Palazzo Savorgnan a San Geremia

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Palazzo Savorgnan a San Geremia. In "Venezia Monumentale e Pittoresca", Giuseppe Kier editore e Marco Moro (1817-1885) disegnatore, Venezia 1866. Da internetculturale.it

Palazzo Savorgnan a San Geremia

Lungi dall’idea di esagerare nel dar giudizio sul valore degli artisti, ma anzi mirando alle giuste gradazioni del merito, non vogliamo essere però tanto severi, da spregiare le opere di chi fioriva nell’epoca stessa della decadenza dell’arte. Chi può infatti ignorare, che Giuseppe Sardi di Morcò, appartenesse alla schiera dei manieristi, e che molto non si distinguesse, a dir vero, per finezza di gusto nei sui disegni di architettura? Pure, se trasportiamo lo sguardo dalla facciata della chiesa di Santa Maria Zobenigo, che diremo la più trista delle sue opere, come lo è del Tremignan quella di San Moisè, al prospetto del tempio degli Scalzi, al mausoleo, che separa l’atrio dalla chiesa Scamozziana dei Mendicanti, a cui fece la faccia esterna, e agli altri prospetti della chiesa di San Salvatore e della scuola di San Teodoro, che per lungo tempo si scambiarono per opere del Longhena, saremo più indulgenti almeno del Ticozzi. Più volentieri citeremo il dizionario del p. Adelli, che ricorda il Sardi come ingegnere espertissimo, trascelto dalla Repubblica a suo architetto. Di lui è il modello di questo palazzo, la cui faccia, di marmo d’Istria a bugne, sorge con sufficiente ordine architettonico. Gli stemmi, ripetuti anche nelle aggiunte laterali, che furono scalpellati entro lo scudo, nel tempo democratico (l797-4798), si foggiarono alla Sansovinesca, con ricchezza di ornati sul marmo, e si vede l’elmo sulla sommità, allusivo alla casa guerriera, di cui toccheremo, che fu la fondatrice dell’edificio.

L’atrio è di ordine toscano, e molto splendido, con sedili di marmo, e dodici colonne di pietra greggia, che stanno per metà inserite, a destra ed a manca, nelle pareti, le quali si eressero per comporre degli stanzini di comodo. Erano disposte in origine a guisa di porticato, con rastrelli all’intorno, come si scorge nella porzione dell’atrio, che ancora rimane nella integrità primitiva, e che dal lato della cucina mette ad una scala secreta, corrispondente al piano nobile. Le varie porte dell’atrio, pure di pietra greggia dell’Istria, sono fregiate di ben ordinato frontone, il quale è sorretto da teste di leone, di buon lavoro. Magnifico è poi l’arco d’ingresso alle scale, con pilastri a riparto, e con capitelli jonici, e negli angoli del frontone quelle figure rappresentano i due fiumi, forse il Tagliamento ed il Piave, i principali del Friuli, ove i Savorgnani tenevano gran parte dei loro numerosi e signorili feudi. Le gradinate spirano eguale magnificenza, ricchissime di marmi e di colonne, tutte lavorate con rosoni spirali, a profusione, anche in ciascuno degli archi superiori; e in ogni piano, nei due pianerottoli, in alto e in basso, è di marmo il terrazzo di sommo pregio, con bell’opera a disegno di tarsia, che si può giudicare il facsimile del mosaico di Firenze, e di squisitissimo gusto. Avanzandosi al piano nobile, l’arcata, che mette al piccolo atrio, è doppia, sorretta da tre colonne di marmo fino delle cave friulane, con capitelli corinti, e frontone analogo, nei vani del quale stanno per ogni canto due angeli; gli specchi dei piedestalli del marmo stesso.

Principesco è il lusso appunto dei marmi che sono di Verona, nei contorni di tutte le porte, vagamente intagliate, con bronzi effigianti dei putti, che portano un planisferio, e di vero marmo di Carrara nei parapetti, sono tutti i balconi, con varie fogge di sculture a disegno. Nel soppalco della sala spicca un dipinto del cav. Bambini, e nel soppalco della Sala contigua l’altro dipinto si attribuisce al cav. Celesti. Si può dire poi, che le pareti di questo palazzo fossero tutte decorate dal pennello di Andrea Schiavone, ben venti contandosi le migliori sue opere. Pittore infelice, che senza coglier palma, mentre visse, vendeva per bisogno le sue opere ad infimo prezzo, come lo colse sul fatto il Vittoria, quando in piazza a San Marco si faceva mostrare i quadretti nascosti sotto il mantello: ora sopravvive immortale tra gli allori dell’arte; tarda, ma ben meritata giustizia a chi pure gareggiò col Salviati, col prete genovese, con Paolo, e con altri insigni contemporanei, nel dipingere gli ovali del prezioso disputato soppalco della biblioteca Sansovinesca.

