La Guerra della Lega di Cambrai (1508-1516). IV parte

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Mappa della città di Cambrai

La Guerra della Lega di Cambrai (1508-1516). IV parte

Congresso di Cambrai e deliberazioni che vi si prendono

Né tali sospetti della Repubblica erano vari, e sotto pretesto di trattare della pace con il duca di Gheldria convennero a Cambrai alla fine dell’anno il cardinale d’Amboise ministro e confidente di Luigi XII, e Margherita d’Austria figlia di Massimiliano e vedova del duca di Savoia con pieni poteri dei loro committenti, astenendosi, per maggior segretezza, di ammettere alle loro conferenze l’ambasciatore di Spagna e il nunzio del Papa. Dopo molte difficoltà ed alterchi, tanto che la principessa ebbe a scrivere che poco mancò si acciuffassero per i capelli, due trattati furono sottoscritti il 10 dicembre, per il primo dei quali si conciliavano le differenze del duca di Gheldria con l’arciduca Carlo nipote di Massimiliano e si stabilivano le relazioni dei feudi dei Paesi Bassi con la corona di Spagna, obbligandosi altresì il re dei Romani di accordare a Ludovico XII una nuova investitura del ducato di Milano: con il secondo fu stipulata la lega d’Europa contro Venezia “per far cessare le perdite, le ingiurie, le rapine, i danni che i Veneziani hanno arrecato non solo alla santa sede apostolica, ma al santo romano imperio, alla casa d’Austria, ai duchi di Milano, ai re di Napoli ed a molti altri principi occupando e tirannicamente usurpando i loro beni, i loro possedimenti, le loro città e castella, come se cospirato avessero per il male di tutti … Laonde, così conchiudeva il preambolo relativo al trattato di Cambrai, abbiamo trovato non solo utile ed onorevole, ma ancora necessario di chiamar tutti ad una giusta vendetta per spegnere, come un incendio comune, la insaziabile cupidigia dei Veneziani e la loro sete di dominio“.

Spartimento delle terre veneziane. La repubblica non ignora codesti maneggi

Veniva poi la spartizione che volevasi fare dello Stato veneziano: ritornerebbero al papa Ravenna, Cervia, Faenza, Rimini, i castelli e quanto rimaneva ancora ai Veneziani del territorio di Imola e Cesena; riacquisterebbero l’imperio Padova, Vicenza e Verona, Roveredo, il Trevigiano, il Friuli, l’Istria; si darebbero al re di Francia Brescia, Bergamo, Crema, Cremona, la Ghiaradadda, e tutto le dipendenze del ducato di Milano; il re di Spagna e di Napoli riavrebbe Trani, Brindisi, Otranto, Gallipoli e le altre terre che i Veneziani avevano avuto in pegno da Ferdinando II; il re d’Ungheria, se fosse entrato nell’alleanza avrebbe recuperato la Dalmazia, il duca di Savoia il regno di Cipro ecc. A conseguire pienamente lo scopo, il papa aggiungerebbe le armi spirituali alle temporali dei principi confederati, i quali però dovevano adoperarsi ciascuno per sé ad acquistare le terre assegnategli, cominciando la Francia le sue ostilità con il primo di aprile del prossimo anno 1509.

Vari avvisi che le ne pervengono

Chi abbia seguito attentamente la lunga serie di pratiche e quegli avviluppamenti diplomatici che fino dal principio del secolo preparavano la conclusione della lega che poi fu fatta a Cambrai, si sarà ormai persuaso che questa fu tutt’altro che l’opera del momento; che il governo veneziano ne aveva sempre avuto cenni ed avvisi dai suoi ambasciatori; che doveva attendersela di giorno in giorno e che quindi è una pura favola quanto finora fu scritto, che soltanto tardi la Repubblica ne venisse in cognizione. Infatti era la lega stipulata il 4 dicembre 1508 e il 13 scriveva Zaccaria Contarini capitano di Verona aver avuto lettere da Trento annunzianti l’arrivo di madama Margherita in Cambrai con cinquecento cavalli, un orator d’Inghilterra e due altri oratori fino dal principio di novembre, e correr voce in Trento che si maneggiava una lega tra il re dei Romani e quelli d’Inghilterra, di Francia, il Papa ed i Fiorentini contro la Repubblica. E da Milano scriveva il segretario Caroldo il 22 dicembre che da colloqui avuti con Gian Giacomo Triulzio aveva ricavato della pace conclusa tra i re di Francia e quello dei Romani e non è ben per la Signoria, e che il Cristianissimo verrebbe in Italia e seguirebbe Massimiliano. Altra lettera scriveva il 30, aver inteso quant’era stato convenuto a Cambrai ed era contro la Signoria; aver i collegati preso quattro mesi di tempo a nominare ciascun i propri aderenti con questo che per niuna parte si possi nominar veneziani.

