La facciata dell’arcata Foscari e il gruppo scultoreo del doge Cristoforo Moro inginocchiato davanti al Leone di San Marco.

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Facciata dell'Arcata Foscari. Palazzo Ducale

La facciata dell’arcata Foscari e il gruppo scultoreo del doge Cristoforo Moro inginocchiato davanti al Leone di San Marco

Questa arcata venne eretta ducando Francesco Foscari, del quale si vedono gli scudi scolpiti negli interstizi dell’arcata medesima. Furono architetti e scultori di tanta opera Bartolommeo e Pantaleone Bon o Bono, i quali la condussero a fine, essendo doge Cristoforo Moro, come risulta dalle armi di lui, scolpite nel superiori fregi e in più altri luoghi della fabbrica stessa. L’arco di pieno centro, le colonne impiegate ad ornare il prospetto, le modanature meglio profilate e gli ornamenti intagliati con più garbo e diligenza, palesano che gli architetti e scultori veneziani di quella età avevano già sentito l’impulso già dato all’arte dal Brunelleschi e dall’Alberti, se dir non si voglia che essi stessi prepararono la via a nostri, quali furono, fra gli altri, il Riccio e i Lombardo.

Le cordonate che ricorrono nel contorni principali dei due archi, i capitelli, i fregi, le cornici, le mensole del poggiolo, il poggiolo stesso, il fogliame spiccato che corre lungo gli angoli esterni delle aguglie, i genietti scolpiti sulla serraglia del l’arcata, ed in fianco alle basi che reggono le statue principali, gli scudi del Foscari e del Moro collocati negli interstizi degli archi e sulla base della guglia centrale; in fine, le due nicchie laterali ed i simulacri rendono questa mole ricca, cospicua e degna dell’età in cui venne innalzata.

Parlando delle due statue, che decorono le dette nicchie, figuranti Adamo ed Eva, scolpite da Antonio Riccio o Rizzo, ciò che veramente merita lode si è la espressione e la semplicità; e ben dicono apertamente gli affetti e la passione di cui sono comprese codeste imagini dei primi nostri parenti.

Adamo tien con la manca il frutto vietato, e, volgendo la testa al Creatore, sembra gli chieda perdono del grave fallo, per il quale s’introdusse nel mondo la morte: non chiede sia tolta da lui la condanna, che lo confina a spargere dei suoi sudori la terra, resa avara alle profuse fatiche; ma chiede vènia della sua colpa. Porta la destra al petto, a segnale del pentito suo cuore; e come dicesse al Creatore: O voi che mi traeste dal fango, accogliete l’interna doglia dell’animo; nè vogliate scacciare dalla misericordiosa faccia vostra la vostra creatura.

Il sentimento di Eva è di tutt’altra natura. Donna, debole e seduttrice, non ha il coraggio di Adamo, non osa innalzare gli occhi all’Eterno, ma li abbassa, vergognando. Ella vergognasi del peccato commesso; si vergogna di aver tradito gli alti fini di Dio, che la aveva tratta dal fianco dell’uomo, perchè gli fosse compagna, guida, rosa che gli infiorasse il cammin della vita: ed invece tornava a lui nemica traditrice, amaro aconito, morte. 

Sopra il pinacolo centrale si erge la figura dell’Evangelista San Marco, tenente con la sinistra il volume del suo vangelo, e con la destra in atto di benedire. Egli qui occupa il principal luogo siccome Patrono della Repubblica, e mostra di presiedere alle deliberazioni di lei, difenderla da nemici, e farle discendere i più eletti doni dal Cielo.

Sulla base, su cui posa la guglia ove Marco torreggia, sovrastano i quattro pilastrini che la suddividono altrettante statue di giovanetti. Sono in queste immagini espressi gli Angeli custodi dei venti cardinali, quelli di cui parla l’Evangelista Patrono, “che saranno spediti per raunare gli eletti del Figliuolo dell’Uomo, dai quattro venti, dall’estremità della terra sino alla estremità del cielo”; e veduti poi furono in visione da Giovanni, stanti, appunto, “sui quattro angoli della terra che tenevano i venti”.

Sulla principale aguglia a sinistra dell’osservatore si erge il simulacro di un guerriero coperto di ferrea armatura, sormontata da nobil paludamento. Posa la sinistra mano sopra uno scudo, su cui è sculta la testa di Medusa, e nella destra tiene una spada eretta, che ora manca. In esso, pensiamo, è figurato il Terrore, immagine di quello che la Repubblica sapeva incutere a suoi nemici.

Sull’altra aguglia, a destra, è il simulacro della Magnificenza, espresso sotto le forme di nobil matrona, cinta il capo di diadema ornatissimo, ed armata di corazza, sormontata da ricca clamide. Nella destra ostenta una spada, ora caduta, nel mentre posa la sinistra sur uno scudo recante l’arma del doge Cristoforo Moro.

Le quattro agugliette, che a due a due fiancheggiano le maggiori dai lati, sono sormontate da statue rappresentanti l’Armonia o la Musica, l’Aritmetica, la Pietà, la Prudenza. A tutte queste decorazioni se ne aggiungeva un’altra, prima dello spegnersi della Repubblica; ed era il gruppo collocato sopra la grande lastra di marmo, retta dalle due colonne fiancheggianti la porta che mette dal poggiolo all’interne stanze; lastra che serve a copertura della porta medesima figurava il doge Cristoforo Moro prostrato davanti al Leone di San Marco: ma il furor democratico tolse e mandò a male questo gruppo, come distrusse quello del doge Foscari sulla porta della Carta. (1)

Il gruppo scultoreo del doge Moro e del Leone di San Marco venne distrutto alla caduta della Repubblica nel 1797, si salvò solo il busto in marmo del doge, che oggi si conserva nel Museo dell’Opera di Palazzo Ducale.

Nel 1930 la statua di Eva venne ricoverata all’interno del Palazzo Ducale e al suo posto fu instalatta una copia in bronzo, la statua di Adamo fu invece sostituita, sempre con una copia in bronzo, dopo la Seconda Guerra Mondiale tra il 1953 e il 1955. 

(1) Il Palazzo Ducale di Venezia Volume I. Francesco Zanotto. Venezia 1861

 

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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