La Pala d’Oro della Basilica di San Marco
Della Pala d’oro ne scrisse a lungo il Cicognara nelle Fabbriche di Venezia, e noi demmo altre notizie e correggemmo alcuni errori commessi dal Cicognara prefato, il quale però non poteva esaminarla sì ad agio come abbiamo noi avuto occasione, quando in questi tempi si riparava dalle antiche ingiurie, per opera degli esimi orafi Lorenzo e Pietro Favro, detti Buri padre e figlio. Adesso ancora altre osservazioni aggiungiamo, che ne sembrano degne di nota.
Andrea Dandolo, sull’autorità del Sagornino, racconta, che il santissimo Doge Pietro Orseolo, ordinò questa aurea tavola a Costantinopoli: ed il Sansovino ed altri di poi aggiungono, essere pervenuta a Venezia soltanto ducando Ordelafo Faliero. Il Sagornino, a dire vero, e scrittore di molto peso; ma cionondimeno osserviamo, che dal tempo dell’Orseolo a quello del Faliero, vi è lo spazio non breve di 124 anni, nei quali non è possibile il credere sia stata la tavola in lavoro, ovverossia sia rimasta giacente a Costantinopoli senza più che ad essa ne pensino i nostri.
Ne è a tenersi per vero quanto dice il Cicognara, cioè, che questa tavola sia stata veramente costruita a Costantinopoli ducante l’Orseolo, ed essere qui pervenuta intorno a quei tempi; mentre quanto narrano il Sansovino ed altri dopo lui, è comprovato dalla iscrizione sculta sulla tavola stessa, che è la seguente :
ANNO MILLENO CENTENO IVNGITO QVINTO TVNC ORDELAPHVS FALEDRVS IN VRBE DVCABAT HAEC NOVA FACTA FVIT GEMMIS DITISSIMA PALA, QVAE RENOVATA FVIT TE, PETRE, DVCANTE ZIANI, ET PROCVRABAT TVNC ANGELVS ACTA FALEDRVS ANNO MILLENO BIS CENTENOQVE NOVENO.
POST QVADRAGENO QVINTO, POST MILLE TRECENTOS DANDOLVS ANDREA PRAECLARVS HONORE DVCABAT, NOBILIBVSQVE VIRIS TVNC PROCVRANTIBVS ALMAM ECCLESIAM MARCI VENEBANDVM JVRE BEATI DE LAVREDANIS MARCO FRESCOQVE QVIRINO TVNC VETVS MAEC PALA GEMMIS PRETIOSA NOVATVR.
Nella quale iscrizione non solamente è taciuto il nome di Pietro Orseolo, ma è detto espressamente essere stata questa tavola costruita ducante Ordelafo Faliero. Per cui crediamo doversi tradurre con questo senso le parole dell’iscrizione:
Questa pala, ricchissima di gemme, fu nuovamente fatta l’anno mille cento più cinque, nel qual tempo era doge in Venezia Ordelafo Faliero; e rinnovata l’anno mille duecento nove, ducante Pietro Ziani, essendo procuratore dell’opera Angelo Faliero.
Queste nostre osservazioni ci conducono a stabilire, che bensì possa avere l’Orseolo, come dice il Sagornino, commesso in Oriente il lavoro dell’aurea tavola; ma, sia per una o per altra cagione, non possa avere avuto effetto la disposizione del santo Doge; tanto più se si pensi non avere egli ducato che soli due anni; nel qual tempo non potè vedere il compimento della Basilica da lui ordinata, a decoro della quale doveva prestarsi la tavola d’oro. Fuggito quindi l’Orseolo lo splendore del trono per ripararsi nella umiltà del cenobio, più non si avrà pensato al lavoro dal doge commesso; e solo dopo 124 anni, e quando le armi venete si portarono in Oriente con le crociate, e dopo di aver conseguito per le riportate vittorie terre molte e privilegi estesissimi da re Baldovino, il doge Ordelafo Faliero avrà da Costantinopoli fatto venire una tavola d’oro, senza ricordarsi nemanco che più d’un secolo prima una simile ne aveva ordinato l’Orseolo, per servire alla chiesa ducale: mentre era uso di quel tempo ornare di preziose tavole od ancone le are maggiori dei templi, come testimonia fra noi quella in parte esistente ancora nella cattedrale di Torcello.
Perciò abbiamo per indubbio essere stata costrutta questa aurea tavola per ordine di Ordelafo Faliero, e non di Pietro Orseolo, perché cosi vogliono e intendono il monumento stesso e la critica; anche perciò che diremo in appresso.
