Il Consiglio Minore o Signoria
Il potere arbitrario e l’autorità quasi indipendente dei dogi, e insieme lo spirito della libertà dell’antico popolo veneziano, diedero origine, nel 1032, alla istituzione di questo corpo, che era il più forte fondamento dell’aristocrazia. A questo scopo, dai sei sestieri di Venezia vennero scelti due, poi quattro e finalmente sei dei più saggi cittadini dell’età non minore di anni 25 compiuti, ai quali si diede il titolo di consiglieri. Non potevano essere eletti se fossero stati parenti del doge, o se per sei mesi non avessero abitato nel sestiere da cui venivano scelti. Ai sei consiglieri si aggiunsero, nel secolo XIII, i tre capi dei XL al criminale, in guisa che il doge, i sei consiglieri ed i tre capi formavano il Collegio Minore, detto anche Serenissima Signoria.
Il fine dell’istituzione fu di consigliare il principe in ogni cosa, e di assisterlo nella esecuzione delle sentenze a lui affidate. Si poteva il doge coi consiglieri assomigliare a signore, che sebbene fra i magistrati divida le faccende dello Stato, tuttavia anche egli nel trattare di quelle vuole intervenire.
Apparteneva a questo consiglio accettare le suppliche che contenevano cose civili, e troncare le controversie del basso ministero insorte o per avidità, o per ambito di superiorità. Aveva il diritto di poner parti, ossia proporre nuove leggi nel consesso della repubblica. Né domande, né suppliche si accettavano nel Maggior Consiglio, se prima a pluralità di voti non fossero state accettate dal Minor Consiglio. Imponeva pene ai giudici ed officiali negligenti, e nella prima settimana di ottobre di ogni anno doveva alla lettera leggere al principe la promissione ducale. I consiglieri, trovando nel doge qualche difetto o mancanza, potevano segretamente ammonirlo.
Ordinavano l’elezione delle cariche, consultavano gli affari da proporre al Maggior Consiglio, e dovevano dimorare due giorni per settimana in palazzo, registrando in un quaderno i consulti sì delle pubbliche che delle private cose. Era geloso l’ufficio dei consiglieri in guisa, che senza l’assenso del doge non potevano, neppur per un giorno, star lontani dalla dominante. Non era a loro lecito vagar per la città, né far parte dei ridotti dei nobili. Non dovevano appartenere ad altro uffizio, né a magistratura.
Senza assenso del senato non potevano disporre del pubblico patrimonio, né rispondere agli ambasciatori o nunzi delle città suddite, né distribuire cariche, né uffizi in città, né fuori, né interpretare le leggi del Maggior Consiglio. Quando quattro consiglieri non erano della medesima opinione, la decisione dell’affare veniva rassegnata al Pien collegio, o al Senato, o al Maggior Consiglio. Non potendo essi giudicare per motivi legali, si sostituivano dei capi di XL al criminale, degli avogadori del comune e degli auditori delle sentenze, ec.
Quantunque i consiglieri fossero di uguale podestà, tuttavia, per la qualità degli uffici che esercitavano, i sei dei sestieri si dicevano superiori, ed i tre capi dei quaranta, inferiori. (1)
Il Minor Consiglio, detto anche Consiglietto, composto dal doge e dai suoi consiglieri, quando si riuniva con i tre Capi della Quarantia (i principali magistrati giudiziari), era noto come Serenissima Signoria, o semplicemente Signoria, e quando quest’ultima sedeva in consiglio con i giudici amministrativi conosciuti con il nome di Savi, l’intero corpo diventava il Collegio o Pien Collegio. (2)
(1) GIUSEPPE CAPPELLETTI. Storia della Repubblica di Venezia. Volume secondo. Stabilimento Antonelli Venezia 1850.
(1) RICCARDO CALIMANI. Storia della Repubblica di Venezia.
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