Il leone di San Marco e una croce incisi su una colonna d’angolo del Sotoportego del Banco Giro, nel Sestiere di San Polo
I condannati per delitti non di sangue, prima di essere banditi o messi in prigione, dovevano andare da Piazza San Marco alla statua del Gobbo a Rialto (il Gobbo è una statua che sorregge la scala per salire sopra la pietra del Bando, dove venivano letti i bandi e le condanne), e durante questo tragitto venivano frustati. Quando arrivavano alla meta, davanti al Gobbo, i condannati si inginocchiavano ad abbracciare e baciare la statua, per la fine delle loro sofferenze (per quel giorno).
Il Sanudo racconta in una cronaca del 1519, ripresa da Giovanni Malgarotto nel Gazzettino del 2 aprile 1926, che un falso mendicante, che fingeva di essere muto, venne condannato ad essere frustato da San Marco a Rialto: “Prima il solito comandador lesse la sentenza, poi cominciarono a funzionare le scurie di cuoio sul dorso nudo del paziente. Egli per finir più presto il tormento si diede a correre per le marzarie, ma sul ponte di piera dei Barratteri inciampò e cadde mentre le scuriade gli piovevano addosso fitte come gragnuole“.
La Repubblica trovava che inginocchiarsi e baciare la statua del Gobbo fosse molto sconveniente, per cui decise nel 1545, di far incidere, sulla prima colonna d’angolo tra il Sotoportego del Banco Giro e la Ruga degli Oresi, un leone in “moeca” mentre legge un libro, e una piccola croce; in questo modo i condannati, alla fine del loro supplizio, avevano qualcosa di più consono da baciare; la croce sotto il vigile controllo della Repubblica.
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