Famiglia Cornaro

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Salizada Streta, 103 (Castello) - Stemma Corner

Famiglia Cornaro

Cornaro Dalla gente romana Cornelia, molto illustre nell’antica storia, trasse origine la casa Cornaro veneziana, e ciò per sentimento dei Crescenzio, dell’Orsato, del Motti e dello Zabarella, il quale ultimo afferma anzi essere stato primo stipite della caso in parola Publio Cornelio Scerapione, pontefice massimo e console, il quale, passato a Padova, vi propagò la famiglia Cornelia, e fu avo di quel Cajo Cornelio augure celebratissimo, che dimorando in Padova, divinò gli avvenimenti lontani del memorabile conflitto tra Cesare e Pompeo in Farsaglia. Li posteri poi di costui si ridussero nelle isole della Venezia, nella persona, dice il citato Zabarella, di Simeone Giunone, che con altri Padovani edificarono Rialto. Non mancano però altri, come il Frescot, che dicono, venuti i Cornelii da Roma in Rimini e poscia nelle isole. E certo tuttavia che per sentimento comune di tutti gli scrittori la casa Cornaro provenne dai Cornelii di Roma, intorno e che è da vedersi il Cappellari, nel suo Campidoglio Veneto, il quale raccolse diffusamente le sentenze di ogni scrittore. Trapiantata adunque la casa in parola nelle isole, fu una delle prime dodici, dette, per il numero, apostoliche, in cui fu costituito il primo corpo della nobiltà patrizia, sicché produsse tribuni antichissimi, e poscia numero immenso d’uomini illustri. Quindi eresse molti splendidi palazzi, contribuì alla rifabbrica della chiesa dei Santi Apostoli, e innalzò monumenti cospicui in molte chiese di Venezia e fuori, ove non è a dire quante altre memorie onorate conserva.

Molti sono gli scudi usati in vari tempi da questa casa, annoverandone fino a sedici il Coronelli. Il Cappellani però ne distingue sei soltanto, siccome i soli adoperati al suo tempo. Il primo, partito d’oro e di azzurro, che è quello che si doveva sottoporre al ritratto del nostro doge ma che per lo sbaglio dell’incisione, fu cangiato con l’altro doge Antonio Veniero, sotto del quale poi, in conseguenza dello stesso errore, fu posto il descritto del Cornaro. Il secondo, partito pure d’oro e di azzurro, con una corona nel centro dei colori contrapposti. Il terzo, partite similmente d’oro e di azzurro, con due tronchi, l’uno sopra l’oro, l’altro sull’azzurro dei colori contrapposti, e questi vogliono che fossero inseriti per concessione di un principe di Palestina. Il quarto, partito come sopra ma con l’azzurro a sinistra e l’oro a destra, ha nel mezzo uno scudetto d’oro, carico di un’aquila nera, concessa dall’impero. Il quinto è quadripartito colle armi di Gerusalemme e di Cipro, e con uno scudo in mezzo partito d’oro e d’azzurro. Il sesto, finalmente, è partito con l’arma dei Lusitani a destra e la Cornaro a sinistra.

Il doge Marco Cornaro nacque nel 1285 da Giovanni, detto il Grande, già provveditore in Candia, e che attese nella verde età ad informarsi lo spirito nelle letterarie discipline, onde ebbe titolo di dottore. Quali cariche sostenesse fino all’età d’anni 54 non ci è noto, e solo sappiamo che nel 1336, qual uomo degno per la sua capacità e probità, fu designato con Andrea Morosini a provveditore in campo, contro Martino Scaligero signor di Verona, e partiva da Venezia con Pietro Rossi, eletto generale dell’armata, per la Motta trevigiana, luogo assegnato per unir le milizie. Il Cappellari nota, che nei due anni appresso, cioè nel 1337 e 1338, il Cornaro sedé siccome podestà di Padova. Era egli nel 1345 in Zara, quale conte governatore per la Repubblica, quando, ribellatasi quella città in favore di Lodovico re d’Ungheria, dovette Marco ripararsi nel castello, fino a che, nell’anno appresso, ricuperata venne per il valore di Marco Giustiniani.

