I banchi di prestito su pegno del Ghetto
Il bisogno di provvedere al denaro per alleviare i bisogni più impellenti delle classi più povere di Venezia, il divieto della Chiesa contro il prestito ad interesse, in qualsiasi misura fosse stato il tasso, costrinse il governo veneziano, sul finire del Trecento, a rivolgersi a prestatori di denaro ebrei. Anche gli Ebrei non avrebbero potuto prestare denaro ad interesse, ma sul Deuteronomio (23, 20-21) trovarono l’escamotage, si legge infatti su quel libro: “Allo straniero potrai prestare ad interesse, ma non al tuo fratello“. In altre parole un ebreo poteva leggitimamente concedere un prestito ad un cristiano, ma non ad un altro ebreo.
Gli Ebrei prestavano su pegno a Venezia in modo definitivo dal 1516, quando i Banchi di Pegno vennero sistemati in Ghetto Nuovo. Essi avevano ricevuto il permesso di stabilirsi nella Dominante proprio perché tenevano i banchi di pegno, i quali continuarono nel tempo, nonostante nel resto d’Italia si svilupassero i Monti di Pietà, e divennero il pretesto ufficiale per quella tolleranza che il Governo aveva loro concesso.
Nel 1591 il numero dei banchi venne fissato a tre, ed erano designati con un colore: il rosso, il verde, il nero. Tutti gli Ebrei componenti il Ghetto di Venezia, erano obbligati al mantenimento dei banchi, le sue dipendenze e il salario dei due scrivani cristiani deputati sopra i Banchi, da queste contribuzioni erano esclusi i soli Ebrei Levantini soggetti al Turco, e i Corfiotti. I banchi dovevano essere eretti a piano terra per maggiore comodità dei poveri, ogni banco era costituito da un “casotto” dove veniva erogato il prestito e da un deposito dove venivano conservati i beni dati in pegno.
La somma, che veniva prestata ai poveri, non poteva eccedere i 3 ducati, esclusi i casi particolari, nei quali a parere del Consiglio dei XL al Criminal, poteva essere concessa una soma maggiore fino a 6 ducati. I banchieri potevano esigere un interesse fino al cinque per cento della somma prestata.
I tre banchi dovevano essere sempre aperti, e pronti a prestare, eccettuato nelle sole feste degli Ebrei. Dovevano essere aperti tutti i giorni, e non potevano essere chiusi prima di mezzanotte, in pena di ducati 25, ma poichè era necessario che i banchieri attendessero quanche tempo al governo del banco, in estate dalla nona al Vespro, e in inverno dalla nona fino “alla campana” non erano obbligati a prendere pegni.
I banchieri non potevano in alcun modo, o per nessuna causa, rifiutarsi o posticipare di fare prestito a qualsiasi persona. Non poteva essere fatto pegno sopra gli ori, gli argenti, le perle, i gioielli, le tappezzerie e i panni di seta, escluse le fedi nuziali d’oro, ed altri anelli con pietre false o senza, non potevano prestare sopra calici, patene, croci, paramenti di chiesa, messali, o altre cose sacre, nè sopra le armi.
Il tasso d’interesse applicato doveva essere stampato a grandi lettere, la stampa applicata su una tavoletta posta fuori di ogni banco, in luogo visibile e comodo. Doveva essere rilasciata una ricevuta (bollettino) per ogni prestito concesso, la quale dovevano essere scritta in lingua italiana, sul rovescio doveva riportare una M ed una G che significava mesi e giorni, con tre segni per le Lire, Soldi, e Piccoli, inoltre doveva essere indicata la qualità, e la quantità del bene impegnato, in modo che lo si potesse rintracciare sempre.
Se un pegno andava a male o per qualsiasi altro accidente si pregiudicava, o andava a fuoco, o fosse rubato, i banchieri non erano tenuti al risarcimento, purché avessero praticato ogni precauzione necessaria alla sua custodia. Se si fosse trovato, che il pegno era frutto di ruberie o truffe, prima di essere impegnato, i banchieri non erano obbligati a restituirlo.
I pegni dovevano stare nei banchi per tredici mesi, passato questo termine senza essere riscossi, o rimessi, dovevano essere posti all’incanto, il quale si teneva a Rialto nei primi otto giorni feriali di ciascun mese. (1)
(1) Capitoli della ricondotta degli ebrei di questa città e dello stato, 1776/1777.
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