Società Lionese del Gaz, a San Francesco della Vigna e a Campo di Marte

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Gasometri a San Francesco della Vigna - Castello

Società Lionese del Gaz, a San Francesco della Vigna e a Campo di Marte

Nell’anno 1730 venne disposta l’illuminazione razionale della città di Venezia con i fanali ad olio. I primi 843, infissi ai muri dei palazzi, aumentarono fino a raggiungere il numero di 1750, nell’anno 1761, e di 1778 nell’aprile del 1773. In un documento sull’ “oglio serviente alla notturna illuminazione della Città compresa la Piazza San Marco e le strade annesse” si legge che all’inizio del XIX secolo la Serenissima disponeva di 2030 fanali, così suddivisi: 12 alla Giudecca, 27 nel Ghetto, 76 in piazza San Marco, 1915 sparsi per la città. Incaricati dell’accensione erano i bolleghieri, lampionai muniti di scala e dell’attrezzatura necessaria per poter svolgere al meglio tale operazione.

Risale al luglio 1839, invece, la seduta per l’approvazione del contratto con la ditta francese “De Frigère, Cottin, Montgolfier, Bodin” che prevedeva l’appalto dell’illuminazione di San Marco, e del suo circondario, mediante l’uso del gas.

La relazione, nella quale si annotava “Venezia che in nulla sta al disotto delle altre principali città specialmente per quanto torna bello e cospicuo non può disinteressarsi della questione della illuminazione a gas che attualmente si sta agitando anche a Milano”, proponeva di introdurre il nuovo sistema nelle vie centrali, quali Piazza e Riva Schiavoni, Merceria, San Bartolomeo, Calle Larga, con 146 fanali da realizzarsi in lamiera di ferro, muniti ai quattro lati e inferiormente di cristalli. La società francese, detta “La Lionese”, realizzò la prima officina del gas a San Francesco della Vigna e l’esperimento di accensione, in piazza San Marco, si tenne nei giorni 13 e 14 marzo del 1843, ma già nel febbraio di due anni prima era stata ammessa la proposta di illuminare lo spazio scoperto “collocandosi candelabri in ghisa con sovrapposte lanterne a doppio becco munite di riverberi tali da poter leggere il giornale in qualunque situazione della Piazza”.

Nonostante il costo del gas fosse decisamente inferiore rispetto all’utilizzo dell’olio, la sua introduzione sollevò violenti proteste da parte della popolazione (soprattutto per l’odore sgradevole che emanava): gli artisti, in particolare, si lamentavano per l’eccessiva intensità luminosa e per la colorazione della luce, alla quale si cercò nel tempo di ovviare mediante l’uso di reticelle imbevute di sali di sodio, potassio, litio e rame.

Il servizio di accensione e spegnimento delle fiamme veniva svolto a mano servendosi di lunghe pertiche in grado di aprire o chiudere il rubinetto di fuoriuscita del gas. Solo a partire dagli inizi del XX secolo si collocarono in ogni fanale orologi automatici a molla con carica della durata di una settimana. Con questo espediente, tuttavia, occorreva tenere permanentemente acceso durante tutto il giorno un piccolissimo becco a gas e all’ora prefissata l’orologio faceva scattare una leva che provocava l’accensione o lo spegnimento della reticella.

Nel 1886, esaminati alcuni progetti di illuminazione mediante elettricità, si realizzò il primo esperimento alla Giudecca. L’anno successivo il Comune concesse per dieci anni alla Società Walter-Edison la distribuzione di energia elettrica ai privati (per il servizio sulle pubbliche via, la Società del gas reclamava infatti l’esclusiva).

Nel 1889 si costituì la Società anonima per l’illuminazione elettrica di Venezia che realizzò un piccolo impianto per una ristretta zona del centro. A farla da padrone era comunque sempre il gas tanto è vero che risale al 1909 il rinnovo del contratto da parte del Comune con la Lionese, accordo che prevedeva la costruzione di una nuova officina nella zona dell’ex Campo di Marte, oggi Santa Marta. Il Comune era libero di introdurre e applicare qualunque sistema di illuminazione pubblica diverso, però doveva garantire (o pagare) un quantitativo minimo di gas: più tardi, per legge, questa clausola venne definitivamente abolita e nel 1922 si decise di sostituire l’elettricità al gas per illuminare l’intera città.

In quegli anni la stessa società francese divenne italiana, passando in proprietà all’Italgas che dal nuovo polo industriale di Porto Marghera provvedeva alla distribuzione capillare del combustibile fossile. Successivamente, nel 1969, ma ormai questa è storia recente, scaduta la concessione sessantennale, si è costituita la Veneziana gas la quale ha provveduto a sostituire su tutto il territorio il gas di cokeria con il metano. (1)

Nel 1924 la “Lionese” divenne italiana con il passaggio alla torinese Società italiana per il gas Italgas; due anni dopo si costituì la Società Veneta Industrie Gas o SVIG. Nel frattempo era nato e si stava sviluppando il nuovo polo industriale di Porto Marghera: qui i nuovi produttori di gas avevano allestito la produzione, da qui facevano partire la distribuzione del combustibile, probabilmente anche dalla produzione della Vetrocoke, per tutta la città (compresa Mestre). Nel 1969 la SVIG cambiò denominazione in Veneziana gas; Italgas deteneva sempre la maggioranza del pacchetto azionario. Nel 1996 la Veneziana fu assorbita dalla Italgas. (2)

(1) Fondazione Neri Museo Italiano della ghisa. Origine e storia dell’illuminazione pubblica a Venezia.

(2) https://www.fontimarghera100.it/sogg_produttori/veneziana-gas-venezia-1969-1996/

Dall’alto in basso, da sinistra a destra: Gasometro area ex Italgas a San Francesco della Vigna, Gasometri area ex Italgas a San Francesco della Vigna, Ponte Campo di Marte, Ex Campo di Marte, Ex Campo di Marte.

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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