Famiglia Michieli

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Calle de la Scrimia, 1668 (San Polo) - Stemma Michiel

Famiglia Michieli

Per consentimento di tutti gli storici, derivarono dallo nobilissima gente romana Anicia le famiglie dei Giustiniani e dei Pier Leoni, i quali ultimi assunsero il pronome di Frangipani, per avere uno dei Leoni, in tempo di pubblica carestia, con pietosa munificenza dispensato ai poverelli di Roma pane in copia; dalla cui casa discesero pure i Micheli.

Più divisatamente però scrive Nicolò Bertini, nella dedicatoria ad Antonio Longo, podestà di Brescia, impressa in fronte della seconda parte delle poesie di Pietro Micheli, che da Anicio pretore derivarono li Frangipani di Roma e li Micheli di Venezia; dei quali, più distintamente parlando, riferisce il Frescot, nei Pregi della nobiltà veneta, che Angelo, Nicolò ed Agostino, figliuoli di G. Anicio Pier Leone Frangipane, senatore romano, nel quinto secolo, costretti a ritirarsi da Roma per la irruzione dei Goti, giunsero nelle venete lagune con molto oro, e, posta stanza in Rialto, furono accolti fra i cittadini di maggior grido; mentre, dice egli, fin da quel tempo si trovano onorati del titolo di tribuni.

Da ciò forse prese motivo il Malfatti di connumerare la famiglia Micheli tra le prime dodici, nelle quali fu primamente stabilito il corpo della nobiltà patrizia. Se non che, osservando all’albero genealogico di questa casa, recato dal co. Zabarella, ci verrà noto, come il passaggio dei Frangipani in Venezia accadde due secoli dopo l’epoca accennata dal Frescot; prendendo esso arbore origine da Sesto Anicio Balisto, insigne generale, che si fece acclamare imperatore dalle truppe in Emesa nel 262; da cui, dopo varie diramazioni, che riferiremo nelle notizie intorno alla famiglia Giustiniani, fa venire Anicio Pier Leone Frangipane, padre del li sopraddetti fratelli, li quali nell’822 si trasferirono in Venezia.

Angelo poi, il maggiore di essi, al proprio nome aggiunse quel di Michele, attribuitogli dall’aura popolare per la sua molta bontà, e quindi da esso ebbe principio la casa Michele. Dal secondo fratello, di nome Nicolao, derivarono li Frangipani della Dalmazia e dell’Ungheria; e dal terzo, Agostino, provennero li Frangipani di Venezia, che poi si estinsero. A questi tre fratelli alcuni ne aggiungono altrettanti, vale a dire, Massimo Anicio Pier Leone, che rimasto in Roma vi continuò la discendenza dei Pier Leoni Frangipani, dai quali provennero i conti d’Absburgo e la casa d’Austria; Ugo, da cui derivarono li Frangipani di Napoli; ed Eliseo, autore degli Elisci di Firenze.

Tutti cotesti ragionamenti dei genealogisti, che offrono un ginepraio, da cui mal si potrebbe trarre qual si fosse critico acuto, riferimmo, affinché si conosca quanto torni vana quella scienza, qualora fondar si voglia sulle congetture, e si faccia ogni sforzo da chi la esercita per tirare a suo pro con le tenaglie, e come fossero tomaie, qualsiasi argomentazione.

Ogni storico e genealogista però, siccome accennammo a principio, conviene nel volere, la casa Michele di Venezia, discesa dagli Anici Pier Leoni Frangipani di Roma, il che provano tutti, col dimostrare essere pari l’antico scudo blasonico di ambedue le case, vale a dire, composto di due leoni d’oro affrontati; variato poi dalla Michele posteriormente, come diremo in appresso.

Piantata poi in Venezia questa famiglia, dicono le antiche cronache, e scrive il Malfatti, che non tutti coloro che portarono il cognome di lei sono da essa discesi, ma che in quella vece taluni vennero procreati da alcuni nobili del consiglio, i quali in più antica stagione mutarono il loro primitivo cognome in quello dei Micheli. Tale asserzione, non sorretta da veruna causa, testimonia chiaramente il labirinto in cui si avvolsero i genealogisti per rintracciare l’origine vera della casa di cui parliamo. La quale, non è dubbio alcuno però, essere stata fra le più nobili e benemerite della patria; poiché produsse in ogni tempo personaggi illustri nelle armi, nella toga, nel sacerdozio, nelle scienze e nelle lettere, e si mostrò munificentissima nello erigere fabbriche e templi cospicui, tra quali si annoverano le chiese di San Cipriano di Malamocco, trasportata poi, come sopra dicemmo, nella isoletta presso Murano; di San Giovanni Nuovo, di San Canziano, di Santa Cecilia, detta poi San Cassiano, di San Girolamo, che fu juspadronato di questa e della casa Giustiniani, dei Santi Gregorio e Tommaso, parrocchiale della villa di Lughetto nel territorio di Padova: restaurò la chiesa degli Ogni Santi, e fabbricò una decorosa cappella, in quella dell’Angelo Raffaello. Godé la signoria delle isole di Chio, di Arbe, di Paros e di Ossaro, ed ebbe giurisdizione, in gran parte, della terra di Meduna, posta ai confini del Friuli.

