L’industria del “bisato marinà”, l’anguilla marinata veneziana

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da IL GAZZETTINO ILLUSTRATO, 4 gennaio 1925

L’industria del “bisato marinà”, l’anguilla marinata veneziana

La gloria dell’invenzione dell’anguilla marinata, detta in vernacolo bisato marinà, spetta a Venezia. Già ai tempi quando fu abolita nel mercato del pesce la così detta vendita al palo (*), si smerciava del bisato sotto aceto, che si vendeva per la misera moneta di due soldi al piattino. La saggia repubblica scorgendo che una enorme quantità di pesce allora marciva, non avendo nessuno sbocco l’esportazione, non solo mise in effetti un calmiere, ma altresì suggerì ad alcune ditte private di marinare l’anguilla, potendo in tal modo con facilità esitare il prodotto anche in paesi lontani. In questo modo il bisato marinà conquisto il mondo! Si sappia pure, fra l’altro, che in questi tempi si conosceva già a Venezia la lavorazione del caviale, cibo ghiotto ai buongustai, i quali anche allora non difettavano. Dalla sotto aseo alla marinata di oggi non esistono differenze, perché la sofisticazione si doveva farla allora come si fa tut’ora. Il sale ha la virtù di rendere più tenace la fibra del pesce ed in tempi passati il marinato fu più squisito, giacché non si conosceva l’aceto a base di alcool.

Il commercio che si fa delle anguille è enorme ed è una fonte di vera ricchezza. In 128 valli da pesca dai vecchi confini italo-austriaci fino a Comacchio, si pescano per lo meno 12 mila quintali all’anno del così detto bisato femenal del peso di chili 2 e 5 cadauno. Come cibo sono preferibili specialmente fra novembre e dicembre.

Ma mettiamo più in chiaro che cosa s’intende per bisato femenal: non è altro che quello che ha raggiunto la maturità, cosa che avviene fra ottobre e gennaio, mesi nei quali l’animale principia a rivestirsi dell’abito nuziale; il ventre si colorisce di un bianco argenteo e i fianchi di punti neri. Per festeggiare le nozze va dai fiumi al mare. Come la proliferazione avvenga fu scoperto da due insigni naturalisti italiani: il Grassi e il Calandruccio. Le larve emesse, così dette leptocefali, sono dopo una metamorfosi destinate a trasformarsi in anguille.

Le anguille marinate, secondo la loro grandezza, si distinguono in otto marche; la marca A.R. che è la più povera; A.B. superiore di un grado alla prima; M.M. il così detto Morello Bagaron di due gradi superiore; M. che entra già nella marca di lusso e via via. La più ricercata è la M. con tre tagli, anche detta elefante, e per la natura del pesce molto rara, perciò fortunato colui che possa gustarsi un tal sopraffino boccone!.

Esistono due fabbriche del’anguilla marinata, una a San Giobbe e una a Sant’Andrea. Le anguille, provengono dalle nostre valli dell’estuario e vengono trasportate, già pesate, dal punto di produzione a Venezia, mediante casse o nei vivai. Qui le anguille vengono tagliate, poi infilzate su lunghi spiedi, dove vengono arrostiti, sotto il controllo di donne molto esperte che sorvegliano perché il pesce non venga troppo arrostito o rimanga mezzo crudo. Tutti gli addetti, operai e operaie, provengono dal Friuli o da Chioggia e ritornano ai loro paesi appena finita la stagione.

Levati dallo spiedo, raffredati, vengono depositati in cestoni per essere dopo 24 ore imballati. I barili contengono dai 25 al 35 chili di marinato; per l’America invece si spedisce le marce in barattoli di latta, ermeticamente chiusi da 5 o da 10 chili. Però prima di essere spediti, vengono confezionati da una salamoia, cioè salsa di aceto, sale, foglie di lauro, ecc. (1)

(*) Al palo o all’asta, luogo dove si pagava il dazio e dove si faceva il mercato del pesce all’ingrosso, le offerte dei compratori venivano sussurate all’orecchio del banditore

(1) L. Brosch. IL GAZZETTINO ILLUSTRATO, 4 gennaio 1925.

FOTO: IL GAZZETTINO ILLUSTRATO, 4 gennaio 1925. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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