori del KHM sono le armature più importanti ed interessanti del loro genere, che in principio facevano parte della Wunderkammer di Ferdinando II del Tirolo al Castello di Ambras ad Innsbruck. Figlio secondogenito di Ferdinando I d’Asburgo, famoso per il suo ruolo nella storia della Saliera di Benvenuto Cellini, che gli fu offerta in dono per il suo ruolo di rappresentante del Re di Francia Carlo IX, nel matrimonio per procura con la nipote Elisabetta a Speyr, era un appassionato collezionista d’Arte.

Il nucleo delle collezioni dell’Arciduca, frutto di un’attività mirata e sistematica di un grande amante dell’Arte, era costituito proprio dalla raccolta di armature. Ferdinando si avvaleva di agenti che acquistavano i pezzi in suo nome, e contava numerosi esperti che organizzavano con criterio “museale” la serie, studiata per essere mostrata ai vari ospiti, e quindi fruibile non solo dal proprietario, ma per essere ammirata da altre persone a lui care e dalla intelligentissima moglie Philippine Welser.

La parte della raccolta del suo Castello di Ambras di Innsbruck, dedicata alle armi (che comprendeva anche ritratti, gioielli e reperti di storia naturale) era sicuramente la sua sezione preferita, poiché in essa si poteva enfatizzare il ruolo storico e la potenza degli Asburgo ed esaltare la funzione individuale dei grandi uomini d’armi. L’arciduca ebbe il merito di essere il primo … a concepire una raccolta d’armi, di armature e di ritratti secondo un ordine preciso; non di meno la presentazione ai visitatori era caratterizzata da criteri estetici, come l’importante ruolo della luce e dei colori.

L’Armamentarium Heroicum”, o Armeria degli Eroi, era disposta su ben cinque stanze dove vi erano esposti oggetti, ognuno dei quali esprimeva una sua particolare tematica: la sala dei tornei, le armature dei principi Asburgo, la “Leibrüstkammer” (Armeria privata), la sala dei turchi e dei soldati nemici sconfitti in battaglia dall’esercito austriaco e poi molte altre sale con varie curiosità che oggi stupiscono ancora l’occhio del visitatore moderno. In particolare, Ferdinando II del Tirolo aveva esposto le armature e i ritratti di più di centoventi generali, mettendo in luce la loro fama e il loro onore. L’arciduca riuscì ad ottenere, per il suo museo, circa cento armature originali di generali famosi, ed egli stesso si unì agli “eroi” in questione con una versione che aveva indossato nel 1566 nella campagna di Ungheria contro l’Impero Ottomano, per difendere il Cristianesimo. Ferdinando II selezionò alcuni corsaletti da carriera e da giostra provenienti dal patrimonio degli Asburgo, come l’Arciduca Sigismondo (1427-1496) e l’Imperatore Massimiliano I (1459-1519), cercando così di rappresentare le varie forme del torneo cavalleresco. Un altro punto focale delle sue armerie era la parte dedicata alle armature per la giostra alla barriera, per il torneo libero e per il torneo appiedato, le quali furono realizzare appositamente per Ferdinando II e per la sua corte. La maggior parte di esse sono capolavori realizzati dai corazzai di Innsbruck, i più famosi d’Europa fin dai tempi dell’imperatore Massimiliano I. A partire dal 1580 l’arciduca Ferdinando II del Tirolo fece realizzare gran parte delle armature dall’armoraro di corte Jakob Topf. Una particolarità è rappresentata da una serie di ventiquattro armature, venti delle quali si sono conservate completamente originali; delle altre quattro, sono rimaste invece singole parti. Le diciannove armature per il torneo appiedato esposte nelle Armerie della Neue Hofburg rappresentano uno dei più grandi insiemi di “Plattnerkunst” (termine che indica l’operato degli armorari) europea dell’età moderna ad essere sopravvissuti fino ad oggi.

Attualmente le sezioni comprendono armature da campo, da torneo, armature ornamentali per le cerimonie di corte e di famosi comandanti militari, tra cui quelle di alcuni valorosi veneziani che ci si appresta ad indagare.

Armatura di Francesco Duodo

Le mezze armature derivavano da una sorta di semplificazione di quelle usate dai soldati a cavallo, alle quali vennero tolte le parti destinate alle gambe per alleggerirne la struttura difensiva, togliendo anche la “resta” , per poter essere utilizzata anche nel combattimento a piedi o corpo a corpo sulla tolda delle navi. Con il tempo vennero apprezzata anche dai nobili veneziani. L’elmetto tipico era la borgognotta senza nasale, la quale dava una discreta protezione e contemporaneamente dava un’ottima visuale. Spesso questo tipo di elmo era accompagnato da una barbozza composta da più lame, abbassabile e removibile facilmente. Spesso alla nuca portavano un cono metallico in cui venivano inseriti i pennacchi di piume.