Il Coronelli porta nel suo blasone tredici armi diverse usate da questa casa, le più antiche delle quali, secondo risulta dalle riportate narrazioni dei genealogisti, è prima quella superiormente accennata, di due leoni d’oro affrontati in campo azzurro; la seconda composta di sei fasce alternate di argento e di azzurro; una o l’altra delle quali si doveva sottoporre al ritratto del nostro doge Vitale I; poiché quella che si vede non fu assunta che dal doge Vitale II. Negli ultimi tempi usa questa casa due sole fra le armi diverse riportate dal Coronelli. La prima, inquarta, nel primo punto d’azzurro, una stella cometa d’oro, la cui coda riguarda la parte sinistra dello scudo; nel secondo punto fasciato d’azzurro e d’argento di sei pezzi; nel terzo la stessa fasciatura, con ventun monete d’oro disposte sopra le fasce, cioè 6, 5, 4, 3, 2, 1; e nel quarto punto d’azzurro due leoni d’oro affrontati, ed una cometa in capo; ed è quella che si vede espressa sotto l’immagine di Domenico Michiel. La seconda arma inquarta nel primo ed ultimo punto le fasce con le monete, e nel secondo e terzo li due leoni affrontati, come sopra.

Il doge Vitale I Michieli ebbe a padre quell’Andrea, che nel 1084 fu spedito oratore a Costantinopoli; narrando taluno che in quella occasione accompagnò il padre, ed ottenne dall’imperatore Alessio Comneno i titoli di protosebaste e protospatario. Menò a moglie Felicita, donna illustre per costumi opere carità verso iddio ed il prossimo, e che morta due anni appresso al marito, lasciò grande desiderio di sé, ottenendo onorato sepolcro nell’atrio della Basilica ducale.

Il doge Domenico Michieli, ebbe a padre Giovanni, q. Vitale I doge. Si ignora il tempo della sua nascita, e quali cose abbia operato prima d’esser doge; essendo probabile, come dice l’illustre cav. Cicogna, che abbia avuto molto parte nelle guerre dei tempi suoi. Quanto feci egli durante il suo reggimento ducale e detto superiormente. Aggiungeremo qui alcune particolarità; e sono: prima, che essendo all’assedio di Tiro, mancata al Michiel la moneta onde pagar le milizie, batter fece certe monete di cuoio coll’impronta di San Marco, e questo distribuì alle sue genti, con la promessa che al rimpatrio le avrebbe ricambiate in altrettanti ducati d’oro. Egli infatti mantenne religiosamente la dato parola; sicché a memoria di ciò s’inquartarono quindici monete nel suo scudo gentilizio; intorno a cui si veda l’erudita opera sovrallegata del Cicogna, che ne parla diffusamente. Secondo, che questo doge recò in patria le immani colonne, che furono poscia erette sulla Piazzetta, siccome provammo al Capo VI della storia del Palazzo Ducale, compresa nel primo volume dell’opera presente; contro l’asserto del Sansovino e di quanti altri lo seguirono, od opinarono diversamente da noi. Terza, non essere verosimile quanto narra lo cronaca Delfino, citata dal Sanudo, ed asseriscono le cronache dell’Agostini, di Daniele Barbaro, del Veniero, del Savina, del Sivos, ec. ed altri scrittori, citati dall’illustre Cicogna, cioè, che nel ritorno della spedizione di Terra santa, fece il doge scala in Sicilia, ove da quei popoli fu accolto, festeggiato ed onorato così, che gli offersero di prender le redini del loro reame; ma egli, ringraziandoli, rifiutò quella corona. Intorno a quel fatto supposto si veda quanto esponemmo nella illustrazione della Tavola CILXXVII, recante il soffitto dello sala dello Scrutinio, ove, per mano di Giulio Dal Moro, nel secondo ovale a sinistra, fu espresso. Aggiungiamo, da ultimo, che il Michiel fu sepolto a San Giorgio Maggiore in isola, essendogli stato eretto monumento condegno, il quale venne poscia distrutto nella nuova erezione di quel tempio, murato coi disegni di Andrea Palladio: lo imperché, dopo vari contrasti, col decreto di Pregadi, 19 luglio 1635, fu ordinato ai quei monaci di farlo ricostruire, il che ebbe luogo negli anni appresso per mano di Baldassare Longhena, nella quale occasione fu rinnovato l’antico epitaffio, intorno al quale si consulti l’opera classica del lodato cav. Cicogna.

Il doge Vitale II Michieli ebbe a padre Domenico, doge; né di lui i genealogisti ricordano altre gesta, oltre quelle compiute durante il suo ducato. Certo è che doveva aversi acquistato gran nome per le virtù sue guerriere, se poté conseguire la suprema dignità della patria. Condusse a moglie Felice Maria, figlia di Boemondo principe d’Antiochia, da cui ebbe fra gli altri figli Nicolò, Leonardo ed Anna, superiormente memorati.

(1) Il Palazzo Ducale di Venezia Volume IV. Francesco Zanotto. Venezia MDCCCLXI

Dall’alto in basso, da sinistra a destra: Calle dei Boteri, 1654 (San Polo) – Campiello Michiel, 3906 Cà Michiel (San Marco) – Ramo Cà D’oro, 3914 (Cannaregio) – Calle de le Vele, 3955 (Cannaregio) – Calle del Magazen, 4477 (San Marco) stemma: Michiel/Emo – Calle de la Vissiga, 795 (Santa Croce) – Calle del Campaniel, 1762 (San Polo) – Calle Priuli, 4004 (Cannaregio) – Calle dei Frati, 941 (Dorsoduro) stemma: Michiel/Molin – Calle de la Scrimia, 1668 (San Polo)

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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