Mossa poi guerra, nel 1348, dai Genovesi, e perdutasi da Nicolò Pisani, presso le acque di Costantinopoli, decisiva battaglia, fu ordinato con nuova legge che il generalissimo dovesse aver seco quattro provveditori. Fu eletto allora uno dei quattro il nostro Cornaro, essendo fra i principali senatori. Poi fu Marco ambasciatore presso il re d’Ungheria per maneggiare la pace; indi a Carlo IV re dei Romani, dal quale, nel marzo 1354, venne creato cavaliere. Nella congiura scoppiata l’anno appresso del doge Marino Faliero, il Cornaro, alla testa delle milizie fedeli guardò la piazza di San Marco ed i luoghi circonvicini, onde col suo valore contribuì a reprimere i rivoltosi. Subita la sentenza di morte dal doge traditore, venne il nostro Marco eletto vice-doge, nella qual carica stette fino alla elezione del nuovo doge Giovanni Gradenigo. L’anno stesso passava a Padova siccome podestà, e veniva rimosso l’anno appresso per essere unito a Marino Grimani, designati ambasciatori a Lodovico re d’Ungheria, affin di stabilire le condizioni di pace, che non furono poi accettate; e solo nel febbraio 1358 veniva finalmente fermata. Destinato novellamente ambasciatore appo Carlo IV, ritornando egli alla patria, fu imprigionato dal castellano di Sench; ma per ordine del duca d’Austria fu liberato con Giovanni Gradenigo. Morto il doge Giovanni Delfino, si trovarono i voti divisi tra Pietro Gradenigo, Leonardo Dandolo ed il nostro Marco, il quale era tuttavia prigioniero in Germania; se non che, come a suo luogo narrammo, essendo stato eletto Lorenzo Celsi, In patria dava al Cornaro attestato solenne di gratitudine, decorandolo della stola procuratoria de supra, il dì 11 gennaio 1362, in luogo del morto Nicolò Giustiniani. Finalmente, passato alla seconda vita il Celsi, veniva assunto alla suprema dignità dello Stato, il dì 24 luglio 1365, siccome dicemmo.

L’urna cospicua, che chiude i resti mortali di questo doge, è collocata nella parete destra della cappella maggiore in Santi Giovanni e Paolo. Sopra essa urna giace supina la statua di lui vestita delle ducali divise e col brando a lato. Superiormente sono inscritte cinque nicchie, delle quali le due estreme, minori delle altre, finiscono in guglie. Entro le tre nicchie centrali sono disposti i simulacri della Vergine Madre e degli apostoli Pietro e Paolo: le due minori accolgono altrettanti garzoni coperti di tunica talare, e recanti in mano un candelabro. L’inscrizione sottoposta, e che anticamente non poté leggersi dal Sanudo e dal Sansovino, perché coperta dai dorsali del coro, andò spezzata e quindi perduta allorquando fu rimosso l’urna, per collocarvi vicino il monumento grandioso del doge Andrea Vendramino.