Il Senato domanda chiarimenti 

Alle quali notizie il Senato scrisse tosto ai suoi ambasciatori in Francia e Spagna: si presentassero a quei re e domandassero chiarimenti, ma profonda era la dissimulazione con cui quei principi si studiavano di coprire i loro pravi disegni.

Profonda dissimulazione del re di Francia, del cardinale di Roano e del re di Spagna

Il 14 dicembre, Lodovico era andato ad un villaggio a dieci miglia da Blois, e l’ambasciatore veneziano, cavalcatogli tosto dietro, il sopraggiunse all’ora della messa. Sua Maestà gli fece allor dire si trattenesse pure; lo invitò anzi a restare seco, e poi gli parlerebbe. Difatti dopo il desinare il re lo chiamò a sé gli disse della conclusione della pace con l’imperatore a Cambrai,  e che vorrebbe mantenere con questa buona amicizia, però osservava: questa vostra tregua mi ha fatto spender molti danari, e che l’investitura di Milano gli costerebbe ben duecentomila ducati. Né volle entrare in altri particolari, e quante volte l’oratore cercava tornare sull’argomento, lo rimetteva alla venuta del cardinale di Roano.

Finalmente questi arrivò; l’oratore gli andò incontro a tre miglia e il cardinale gli fece buona ciera. Recatosi quindi la mattina dopo al re per ragionare della lega, quegli sempre sviava il discorso; andò poi al cardinale, e questi gli disse che si era trattato di una lega contro i Turchi. E i capitoli? domando l’oratore. “Domine orator, rispose il Roano, Avete ragione, andrò ora dal re e poi ve li mostrerò“. Tornò l’oratore il domani, ed il cardinale: “Fui è vero con il re, ma si è discorso d’altro; voi volete vedere i capitoli? è giusto” e chiamò il segretario perché li recasse. Allora toccava al segretario fare il difficile e mettere in campo obbiezioni, e che bisognava prima richiederne Sua Maestà, e così si andava di giorno in giorno protraendo. L’oratore però ben penetrava tutta la faccenda e né scriveva a Venezia.

Più copertamente ancora si conduceva il re di Spagna, il quale ora diceva non aver per anco ricevuto i capitoli, ora che si erano lasciati quattro mesi di tempo a ciascuno dei contraenti per nominare i propri amici, ora che si era fatta lega contro i Turchi.

Lettera dell’ambasciatore Corner, da Valladolid

Finalmente scriveva il Corner da Vagliadolid il 17 febbraio 1508 (m.v. cioè 1509): “A questi giorni da poi partita questa Maestà da qui et andata ad Archos, l’illustrissimo gran capitano (il Gonsalvo) mandò da me un messer Antonio Spinola genovese, che fu nel regno di Napoli suo condottiero, il quale per giudizio mio è grandissima persona, e da parte di Sua Signoria si dolse con me in questa lega che si diceva esser fatta a danni della Celsitudine Vostra. Dissemi che Sua Signoria aveva desiderio di parlarmi, e che gli saria grato che io andassi a messa la mattina seguente alla Mercede che è chiesa non molto frequentata e nell’estremità della terra. Risposi che io rigraziava sua Signoria soggiungendo che non mi poteva persuadere questa nova esser vera né ragionevole non avendo causa alcuna i principi cristiani di offender quell’eccellentissimo Senato; che però mi sarei racato di buona volgia dove sua Signoria richiedeva. E così la mattina andai, dove sua Signoria dopo il conveniente congresso mi disse: non voglio star molto con voi per non dare sospetto ad alcuno; quanto vi manderò a dire con m. Francesco Spinola reputate esservi detto da me. La sera infatti mandò da me m. Francesco il quale mi portò una polizza di certe novità che è copia ovvero summario di una lettera che sua Signoria aveva ricevuto da sua moglie in Genova, la quale scriveva:La venuta del re di Francia in Italia è cosa certa ed esso ha scritto al governatore di questa città che sarà alla Pasqua in Milano et che in Bologna si vedrà col Papa e con l’imperatore e che la regina de Franza viene qua. Il re ha domandato a questa città quattro (galee?) per quest’impresa et altre a suo soldo. La terra gli ha risposto che darebbe questo è più. La guerra ancora non è bandita per pubblica voce e contro Veneziani, ma cominciano apparire segnali della sua fortuna. In tutto il ducato di Milano sono vietate le tratte di vettovaglie e di cavalli; dicono che il re di Franza meni seco gran gente, cioè due mille cinquecento uomini d’arme e venti mila fanti, dicono che il duca di Gheldria è capitano dell’infanteria, che mons. de la Tramoglia sarà capitano generale. Qua si dice che venirà armata del re di Spagna ed ancora che S.M. verrà a unirsi con lui e altri principi; et questo corre tra li franzesi. Per molta parte si dice che sia certificata la venuta di V.S. in Italia: questo la Vostra Signoria lo deve meglio sapere: qui si crede per certo che V.S. venga con S.M. Oggi che sono 29 gennaro è venuta un’altra staffetta del re di Franza il quale dà molta pressa alle (galee); vuole che siano sei almanco, e dice che quelli di questa città che hanno mercatanzie et altre cose in terra di Savoja fa molte gente per pigliare il regno di Cipri che gli appartiene; che il re di Franza ha scritto a Milano facendogli sapere la venuta sua colla gente che mena e come vuole pigliare tutto quello che i Veneziani tengono del ducato di Milano, e che gli facciano sapere con quanta gente potranno servirla; gli hanno risposto che a sue spese vogliono recuperare tutte le terre del ducato“.