Ai tempi poi del doge Pietro Ziani fu la tavola stessa ampliala, e a quei di Andrea Dandolo ottenne maggiore ornamento di gemme e la nuova cornice d’argento dorato.
Le aggiunte poi che ebbe la tavola ai tempi dello Ziani ravvisare si possono facilmente, e non difficilmente, come dice il Cicognara prefato, in quelle tavole nelle quali si vedono le iscrizioni mutilate; giacché, come pensiamo, si volle in quel tempo ampliarla con le spoglie venute allora da Costantinopoli già prima procurate da Enrico Dandolo nell’acquisto di quella metropoli, e nello spoglio del tesoro imperiale e del tempio di Santa Sofia, fra le quali ultime vi era pure la insigne reliquia della Santissima Croce, in alto descritta, al tempio stesso legata in morte dall’augusta Irene; reliquia che mal suppone il Cicognara spedita in dono alla Marciana basilica da Irene stessa, quando le greche iscrizioni, non intese dal Cicognara, tracciate sulla reliquia medesima, attestano il legato d’Irene.
A descrivere infine brevemente questa insigne aurea tavola diremo, che prima dell’ultimo recente restauro si chiudeva orizzontalmente, cioè dopo il primo e superiore ordine, composto di sette lamine, le quali rappresentano, in smalto, la festa delle Palme, la discesa al Limbo, la Crocifissione, l’Arcangelo San Michele, pezzo questo centrale di più ricca esecuzione e più ornato di gemme, con le mani dell’arcangelo e porzione delle braccia d’oro, sporgenti dal fondo in tutto rilievo, ed avente intorno incassati sedici piccoli-medaglioni coi dottori della Chiesa ed altri Santi, eseguiti in epoche varie in malti, e costì rimessi. Succedono poi l’Ascensione, la Pentecoste e il transito della Vergine. Sifatto primo ordine appartiene certamente alla primitiva tavola, a quella cioè del Faliero, ciò dimostrandolo, più che altro, il lavoro diverso, e, se si vuole, più antico, e la maggior dimensione delle lamine operate.
Il secondo ordine comprende ventisette piccoli quadri; ordine che ricinge la tavola anche nei fianchi, e a cominciare dal primo inferiore, alla sinistra di chi osserva, compiendo il giro tutto fino all’ultimo che trovasi dal lato opposto, presentano essi quadri le istorie di San Marco e molti fatti della vita del Salvatore e della Vergine, oltre le immagini di alcuni santi, come è manifesto perle iscrizioni latine che riportiamo, omesse le abbreviature.
Procedono dunque i soggetti e, le iscrizioni nell’ordine seguente:
- 1. Sanctus Petrus, sanctus Marcus.
- 2. Defert Beatus Marcus Hermachora, ad Petrum.
- 3. Sanatur Anianus Benedictione sancti Marci.
- 4. Destruit idolum Beatus Marcus.
- 5. Hic Batizat Beatus Marcus.
- 6. Sanctus Laurentius. Diacono.
- 7. Sanctus Eleutherius. Diacono.
- 8. Sanctus Vincentius. Diacono.
Gli undici quadretti che ai descritti succedono, hanno le inscrizioni in versi latini, e sì per queste e sì per la qualità diversa del lavoro sembrano appartenere all’epoca dello Ziani.
- 9. Virgo ferens prolem pariat quem mundus adoret.
- 10. Virgo parit feta velut intulit ante propheta.
- 11. Solvens vincla reis fertur sub munere legis.
- 12. Hic scelus omne lavat reprobus quo decidit Adam.
- 13. In mensa pastor plus, ordo, stai quoque raptor.
- 14. Sic moriens virus detersi quo tulis ydrus
- 15. Mors perit in morte relevans ligo nexibus hostem.
- 16. Vobis dico cite surrexit Christus abite.
- 17. Vero caro Chiristus clausis se contulit intus.
- 18. Pignora nostra ferens rediet Deus omnia querens.
- 19. Cunctorum linguis hos coelicus instruit ignis
- 20. Sanctus Petrus Alexandrinus. Diacono.
- 21. Sanctus Stephanus. Diacono.
- 22. Sanctus Fortunatus. Daicono.
- 23. Jesus Christus pax tibi Evangelista meus Marce,
- 24. Suspenditur Beatus Marcus.
- 25. Tollitur Beatus Marcus Alexandria.
