Giovanni Delfino. Doge LVII. Anni 1356-1361

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Giovanni Delfino. Doge LVII. Anni 1356-1361

Cinque giorni dopo la morte del Gradenigo, vale a dire, il dì 13 agosto 1356, gli veniva dato a successore Giovanni Delfino, che si trovava allora assediato a Treviso dalle armi ungariche. Chiesto dalla Repubblica inutilmente un salvacondotto per il nuovo doge al re Lodovico, il Delfino, uomo di grande animo, uscì improvvisamente dalla città alla testa di valorosa schiera, facendosi strada per mezzo ai nemici, e giunse salvo a Mestre, ove fu ricevuto da dodici nobili ed onorevolmente accompagnato a Venezia il di 25 agosto.

La guerra intanto prendeva tristissima piega, sì per l’appoggio che dava agli Ungheri il Carrarese, e sì per le defezioni degli Onighi della Marca trivigiana e del vescovo di Ceneda, per cui credette la Repubblica spedire al Carrarese stesso Simeone Dandolo, onde rannodare seco lui pratiche di accordo. Ma invano; mentre egli non dava che buone parole, ed intanto si stringeva più sempre col re unghero, vettovagliando le sue truppe, ed impedendo perfino il passo ai soccorsi che ai Veneziani venivano dalla Romagna: per cui da qui i semi dell’odio che covò la Repubblica contro i Carraresi, che produsse in seguito la fine miseranda di questi.

Frattanto, premendo a papa Innocenzo VI di possibilmente arrestare i rapidi progressi dei Turchi, sollecitava una lega, onde abbattere quel comune nemico dei cristiani; ma conveniva cercare innanzi tratto la pace fra la Repubblica ed il re unghero, presso il quale appunto si adoperò in modo da concludere una tregua di cinque mesi soltanto, che fu segnata il dì 16 settembre 1356.

Senonché spirato appena il termine, ricominciò la guerra più accanita di prima, tanto nella Marca trivigiana, quanto nella Dalmazia, nella quale ultima si perderono le città di Traù, di Spalato e poi di Zara. Per cui più sorgeva il bisogno di venire ad un accomodamento, per cui decise il Senato spedire al re Lodovico un’ambasceria, affine di maneggiare la pace.

Dure furono le condizioni, con le quali, dopo molto discutere ed esitare, venne dessa conchiusa il dì 18 febbraio 1358, fra cui si fermava: rinunzierebbero i Veneziani alla Dalmazia e a tutti i diritti e titoli inerenti: farebbero, fra venti giorni, la consegna di quei luoghi non ancora dal re occupati: sarebbero gli aderenti dell’una parte e dell’altra liberi da ogni molestia, nominandosi specificatamente, dalla parte del re, Francesco da Carrara ed il patriarca di Aquileja: non darebbe la Repubblica alcun soccorso alle città ed ai popoli della Dalmazia contro gli interessi del re: consegnerebbe questi dal canto suo alla Repubblica, fra ventidue giorni, tutti i luoghi occupati nella Trivigiana, nel Cenedese e nell’Istria: non riceverebbe nei suoi porti, né lascerebbe da questi uscire pirati: scambio reciproco dei prigionieri: sicurezza e libertà di commercio ai Veneziani nelle terre e porti del regno.

Conchiusa la pace, accolta però assai mestamente dal popolo, si spedirono al Carrarese ambasciatori, che furono da lui accolti lietamente, ed anzi volle egli stesso recarsi a Venezia, ove fu onorato e festeggiato. Ma poco appresso si turbò il buon accordo con lui, poiché egli, contro ai patti, si diede ad erigere due fortezze, l’una sul canale del Bacchiglione che conduce a Chioggia, l’altra sul Brenta, sicché la Repubblica oppose a quei munimenti un castello a Santo Ilario di Lizza-Fusina; onde ne nacquero nuove discordie, alle quali volendo il Carrara dar termine, non parendogli quello momento opportuno di romper guerra, venne ad onesta composizione.

La guerra disastrosa col re unghero non fu la sola che recasse dolore, avvilimento e lutto alla nazione, ché la peste, introdottasi in Venezia negli anni 1357-59-60 e 61, mieté assai vittime, e massime la prima, nella quale, si narra da una cronaca antica, che perirono nel solo giorno di Pasqua novecento persone, senza i fanciulli. E fu appunto il 12 luglio dell’anno 1361, che venne a morte il doge Giovanni Delfino, ottenendo sepoltura nella cappella maggiore del tempio dei Santi Giovanni e Paolo.

Si continuò al suo tempo a lavorare nella fabbrica del Palazzo ducale, e a maggior decoro si costruì, nel 1360, in pietra, il ponte della Paglia.

Il ritratto del Delfino, che doveva essere espresso con un occhio bendato, avendolo egli perduto a Treviso, tiene nella sinistra mano l’inscrizione seguente, che varia nell’ultima parola da quella riportata da tutti gli scrittori che è inita, in luogo di facta.

TARVISIVM OBSIDIONE LIBERVM FECI:
PACE CVM HVNGARIS FACTA. (1)

(1) Il Palazzo Ducale di Venezia Volume IV. Francesco Zanotto. Venezia MDCCCLXI

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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