I Savorgnan erano amantissimi dell’arti belle, e si ricorda il museo del Senatore Antonio, che si accrebbe con quello di Onorio Arrigoni, celebrato dal Maffei, ricco di 20.m medaglie, dal conte Pietro di questa casa cedute a Sua Maestà re Carlo Alberto il Magnanimo. I Savorgnani discendono, secondo i Cronisti, dalla gente Severa di Roma, e passarono poi in Aquileja, ove sorse Severino, fondatore del castello di egual nome, onde i posteri ebbero il nome di Severiani, corrotto in quello di Savorgnani. Tennero essi per lungo tempo il dominio di Udine, e furono in possesso di sette castella, del marchesato d’Istria, di un contado, e di ben sessanta villaggi. Girolamo pei sommi meriti ebbe la dignità di Senator del Pregadi, che in massima non con si ferma a forestieri, benché poscia aggregati al patriziato.

Egli, all’occasione della lega in Cambray, disperse ben 6000 nemici, e resistette per quarantacinque giorni, collo schermo del suo castelli di Osopo, contro tutto l’esercito di Massimiliano Imperatore, e ricuperava alla Repubblica quanto perdette in terraferma. Perciò fu eletto conte di Belgrado e di Osopo, coi suoi territori, ed ebbe in dono l5 ville, e Castelnuovo Palazzuola, con encomi e privilegi. Il valore infatti sembrò ereditario nei Savorgnani; più d’uno si distinse nella giornata del Taro, Jacopo a Novara contro Luigi XII re di Francia, alla guerra di Pisa, promuovendo vittorie e progressi all’armata Veneta, e più d’uno agli scogli di Lepanto. Furono consanguinei delle prime case guerriere d’ Italia, i signori Della Scala in Verona, i Vinciguerra, i Collalto, i Montalbano, i Trissino, i Pepoli e i Colloredo.

Questo palazzo, nel subito rivolgimento delle venete sorti, soggiaceva a forensi litigi, e passava in più mani aliene, quasi argomento di traffico. Fu bella ventura però, che nel 1826 lo acquistasse il barone cav. Francesco Galvagna, che vi pose amore e lo redense dalle ingiurie del tempo, con ingente dispendio, fattolo per gli addobbi e i dipinti armonizzare cogli avanzi della originaria magnificenza. Grande e delizioso è il giardino, encomiato fino ai suoi tempi dal Martinioni, e che fu ridotto elegante a paesaggio, ad imitazione dei giardini inglesi. Ivi sono diversi i punti prospettici, pittoresche le macchie, la distanza magica per le colline, pei viali che lo intrecciano, internandosi tra i tassi a disegno, i frequenti cipressi e gli allori, onde ride sempre l’aprile. Vi ha la grotta, la pagoda, il tempietto e piante esotiche in più serre, tutte le delizie in somma di un signorile giardino.

L’antico ingresso si apriva dinanzi lungo piedi 87 e largo 78, quando il giardino non si estendeva che a soli 340 piedi di lunghezza, come risulta dai disegni di Pietro Checcia, architetto e perito, pubblico ingegnere del 28 maggio 1802. Si può dire, tutto calcolato, pertanto, che, col confronto della cattiva epoca, in cui sorse questo palazzo, sia oggi ridotto alla perfezione più desiderabile, quasi diamante della miniera, a cui la mano assidua dell’artefice industre fa sviluppargli lo spirito della luce, acciò spicchi allo sguardo tutta l’occulta inaspettata ricchezza. Possiede ora questo palazzo S. A. l’Arciduca Francesco V d’Este. (1)

(1) GIANJACOPO FONTANA. Cento palazzi fra i più celebri di Venezia (Premiato Stabilimento Tipografico di P.Naratovich. 1865).

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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