- 26. Hic defertur Corpus Sancti Marci.
- 27. Hic suscipitur etiam beatus Marcus.
Le composizioni degli indicati quadretti sono più o meno a sufficienza ben disegnale e aggruppate, e le teste e le mani con assai di sedulità finite, quantunque sieno assai minute.
Il terzo ordine, diviso in mezzo dal pezzo centrale come più avanti diremo, è composto da dodici tavolette sei per parte, corrispondenti in euritmìa ai sottoposti quadri non ai superiori. Portano questi altrettanti Arcangeli con le iscrizioni in greco Arcangelos, quattro dei quali recano anche i particolari nomi loro, e sono: Michiel, Gabriel, Raphael, Uriel; negli altri otto s’intesero esprimere certamente Ieremiel, Raziel, Iefiel, Zedekiel, Seliel, Metator o Metatron, Malushiel, Cerviel, che se non furono divisati coi nomi, ciò nacque, pensiamo, per rispetto al luogo santo, ove dovevano essere collocati e veduti; mentre questi ultimi nomi son dati dai cabalisti, e non dai libri santi, agli Arcangeli.
Nel mezzo s’incontra un ampio riquadro separalo dal restante della tavola, il quale forma come il corpo centrale della tavola stessa, le cui parti, e per le varie dimensioni, e per la moltitudine dei soggetti non corrispondono ad alcuno degli altri quadri dei cinque ordini principali. Questo riquadro e più ricco di gemme e di ornamenti di ogni altra parte. Sovra maestoso trono si vede, nel maggior disco, seduto Cristo Gesù, che, in egual modo del grande Arcangelo Michele in alto notato, ha le mani d’oro in alto rilievo sporgenti dal fondo. In quattro separati medaglioni, disposti intorno al suddetto, si vedono gli Evangelisti, e questi cinque lavori hanno iscrizioni latine, cosi: Jesus Christus, Sanctus Marcus, Sanctus Joannes, Sanctus Lucas, Sanctus Mattheus. Sopra ad essi in cinque irregolari comparti stanno altri due Arcangeli e due Cherubi, e nel centro si vede un trono, sul quale posa il libro degli Evangeli, ed in cima aliando sta una colomba, sulla quale è sospeso un globo con la croce.
Il descritto gruppo composto di vari compartimenti forma un perfetto quadrato, che occupa con l’uno dei suoi lati l’altezza del terzo e del quarto ordine della tavola.
Quest’ultimo ordine è composto di dodici tavolette, sei per parte del pezzo centrale figuranti altrettante immagini di Apostoli e Santi, ben disegnate e di forme grandiose; per cui lasciano suspicare, come pensa Cicognara, siano state eseguite in età più recente in confronto delle altre collocale negli ordini superiori. Noi anzi crediamo essere state queste lavorate a Venezia, come tutte le altre portanti latina iscrizione.
L’ultimo ordine al basso comprende dodici profeti, con iscrizioni parte greche e parte latine, e con le sentenze relative alle lor profezie, in tanti cartelli che recano in mano come segue, incominciando a sinistra dell’osservatore:
- I. Isajas. Virgo concipiet et pariet Filium. Greca.
- II. Naum. Sol ortus et avolaverunt. Latina.
- III. Hieremias. Ex Aegypto vocavi filiurn meum. Latina.
- IV. Daniel. Curri venerit Sanctus Sanctorum. Latina.
- V. Moises. Prophetam suscitabit vobis. Greca.
- VI. Ezechiel. Porta quam vides clausa erit. Greca.
- VII. David. Audi filia, et vide, et inclina. Latina.
- VIII. Elias. Vivit Dominus si non erit pluvia super terram. Latina.
- IX. Zacarias. Ecce Dominus veniet et omnes Sancti ejus cum eo. Latina.
- X. Abbacuch. Si moram fecerit excepta eum. Latina.
- XI. Malachias. Ecce dies veniunt dicit Dominus. Latina.
- XII. Salomon. Sapienita aedificabit illum. Greca.
I descritti profeti, disposti sei per parte, prendono in mezzo cinque comparti, che uniti corrispondono in ampiezza trasversale al gran quadralo del centro.
II primo e l’ultimo contengono le riportate iscrizioni; il secondo ed il quarto recano le immagini del doge Faliero e della augusta Irene Comnena, moglie dell’imperatore Alessio, ed il centrale l’effigie della Vergine.
