I riti di Pasqua nella Basilica di San Marco e l’andata del doge al Convento di San Zaccaria

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La Risurrezione di Cristo. Basilica di San Marco, lunettone superiore della facciata. A. Gaetano su cartone di Maffeo da Verona.

I riti di Pasqua nella Basilica di San Marco e l’andata del doge al Convento di San Zaccaria

Il giorno di Pasqua il doge, vestito del manto d’oro con pelli di zibellino, accompagnato dalla Signoria scendeva ad ascoltare la Messa solenne in San Marco, dove stava esposto il Tesoro. Nel Memoriale Franco, che serviva al campanaro della torre quale guida nel suono delle campane, era prescritto, se la Signoria “va di dentro via” cioè se entra in chiesa dalla porta di San Clemente senza uscire da quella della Cartatu non soni, ma sei vien de fuora via” se esce in Piazza ed entra in chiesa per la porta maggiore, “tu soni la Marangona“. E la Marangona se non pioveva, suonava sempre poiché il doge preferiva col suo splendido corteo entrare in chiesa per la porta grande.

Finite le cerimonie del mattino nel dopo pranzo sua Serenità “col manto bianco e oro con pelli di lupi cervieri e mozzetta” ritornava in chiesa per udire la Predica, e dopo aveva luogo l’annuale visita al Monastero di san Zaccaria, l’aristocratico convento ricco di reliquie e copioso d’indulgenze. Era quella una visita solenne che risaliva all’anno 900 per onorare il corpo di san Zaccaria e le tante preziose reliquie andate da Costantinopoli dall’imperatore Leone, e il doge vi andava con grande pompa preceduto da tutte le insegne ducali, spada, sedia, cuscino, ombrella e dal famoso diadema, chiamato volgarmente “corno o zoja” con cui si incoronavano “la prima volta li Serenissimi dogi“.

Troviamo nella Promissione di Andrea Contarini, 1367, che per i grandi e molti gioielli il diadema era divenuto così pesante da non poterlo portare in capo poiché, senza l’oro massiccio, erano ben sessantasei tra grosse perle, rubini, smeraldi per un valore di duecentomila ducati.

La processione giunta a San Zaccaria mostrava a quelle monache il corno ducale portato in un gran piatto di argento e le monache offrivano alla Signoria trecento ciambelle, “calisoni indoradi“, in piccole cestelle di vimini rossi. A cerimonia finita: il popolo era ammesso nel grande piazzale esterno del convento e ricevendo in regalo “bussolai et scalete criava (gridava) Marco! Marco! Bona Pasqua!!“. Intanto le campane dei duecento campanili della città suonavano a distesa la gloria di quel giorno. (1)

(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 17 aprile 1927.

Dall’alto in basso, da sinistra a destra: Porta della Carta, Porta San Clemente e Scala dei Giganti, Porta San Clemente, Porta della Carta, Porta principale della Basilica, Porta della Carta (Porticato Foscari), Basilica di San Marco.

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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