Questa mezza armatura (1570 ca.) è eseguita in ferro brunito ornato con i bordi ribassati e dorati. L’elmetto da corazza è munito di barbozza. Il petto ha una bombatura molto bassa e presenta la “botta” di prova e una sola lama in vita, alla quale sono unite le scarselle molto sporgenti e costituite da un unico “pezzo”, nelle quali la decorazione imita l’articolazione in lame sovrapposte. Questa …mostra la brevità e la pesantezza delle linee del petto e porta una linea della vita poco marcata. I bordi ribassati sono un tratto antico che permette di datare la corazza agli inizi del decennio sopracitato. Per la prima volta compaiono le scarselle in un monopezzo lavorate a sbalzo. Le bordature in velluto e le cinghie in pelle marrone sono originali.

Armatura di Malchiore Michiel

Nella sala III della Collezione ora alla Neue Hofburg si trova questa mezza armatura italiana, in ferro battuto e completamente ricoperto da un decoro inciso, sovrastato da una doratura a fuoco e argentatura a fuoco, senza punti nudi. Pelle e cuoio uniscono le varie parti; l’ornatura è costituita da incisioni e dorature all’acquaforte. L’intera superficie è decorata da una rete da pesca, le cui maglie incorniciano i trofei d’armi e le scene di guerra, decorazione tipica degli anni intorno al 1555. Sulla parte sinistra del petto, al di sotto dello stemma sormontato dal corno dogale, le iscrizioni “IV / NIVS / COME / S e POM / PEIV / S / ILAS”. Il guanciale sinistro dell’elmo non è originale, mentre i bracciali, costituiti a loro volta da tre parti, mancano delle manopole. La tradizione vuole che questa mezza armatura sia appartenuta al procuratore di San Marco Melchiorre Michiel (1489-1572), il quale fu un condottiero delle milizie della Serenissima contro l’esercito ottomano in Dalmazia e a Corfù. L’attribuzione è dubbia, in quanto pare sia stata acquistata dal conte Giunio Pompeo de Ilas, il quale ha fatto apporre il suo nome.

Armatura di Jacopo Soranzo

Mezza armatura bresciana, datata ca. 1560-70, brunita, recante sul pettorale una croce dorata, lavorata a sbalzo. Velluto nero e pelle uniscono le varie parti. L’elmetto della corazza è munito di barbozza. La mezza armatura porta ampi spallacci simmetrici senza guardagoletta e bracciali. Alle tre lamelle della vita sono allacciate le scarselle, formate da dieci lamelle articolate, la schiena è priva del batticulo . Fu indossata da Jacopo Soranzo (1518-99), procuratore di San Marco, durante la Battaglia di Lepanto.

 

Armatura di Sebastiano Venier

Mezza armatura bresciana, datata ca. 1540, ferro lucidato a specchio, decorato a listoni istoriati con trofei militari incisi e dorati all’acquaforte. Le varie parti sono collegate da listelle di pelle marrone. L’elmetto della corazza è munito di barbozza decorata e intagliata per favorire il respiro. Probabilmente in origine era una armatura multifunzionale ed ecclettica con parte intercambiabili, che aveva servito fedelmente il futuro doge durante tutta la sua carriera e avendogli portato fortuna, se la portò anche a Lepanto. La vita è formata dall’accostamento del petto con una seconda lamella. Bracciali manopole e scarselle, composti da più lamelle per avere più libertà di movimento in caso di scontro corpo a corpo.

Sebastiano Venier (1496-1577), fu l’ammiraglio veneziano che comandò le parti veneziane della flotta cristiana nella Battaglia di Lepanto. Come membro di un’antica famiglia patrizia veneziana ebbe un cursus honorum di tutto rispetto, capitano di Brescia e podestà di Verona, procuratore di San Marco, provveditore Corfù e di Cipro. Venne effigiato dal Tintoretto ed eletto Doge di Venezia nel 1577, l’87°.

Il condottiero fu ritratto da Jacopo Tintoretto, poco dopo il 1571, con la usa armatura, in un dipinto ora esposto a Vienna nell’edificio della Neue Hofburg, museo in cui si trova la stessa.

