Il “granzo” (granchio)
Il granchio comune (Carcinus aestuari) riveste un valore alimentare solo trovandosi allo stato molle durante la muta, ossia in moléca, o per le femmine quando hanno le gonadi molto sviluppate e sono allora denominate localmente masanéte.
La pesca di questo crostaceo è diventata piuttosto importante attorno alla seconda metà del Settecento, quando le flottiglie di sardellanti istriani e veneti hanno cominciato a usarlo come esca per attirare le sardine sulle reti, aumentando notevolmente il pescato. Già pochi anni dopo, nel periodo primavera-estate, se ne vendevano per questo uso migliaia di tonnelate, a 2 lire per barile di circa 35 chili.
Dalla stessa epoca i chioggiotti impararono a selezionare i granchi prossimi alla muta primaverile e autunnale, creando così il mestiere del molecante. Nei primi anni del secolo seguente portarono questa industria a Venezia, dove sul mercato la domanda era molto più elevata, e da qui solo nel Novecento anche i buranelli impararono il mestiere. Molto alto, all’epoca, era anche il consumo delle masanéte.
Nel solo 1923, al mercato di Rialto furono trattati 173.600 chili di moléche e 341.500 di masanéte. Vent’anni prima, per la pesca delle sardine, si erano spediti 34.753 barili di granchi (1.200 tonnellate), con 110 viaggi verso la costa istriana, a 65 centesimi il barile.(1)
(1) La pesca in Laguna. La collezione storica di Minni e Marella. Centro Culturale Candiani 2019.
FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.