Continuava il Corner il suo dispaccio narrando come il Gonsalvo gli aveva comunicato aver egli saputo dalle parti di Fiandra che a Cambrai si era fatta la divisione dello Stato veneziano, esortava quindi l’ambasciatore a scriverne alla repubblica e offrirle il suo braccio e il valore suo, aver ancora abbastanza forze nel regno di Napoli, e godere in quello ed in Spagna non poco favore: essere mal contento del modo con che il re aveva rimunerato i suoi servigi; e per ciò tutto pronto a consacrarli in pro e vantaggio della serenissima Repubblica dalla quale attendeva sollecita risposta. “Il che inteso, conchiudeva l’oratore il suo dispaccio, non mi parse alieno dall’officio mio toccargli la buona intelligenza et amicitia che è fra la Serenità Vostra et questa Maestà, et dirli che non mi poteva persuadere tanta discortesia nelli principi christiani come mi haveva narrato, tamen che per compiacere Sua Signoria, la quale ringratiava della buona mente et desiderio suo di gratificar la Serenità Vostra, scriveria il tutto cauto e diligentemente ecc“.  

Avute queste notizie il Corner si presentò al re manifestandogli che la Signoria aveva avuto avviso dal suo oratore in Francia, di quanto si macchinava, ma che essa pure sperava che S.M. non prenderebbe parte a queste perturbazioni che potevano riuscire dannose a tutta la Cristianità. Si mostrò il re a principio molto sorpreso e conturbato, poi disse, veramente avere il re di Francia motivo a dolersi dei Veneziani a cagione della tregua. E facendogli osservare l’oratore come la Repubblica aveva respinto ogni proposizione fattale per staccarla dai suoi alleati, e che della tregua non era a dolersi poiché il cessar dalle armi non è lega né mutazione, né alienazione dell’antica fede, e che nella tregua stessa erano stati inclusi i re cristianissimo e Cattolico; soggiunse il re, che ore andava a Vagliadolid, che era più impacciato a condurre sua figlia che tutta l’artiglieria del re dei Francesi e la sua, e che colà gli darebbe risposta. Ma le parole erano sempre ambigue, e ben si vedeva che si voleva procrastinare più che fosse possibile una spiegazione. Un giorno il re volle sapere della decima che Venezia imponeva sul clero, e lodò che tutti concorrevano  nelle imprese pubbliche. “Il re di Francia e la Repubblica, disse, hanno danari; non così l’imperatore né io, ma occorrendo saprei trovarli“. Intanto l’8 marzo si bandiva pubblicamente nella piazza di Vagliadolid che chi volesse portar danari per la guerra contro i Veneziani, il facesse. L’ambasciatore andò al re; questi si mostrò come al solito stupefatto di quanto udiva: disse aver sempre amato la Signoria, che  la avvertiva stesse bene provvista, che intanto egli non poteva lasciare senza buona guardia i suoi luoghi di Napoli venendo il Cristianesimo in Italia.

Ma la commedia volgeva al suo fine, e il 20 aprile veniva intimato all’ambasciatore da parte del re, che questi sebbene a malincuore ed anzi per agevolare il modo di un componimento, era costretto a licenziarlo. Il Corner chiese di parlare al re il quale gli confermò che così voleva per non dar sospetto ai suoi alleati; al che l’altro rispondendo non essere costume di partire senza il consentimento del proprio governo, pregava di poter attendere la risposta da Venezia; andrebbe intanto a san Giacomo e lascerebbe un segretario in sua vece. “No, disse il re, non voglio che andiate in cammino più presto che potete e avviserò io di tutto la Signoria e vi fornirò di salvacondotto“. Così partiva il Corner dalla Spagna, non senza aver avuto prima un altro abboccamento con il Gonsalvo, che rinnovava le sue offerte e si indirizzava con queste al Consiglio dei Dieci.

Altri avvisi da Londra

Altre notizie riceveva la Repubblica dall’Inghilterra con lettere del 15 dicembre di Nicolò da Ponte mercante veneziano a Londra, al quale persona degna di fede e di grande entratura a corte aveva fatto importantissime rivelazioni insieme con l’offerta di quel re di adoperarsi con impegno alla pace tra la Signoria e l’imperatore.  (1) … segue

(1) SAMUELE ROMANIN. Storia Documentata di Venezia Tomo V. Tipografia di Pietro Naratovich 1856.

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