Famiglia Dolfin

0
3959
Rio Terà Garibaldi, 1667 (Castello) - Stemma Dolfin

Famiglia Dolfin (o Delfino) Chi volesse accordare le varie opinioni degli scrittori intorno all’origine della casa Delfino, avrebbe a compiere opera malagevole e da altra parte vanissima. Perciò, chi dice essere derivati i Delfini dalla famiglia Gradenigo; chi, che tutte due queste case discesero dalla Memo; e chi la vuole venuta, con Antenore da Troia, e con questo fondasse la città di Altino, da cui poscia, per li incursioni dei barbari, si trapiantasse nelle isole realtine, e perciò annoverata tra le ventiquattro illustri case che costituirono il corpo della nobiltà patrizia; e chi la dice derivata con la Gradenigo da Aquileia; e chi, da ultimo, provenuta la vuole dall’isola di Mazzorbo. Ed è curioso il racconto che intessono il Malfatti, il Frescot, il Palladio ed il Gualdo, intorno al mutamento del cognome assunto dalla famiglia in discorso quando si separa dalla Gradenigo. Dicono costoro, senza accennare l’epoca, che uno dei Gradenigo, bello di corpo e di animo ardito, per la sua singolare perizia nel nuoto, acquistasse dal vulgo il soprannome di Delfino, e che egli, di ciò compiacendosi, mutasse in questo il proprio cognome di Gradenigo. Ma coteste son favole a cui ripugna la critica. Sbaglia poi il Cappellari nel registrare, sull’autorità da lui citata dell’Ughelli, siccome primo di questa famiglia un Delfino, nato in Altino e promosso, intorno al 480, a patriarca d’Aquileia; quando allora non vi era in quella città patriarca, ma vescovo, e ne teneva la sede, dal 453 al 48B, San Niceta, e quindi Marcelliano, oriundo di Tessalonica, fino al 500; assumendo soltanto, ed abusivamente, nel 557 il titolo di patriarca il vescovo Paolo. Ad ogni modo la casa Delfino è antichissima, e si trova ammessa, fino dall’800, al Maggior Consiglio.

Undici armi diverse usate dai Delfino porta il Coronelli nel suo Blasone: sono però due sole le principali. La prima mostra in campo partito d’azzurro e d’argento un delfino d’oro; la seconda è divisata con tre delfini d’oro in campo tutto azzurro.

Il doge Giovanni Delfino, nacque da Benedetto da Santi Apostoli, e studiò profondamente la giurisprudenza, sicché fu presto promosso al grado di senatore. Nel 1349 fu spedito ambasciatore a Costantinopoli per stringer lega con quell’Augusto contro i Genovesi, onde, a premio di avere ben condotto a termine il maneggio, al suo ripatrio, venne decorato della stola procuratoria de supra il dì 24 aprile 1350, in luogo del defunto Jacopo Soranzo. L’anno appresso si trovò al conflitto navale accaduto con li Genovesi nel Bosforo, e diede contezza al Senato della fatale sconfitta allora toccata dalla flotta veneziana, onde venne eletto, con Marino Grimani, Marco Cornaro e Marino Falier, procuratore in quella guerra. Nel 1352 fu uno dei quattro legati spediti in Candia al presidio di quella isola, e nel 1355 fu scelto fra i procuratori alla edificazione della cappella di Santo Isidoro in San Marco. Quindi, come superiormente dicemmo, si trovava alla difesa di Treviso quando veniva innalzato al seggio ducale. Dice il Sanudo, che ebbe due figli, Benedetto e Nicolò, il secondo dei quali troviamo che, essendo senatore nel 1367, fu uno fra quelli destinati a condurre al dogado Andrea Contarmi, che eletto principe ricusava quella dignità, come dice il Cappellari.

L’urna che serra le spoglie mortali di questo doge, dalla cappella maggiore, ove era collocata, si trasportò nella vicina cappella di San Pio, e ciò per dar luogo al monumento del doge Andrea Vendramino, che, dalla demolita chiesa dei Servi rimosso, si volle posto in quella dei Santi Giovanni e Paolo. Questa urna è di stile archiacuto, ed ha il prospetto diviso in cinque parti. Nel centro è scolpito il Salvatore in trono sotto un padiglione i cui drappelloni sostenuti sono da due angeli, ed inginocchiate, in piccole proporzioni si vedono le immagini del doge e di sua moglie. Alle estremità stanno quinci l’Angelo, e quindi la Vergine Annunziata, e fra questi ed il centrale è rappresentato, da un canto, l’Adorazione dei Magi, e dall’altro il Transito della Vergine espresso al modo antico. Nessuna inscrizione, e lo scudo solo del Delfino intagliato in testa alle mensole, accenna la destinazione dell’urna. (1)

(1) Il Palazzo Ducale di Venezia Volume IV. Francesco Zanotto. Venezia MDCCCLXI

Dall’alto in basso, da sinistra a destra: Campo Santa Margarita, 3412 (Dorsoduro) – Campo San Tomà, 2852 (San Polo) – Rio Terà Garibaldi, 1667 (Castello) – Rio de San Pantalon, 3430 (Dorsoduro) – Calle del Tragheto, 2793 (Dorsoduro) – Campo San Stefano, 2957 (San Marco) – Campo San Luca, 4574 (San Marco) – Campiello Selvatico, 5666 (Cannaregio) – Calle drio la Chiesa, 4439 (Castello)

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

SHARE

Lascia una risposta

Please enter your comment!
Please enter your name here

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.