Il doge Giovanni Cornaro nacque nel 1554 da Marc’Antonio, e, secondo il Cappellari, dopo di aver sostenuto alcune magistrature, fu eletto, nel 1594, 1 capitano di Verona, e l’anno dopo, nella stessa qualità, passò a Vicenza. Fu quindi, nel 1597, podestà di Brescia, e negli anni seguenti 1599 e 1604, lo fu anche di Padova. Era savio del Consiglio, quando venuto a morte, Alvise Priuli, venne in suo luogo creato, il 29 maggio 1609, procuratore di San Marco de sopra. Nel 1617, fu provveditore generale dell’esercito, e nel seguente, come anche nel 1622, sostenne la carica di riformatore dello studio di Padova; e finalmente, il dì 4 gennaio 1625, veniva esaltato al trono ducale, siccome superiormente dicemmo. Dei cinque suoi figli accennati, Federico, dopo aversi dottorato a Padova ed essere stato cavaliere di Malta, gran commendatore e gran priore di Cipro, e vescovo di Bergamo, veniva da Urbano VIII, il 19 gennaio 1626, creato prete cardinale, del titolo di Santa Maria Traspontina, poi di San Marco, indi vescovo di Vicenza, poi vescovo di Padova, e finalmente, nel 1632, eletto patriarca di Venezia, a cui rinunziò nel 1644, ritirandosi a Roma, ove morì nel 1652. Marcantonio, il secondo, fu nel 1619 eletto primicerio di San Marco, e quindi, nel 1633, passò vescovo di Padova, morto nel 1636. Il terzo, Luigi, cavaliere, fu, nel 1620, ambasciatore residente alla corte di Spagna, ed era versatissimo
nella filosofia, teologia e nelle belle lettere latine e volgari. Il quarto, Francesco, sostenne varie ambascerie, ed ottenne da ultimo il supremo onore della patria, dopo la morte del doge Carlo Contarmi, come in seguito vedremo. L’ultimo, Giorgio, giusta quanto riferimmo, fu bandito, e ritiratosi a Ferrara, ivi poi fu ucciso.

Il doge Francesco Cornaro ebbe i natali da Giovanni nel 1585, e dopo di aver sostenute parecchie magistrature in patria, fu spedito nel 1629 ambasciatore ordinario alla corte di Savoia. Essendosi allora stretti i Veneziani in lega con Francia per assistere il duca di Mantova, contro Spagna e Savoia stessa, il duca Carlo Emmanuele licenziava il Cornaro per sospetto che egli avesse intelligenza coi Francesi; onde tornato in patria, passò, l’anno appresso, ambasciatore in Spagna. Nota il Cappellari essere stato Francesco insignito della dignità di cavaliere, ed in patria e fuori aver sostenuto molti uffici i gelosi, tra quali il capitanato di Brescia, e nel 1647, il consiglierato. Fu anche, nel 1653, riformatore dello studio di Padova, e finalmente venne chiamato al trono, ducando brevi giorni, siccome dicemmo. Menò a moglie una figlia del doge Antonio Priuli, dalla quale ebbe fra gli altri figli, Giorgio, che fu vescovo di Padova, morto nel 1664; Federico, senatore e cavaliere della stola d’oro, morto nel 1678; e Marc’ Antonio, cavaliere di Malta e gran commendatore di Cipro.

Il doge Giovanni Cornaro nacque da Federico q. Francesco doge, nel 1647, e sostenute in patria al quante magistrature, passava, nel 1682, luogotenente in Udine, la quale, per le solerti cure di lui, fu salva dalla pestilenza che la minacciava ai confini della Germania. Poi andò podestà a Brescia, ove ebbe il merito di provvedere, con grave sacrificio del suo, alla carestia che affliggeva quel popolo. Ed a Palma pure, in cui si recava come capitano supremo di quella fortezza, mostrò il suo zelo, nel riparare sollecito i danni e le ruine accagionate dallo straripamento dei fiumi. Espatriatosi, fu eletto consigliere nel 1696-1699, e nel 1708 venne promosso a senator dei Pregadi. Morto, nel 1709, il doge Alvise Mocenigo, fu uno dei cinque correttori della Promissione ducale, ed anche uno degli elettori del nuovo doge, rimanendo egli stesso eletto principe, come superiormente dicemmo. La sua modestia fu tale e tanta, che quantunque avesse largamente speso oro e cure nelle città e provincie rette da lui, non volle che in onor suo si alzasse verun monumento dai grati popoli. Tale virtù, che non fu la sola posseduta dal Cornaro, gli meritò l’amore e la stima dei suoi concittadini, che il piansero dopo morte. (1)

(1) Il Palazzo Ducale di Venezia Volume IV. Francesco Zanotto. Venezia MDCCCLXI

Dall’alto in basso, da sinistra a destra: Fondamenta de la Tana, 2130 (Castello) – Salizada San Luca, 4195 (San Marco) – Chiesa dei Frari, 3012 (San Polo) – Campo San Luca, 4591 (San Marco) – Salizada Streta, 103 (Castello).

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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