Quello del doge Faliero ha questa inscrizione Or. Faletrvs Di Gra Venecie dei (latina), quel della Vergine, Mater Dei (greca) e l’ultimo Irene Venerabilissima Avgvsta (greca). Queste due immagini hanno il capo cinto d’aureola, e vestite sono con paludamenti imperiali; e il Faliero scorgesi coperto con le vesti usale dal despota a Costantinopoli.
E qui ne piace rilevare come non è fuor di ragione il credere che la immagine della illustre Comnena, ascritta nel novero dei sauti nei greci Menei, sia stata qui inserita nel restauro di questa tavola operatosi a1 tempi dello Ziani; perché crediamo provenuta essa immagine dallo spoglio del tesoro costantinopolitano unitamente ad altre tavolette qui unite, fra cui quella della Vergine che a questa precede. La nostra opinione è avvalorata dalle greche iscrizioni che recano. Non così può dirsi della immagine del doge Faliero, la quale pensiamo sia stata lavorata a Venezia, insieme con altre, anzi con quelle tutte recanti latina iscrizione. Dall’esame scrupoloso che vi abbiam praticato risulta appunto esser diverso in qualche modo il lavoro fra quelle tavole e queste. Imperocché nelle portanti greca iscrizione si scorge la mano di uno, che i modi conosce dell’arte per lungo uso; quando nell’altre recanti iscrizione latina si vede un artista che tenta d’imitare il lavoro di un altro; a cui se arrogi avere le prime più greca impronta nello slil del disegno, e le seconde un indizio di migliorata maniera, si avrà nuovo argomento a convincersi essere state quelle a Costantinopoli, queste a Venezia eseguite. Anzi crediamo assegnar precisamente all’epoca dello Ziani il lavoro dì queste tavole qui compiuto, mentre provato essendo avere lo Ziani ampliata la tavola con le spoglie d’Oriente, vuole ragione si creda che, nel compiere questo lavoro, non tutte si avessero le tavole occorrenti per mandare ad effetto l’imaginato restauro, e quindi si abbiano qui costruite tutte quelle che a tal uopo mancavano, forse anche con lo ajuto di greci artisti, che in quel tempo certamente non eravi inopia in Venezia.
Il veder poi inserita qui l’immagine del Faliero e non quella dell’Orseolo, è nuovo argomento a provare essere stato quegli e non questi l’ordinatore dell’opera; mentre non si vede il perché al tempo dello Ziani, non antico di molto a quel del Faliero, e nel quale saper si doveva il vero ordinatore della tavola, si abbia posto l’immagine del secondo, piuttosto che del primo ordinatore, se due, e non uno, fossero stati i dogi che commisero e mandarono ad effetto l’opera insigne. Così la immagine qui posta illustra chiaramente la iscrizione, che non intende (secondo falsamente argomenta il Cicognara) accennare nel Faliero il restauratore della tavola, sì l’ordinatore primo di essa, come in alto provammo, e come così pensava puranco il dotto Moschini.
L’immagine poi della illustre Comnena sarà stata, crediamo, qui posta appunto perché contemporanea al Faliero; e perché ancora sarà stata chi sa impegnata dal Faliero a procurare che il lavoro da lui commesso nella città imperiale fosse a buon fine condotto. Ciò sarebbe in relazione al pio e devoto animo d’Irene, mentre sappiamo dagli storici bizantini aver ella elargiti assai doni e preziosi alla chiesa di Santa Sofia, il che ci livella l’amore di lei, e, se si vuole anche, la intelligenza in oggetti d’arte per servigio della religione.
L’ultimo restauro in fine che ebbe ai dì nostri questa tavola, costò oltre cinque anni di lavoro costante, nel quale fra le altre cose si rimisero le pietre preziose che mancavano, e si operò in modo che da qui innanzi si possan sciogliere le lamine d’oro ed i gruppi di gemme per pulirli e rimetterli a luogo.
Per sola curiosità notiamo il numero delle gemme che conteneva la descritta aurea tavola, ai tempi del Meschinello, la più parte delle quali rimangono ancora, però confuse con quelle che vennero rimesse. Scrive quindi il Meschinello prefato che vi erano 1300 perle; 400 granate; 90 ametiste; 300 zaffiri; 300 smeraldi; 15 balassi; 4 topazzi e 2 cammei. E questi ultimi preziosissimi ancor rimangono, incastonati in oro, ai lati del secondo quadro esistente nel primo ordine. (1)
(1) AUTORI VARI. Venezia e le sue lagune, Volume II. Stabilimento Antonelli Venezia 1847.
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