Il Leone di Perasto

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Giuseppe Lallich (Opeine Spalato 1867 - Roma 1953). Giuramento di Perasto (foto dalla rete)

Il Leone di Perasto

Nel 1420 Perasto passò sotto il dominio di Venezia, e nella storia successiva a questo tempo si distinse per una grande operosità, specialmente militare in conseguenza di un privilegio, del quale quella città conservava non poche care e preziose memorie. Esso era il privilegio del carico della difesa del Gonfalone onde Perasto ebbe il titolo di fedelissima gonfaloniera, titolo meritato dai Perastini primi nelle imprese dei Veneziani e carissimi alla dominante.

Il Gonfalone consisteva in una bandiera rossa con margini gialli e nel mezzo l’effigie del leone alato che dal mare era giunto alla difesa della croce piantata su un macigno. Era il carroccio dei Veneziani, che veniva consegnato all’armata unicamente nelle imprese terrestri e marittime di Levante. La guardia ne incombeva esclusivamente ai Perastini per l’alta estimazione di fedeltà e di valore militare. Privilegio che risaliva al giorno in cui Vittor Pisani ebbe bisogno dell’aiuto dei Perastini per impossessarsi della cittadella di Cattaro. Infatti furono i Perastini che spontanei si assunsero di penetrare nella cittadella e di piantarvi le insegne di San Marco. 

Perasto fin da antichissimo tempo osservò nella sua costituzione un ordine che ricorda bene il regime feudale d’altrove. Tutta la città veniva divisa nelle seguenti dodici casate: Studeni, Sestocrilich, Peroevich, Dentali o Subazi, Smiloevich, Sciloppi, Stoisich, Cismai, Vucasevich, Raicovich, Bratiza, Miocovich, costituite dalle dodici famiglie originarie. Le famiglie che davano il nome alle casade costituivano un ordine chiuso di cittadini, geloso di sue prerogative. A questo ordine di ottimati appartenevano i dodici Perastini che, di volta in volta, formavano il drapello destinato alla difesa del gonfalone marciano. (1)

Il 23 agosto 1797, 103 giorni dopo la caduta della Repubblica, i Perastini seppelirono il gonfalone di San Marco sotto l’altare del duomo. Il capitano della guardia, conte Giuseppe Viscovich, nel consegnare il gonfalone veneto ai sacerdoti, pronunciò davanti alle milizie ed a tutto il popolo un commovente ed intenso discorso, passato alla storia col titolo di Ti con nu, nu con ti, eccolo il discorso (tradotto in veneto):

In sto amaro momento che lacera et nostro cuor, in sto ultimo sfogo de amor, de fede al veneto serenissimo dominio, el gonfalon de la serenissima Repubblica ne sia de conforto, o cittadini, che la nostra condota passada e de sti ultimi tempi rende più giusto sto ato fatal, ma doveroso, ma virtuoso per nu.
Saverà da nu i nostri fioi, e la storia del zorno farà saver a tuta l’Europa, che Perasto à degnamente sostenudo fino a l’ultimo l’onor del veneto gonfalon, onorandolo co sto ato solenne, e deponendolo bagna del nostro universal amarissimo pianto.
Sfoghemose, citadini, sfoghemose pur, ma in sti nostri ultimi sentimenti, coi quali sigilemo la nostra gloriosa cariera corsa soto al serenissimo veneto governo, rivolgemose verso sta insegna che lo rappresenta, e su de ela sfoghemo el nostro dolor.
Per 377 anni la nostra fede, el nostro valor l’ha sempre custodia per terra e per mar, per tuto dove ne à chiama i so nemici, che xe stai pur quelli de la religion.
Per 377 anni le nostre sostanze, el nostro sangue, le nostre vite le xe stae sempre per ti, o s. Marco; e felicissimi sempre se avemo reputà ti co nu, nu co ti, e sempre co ti sul mar nu semo stai illustri e virtuosi.
Nessun co ti ne à visto scampar, nessun co ti ne à visto vinti e paurosi.
Se i tempi presenti infelicissimi per imprevidenza, per dissension, per arbitrii ilegali, per vizii ofendenti la natura e el gius de le genti, no te avesse tolto da l’Italia, per ti in perpetuo sarave stae le nostre sostanze, el sangue, la vita nostra, e piutosto che vederte vinto e desonora dai toi, el coragio nostro, la nostra fede se averave sepelio soto de ti.
Ma za che altro non ne resta da far per ti, el nostro cuor sia l’onoratissima tua tomba, el più puro, el più grando to elogio le nostre lagreme“.

I posteri ameranno meglio terminare la storia della repubblica di Venezia con questa scena e con questo discorso, di quello che con il vergognoso racconto dell’abdicazione dell’ultimo doge.

(1) Giuseppe Gelcich. MEMORIE STORICHE SULLE BOCCHE DI CATTARO. ZARA Coi tipi di G. Woditzka 1880

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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