Teodato Ipato. Doge IV. Anni 742-755

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Teodato Ipato. Doge IV. Anni 742-755.

Non si potrebbe ben definire quali motivi abbiano indotto i Veneziani ad abolire la dignità ducale, e ad affidare piuttosto il supremo potere ad un magistrato militare, vale a dire, al Maestro dei militi, imperocché variano gli storici nell’assegnare le cause di cotal mutamento. Sembra però doversene attribuire, più che ad altro, alle discordie intestine sorte fra Equilio ed Eraelea, riguardata quest’ultima da tutte le isole, e massime dalla prima, ambiziosa di troppo nel voler soprastare sull’altre, siccome sede di tre dogi successivi, e dell’assemblea nazionale. Nelle quali discordie, che costarono molto sangue, apparso essendo Orso troppo caldo parteggiatore degli Eracleani suoi concittadini, intravidero i Veneziani il suo intendimento di passare i limiti dell’autorità a lui conceduta. Quindi accadde, che per questa mal intesa albagia degli Eraelcani si deliberò raccogliere l’assemblea in Malamocco, isola di quei tempi, secondo afferma Bernardo Giustiniano, più frequente e maggiore delle altre.

Radunatisi i comizi, e proposta dai tribuni l’elezione del nuovo Doge, sorsero gravi tumulti, intorno la qualità del governo da doversi adottare. Quindi fu rappresentato da alcuni: essersi abolito il poter tribunizio a cagione delle perpetue discordie e della mala amministrazione dei tribuni, né doversi richiamarlo a vita: ed i più, memorando la funesta esperienza della podestà ducale, durevole a vita, e con acerbe parole pingendo la superbia di Orso, fecero che l’odio contro di lui passasse in avversione della dignità ducale, e venisse con decreto soppressa. E, nelle contrarie opinioni circa il governo da scegliersi, la storia dei Romani fece correre al pensiero di quei loro discendenti, che i tribuni militari erano s1ati nel tempo della repubblica, ed i maestri dei soldati in quello dell’impero. Siccome però non suonava gradito il titolo di tribuno nel capo dello Stato, si convenne dargli il nome di Maestro dei militi, e a ciò più facilmente si inchinarono, in quanto che questo nome era già stato imposto a Marcello, siccome capitano dell’armi, ducando Paoluccio Anafesto. Venia, da ultimo, statuito che il novello capo della repubblica, avesse il potere medesimo goduto dal Doge, con questo però, che trascorso un anno, ceder dovesse l’autorità ad un altro eletto dall’assemblea.

Stabilito il nome, il tempo e la podestà del nuovo capo, fu stabilito anche che dovesse risiedere, non più in Eraclea, già stata teatro di sangue, ma nello stesso Malamocco, ove raumati si erano i comizi; e quindi fu eletto, nell’anno 738, per Maestro dei militi

I. Domenico, soprannominato Leone per il suo valore nelle armi; né più ci dicono le cronache; ma questo ricordato valore ci dimostra che abbia condotto i Veneziani a vittorie sul mare. Passato l’anno fu chiamato a succedergli

II. Felice Cornicola, uomo umile e pacifico, giusta il Sanudo, il quale procacciò di calmare la guerra, con tanto danno raccesasi fra Equilio ed Eraelea dopo l’uccisione di Orso, e richiamò in patria l’espulso figlio di quello, Deodato. Curò anche l’arte del costruire barche armate crescesse per larghi prendi, i quali trassero dalle vicine coste d’Italia i migliori maestri di quest’arte; e fece stanziassero in Malamocco, che ferveva di studio e di lavoro. A questi seguitò

III. Diodato, il detto figlio di Orso, che sapiente ed ottimo ben resse lo Stato, e tanto che, al dire di alcuni cronacisti, fu riconfermato per un altro anno. Dopo il quale venne insignito della dignità

IV. Giuliano, o Gioviano Cepario, che ebbe dall’imperatore il titolo d’Ipato, o per avere rimesso in sede l’arcivescovo di Ravenna, cacciato dai Longobardi, secondo affermano alcuni, o veramente per qualche aiuto recato a Costantino Copronimo, successore di Leone, contro gli Arabi o contro il ribelle Artabaso, come vogliono altri. Finalmente fu chiamato alla carica

V. Giovanni Fabriciazio, o Fabriciaco, o Fabriaco. Questi, in scambio di sedare, accendeva per malvagio intendimento la guerra fra Eraelea ed Equilio, e d’ altra parte era tristo oppressore del popolo. Ma le discordie che suscitava per soggiogare il popolo stesso, anzi che esaltazione maggiore, gli preparavano caduta. Finalmente la sanguinosissima battaglia accaduta per l’ampio canale dell’Arco, dove gli abitatori delle due isole rimasero decimati ma non rappacificati, lo perdette; perché, scoperto il suo disegno, fu preso, e, a modo dei Greci, abbacinato.

Il fatto di questo ultimo Maestro dei militi, valse a far sì che si tornasse alla nomina di un doge; e quindi, raccoltasi l’assemblea in Malamocco, elesse a quarto doge Deodato o Teodato, figlio di Orso, già Maestro dei militi, ed insignito, come vedemmo, del titolo d’Ipato. Ciò avvenne nell’anno 742. Provvidero però i Veneziani con prudenti e severe leggi contro la malefica superbia degli ambiziosi che calcassero od intendessero calcare e torre libertà; e, per allontanare ogni gara fra Eraelea ed Equilio, stabilirono la sede ducale a Malamocco.

Fu cura di Teodato rinnovare coi Longobardi i patti e confermare i confini già stabiliti tra Liutprando ed Anafesto: e sebbene avessero i Longobardi stessi rotta guerra all’impero, e ritolta Ravenna all’esarca, pure il Doge rimase neutrale, e dal decadimento di quella città ne ritrasse vantaggio al patrio commercio, estendendo la navigazione non solo nei mari orientali, ma anche negli occidentali e lungo le coste ed i porti dell’Africa e delle Spagne.

Sennonché tale prosperità fu turbata ad un tratto, a cagione delle nuove discordie suscitatesi fra l’una e l’altra famiglia tribunizia, tra le quali si nominano quelle degli Obeleri di Malamocco, dei Villonici e Barbaromani di Eraclea e dei Cauli di Equilio. Nelle quali discordie, sembra che Teodato, eracleano di nascita, sostenesse la parte dei suoi, sicché ne sorse contro di lui l’odio degli Equiliani. E siccome egli, vigilatissimo della patria libertà, per munirsi dai troppo vicini Longobardi, già possessori di Ravenna, ordinato aveva la costruzione di un propugnacolo presso Brondolo, dominatore della foce dell’Adige e del porto di Chioggia, così i nemici di lui sparsero astutamente, che quel munimento non fosse altrimenti eretto per ripararsi dagli attentati del guerresco ed ambizioso re longobardo Astolfo, ma piuttosto per imporre agli interni nemici, e mezzo per alzarsi tiranno della patria. Di queste arti si valse Galla Gaulo, uomo scelleratissimo, che aspirava alla suprema dignità dello Stato, per suscitare più sempre gli animi degli Equiliani, ed assalire un giorno Teodato, mentre si trovava a Brondolo, o da colà ritornava, e presolo, lo abbacinò, e deporre lo fece dal seggio ducale, l’anno 755, cioè dopo tredici anni circa di principato. (1)

(1) Il Palazzo Ducale di Venezia Volume IV. Francesco Zanotto.  Venezia MDCCCLXI

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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