Sant’Antonio Abate, bassorilievo in Campiello del Librer, nel Sestiere di San Polo

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Sant’Antonio Abate, bassorilievo in Campiello del Librer, nel Sestiere di San Polo

In questo bassorilievo è raffigurato a sinistra la Madonna che consegna la Tau(*) ad una devota a destra assiste alla scena Sant’Antonio Abate mentre viene minacciato dal diavolo. Il bassorilievo probabilmente apparteneva alla Scuola dei sacerdoti di Sant’Antonio Abate che aveva sede nella vicina chiesa di San Paolo apostolo vulgo San Polo. (1)

Sant’Antonio abate è uno dei più illustri eremiti della storia della Chiesa. Nato a Coma, nel cuore dell’Egitto, intorno al 250, a vent’anni abbandonò ogni cosa per vivere dapprima in una plaga deserta e poi sulle rive del Mar Rosso, dove condusse vita anacoretica per più di 80 anni.

Alla ricerca di uno stile di vita penitente e senza distrazione, chiese a Dio di essere illuminato. Vide una volta un anacoreta che seduto lavorava intrecciando una corda, poi smetteva, si alzava e pregava; subito dopo, riprendeva a lavorare e di nuovo a pregare. Era un angelo di Dio che gli indicava la strada del lavoro e della preghiera che, due secoli dopo, avrebbe costituito la base della regola benedettina «Ora et labora» e del monachesimo occidentale.

Antonio vendette tutti i suoi beni e si dedicò alla vita ascetica appena fuori del suo paese. Dopo qualche anno di questa esperienza, in piena gioventù cominciarono per lui durissime prove. L’istinto della carne e l’attaccamento ai beni materiali, che aveva cercato di sopire in quegli anni, ritornavano prepotenti e incontrollabili. Sant’Antonio veniva attaccato dal demonio, che lo svegliava nel cuore della notte per disgustarlo della vita solitaria.  

Visse poi nella Tebaide fino al termine della sua lunghissima vita. Poté seppellire il corpo dell’eremita San Paolo di Tebe con l’aiuto di un leone; per questo è considerato patrono dei seppellitori. Morì a 106 anni, il 17 gennaio del 356 e fu seppellito in un luogo segreto.

Nel 561 fu scoperto il suo sepolcro e le reliquie cominciarono un lungo viaggiare nel tempo e nello spazio, da Alessandria a Costantinopoli, fino ad arrivare in Francia, nell’XI secolo, a Motte-Saint-Didier, dove fu costruita una chiesa in suo onore. In questa chiesa affluivano a venerarne le reliquie folle di malati, soprattutto affetti dall’herpes zoster, che era conosciuto sin dall’antichità come “ignis sacer” (“fuoco sacro”) per il bruciore che provocava. Per ospitare tutti gli ammalati che giungevano, si costruì un ospedale e venne fondata una confraternita di religiosi, l’antico ordine ospedaliero degli Antoniani.

Il Papa accordò agli Antoniani il privilegio di allevare maiali per uso proprio e a spese della comunità, per cui i porcellini potevano circolare liberamente fra cortili e strade; nessuno li toccava se portavano una campanella di riconoscimento. Il loro grasso veniva usato per curare l’herpes, che venne chiamato “il male di Sant’Antonio” e poi “fuoco di Sant’Antonio”. Per questo motivo, nella religiosità popolare, il maiale cominciò ad essere associato al grande eremita egiziano, poi considerato il santo patrono dei maiali e per estensione di tutti gli animali domestici e della stalla.  

Nell’iconografia è raffigurato circondato da donne procaci (simbolo delle tentazioni) o animali domestici (come il maiale con la campanella), il bastone degli eremiti a forma di T,  la “Tau” ultima lettera dell’alfabeto ebraico e quindi allusione alle cose ultime e al destino. (2)

(*) La Tau rappresentava ovviamente la croce cristiana egizia, che per i cristiani alessandrini fu simbolo dell’immortalità, ed era il bastone della vecchiaia di Sant’Antonio.

(1) ConoscereVenezia

(2) Sant’ Antonio (santiebeati.it)

Vedi l’articolo I maiali di Sant’Antonio di Castello 

 

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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