Nel quadro del pittore ufficiale della Repubblica, il volto di Sebastiano Venier è studiato con una particolare acutezza psicologica, che ci permette di individuare quelle che sono le caratteristiche pregnanti della sua personalità per cui era famosissimo, rivelata anche dalla forza e sicurezza con cui tiene in mano il bastone del comando. Lo scorcio di paesaggio, con scene della Battaglia di Lepanto, è un tipico esempio dell’arte Veneziana Rinascimentale, quasi uno stratagemma che enfatizza il rapporto Uomo-Natura, una relazione di interdipendenza soprattutto di carattere emozionale. Tintoretto è maestro delle sensazionali rappresentazioni teatrali, e qui riesce quasi a farci sentire il rimbombo dei cannoni, le urla dei marinai, la tempesta dei sentimenti. Il suo pennello ricrea perfettamente la drammatica atmosfera di quei giorni di battaglia così importanti per il destino d’Europa e per gli animi dei Veneziani tutti.

Anche il più giovane degli artisti Veneziani del Rinascimento, Paolo Caliari detto il Veronese (dal nome della sua città natale) si confronta costantemente con i compiti agiografici di un’arte che ama anche prestarsi al servizio dello Stato; nella scena egli rappresenta Sebastiano Venier in preghiera durante la Battaglia di Lepanto.

Il Capitano da Mar è ormai anziano, ormai Doge, ma ricorda e ripropone così le sue emozioni e la sua preghiera ai Santi, soprattutto Santa Giustina, ed a Cristo di quei drammatici momenti, così sentite prima dell’importante Battaglia di Lepanto.

In una frenetica descrizione della scena, che il pittore ricrea una seconda volta in modo preciso, in un altro telero di Palazzo Ducale, ci coinvolge nei sentimenti agitati di un destino umano singolo, che riflette intensamente la sorte comune in un’epoca burrascosa e difficile. Sebastiano Venier diviene protagonista e non solo attore in una battaglia frutto dello sconvolgimento emotivo causato dalla terribile notizia del martirio dei soldati Veneziani a Cipro nell’agosto 1571. (1)

(a) La resta era una delle componenti aggiuntive del petto dell’armatura medievale, espressamente designata a migliorare le prestazioni del cavaliere armato di lancia. Si trattava di un supporto metallico applicato sulla parte destra con due-tre grosse viti su cui andava appoggiato il “calcio” della lancia per mantenerla in equilibrio durante la carica ed evitarne lo scivolamento all’indietro quando colpiva il bersaglio, questo permetteva che la forza dell’impatto venisse distribuita anche al torso invece che al solo arto superiore. Entrò in uso a partire dal XV secolo.

(b) Le armature migliori presentavano una sorta di rientranza da botta, in pratica gli sparavano addosso con un falconetto e nel secolo precedente con una balestra, la botta era la prova della “bontà dell’armatura”, molti acquirenti se non la vedevano non l’acquistavano affatto, i più diffidenti volevano addirittura presenziare al momento della “prova”

(c) Nel medioevo e fino al sec. XVII°, parte dell’armatura che difendeva le natiche.

(d) Il vero titolo era Capitano General da Mar. È curioso che nella titolatura marinaresca turco-ottomana vi sia una identica espressione: Qapudan-i Derya (Capitano del Mare).

Bibliografia

  • L. G. Boccia, Armi difensive dal Medioevo all’eta Modema, Firenze 1982.
  • L. G. Boccia, E.T. Coelho, l’arte dell’armatura in Italia, Milano 1967.
  • L. Luchner, Denkmal eines Renaissancefürsten-Versuch einer Rekonstruktion des Ambraser Museums vor 1583, Vienna 1958.
  • L.G. Boccia-C. BLAIR, Armi e armature, Milano 1982.
  • O. Gamber. – Ch. Beaufort, Katalog der Leibrüstkammer, II, Busto Arsizio 1990.
  • O.Gamber., Der italienische Harnisch im 16 Jahrhundert, in Jahrbuch der kunsthistorischen Sammlungen in Wien, 54, Vienna 1958.
  • R.Bernardinello, Ferdinando II, raccolte d’arte e di meraviglie ad Ambras, tesi di Laurea magistrale in Storia delle Arti e Conservazione dei Beni Artisti, 2013-2014
  • R.Capucci., Roben wie Rüstungen, Mode in Stahl und Seide, einst und heute, Vienna 1990.
  • S.Borghesi, (a cura di) I grandi Musei del Mondo, Kunsthistorisches Museum di Vienna, Mondadori Electa Spa, 2004

(1) Alessandro Zanotto, Debora Gusson, Daniela Menetto

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