Sebastiano Veniero. Doge LXXXVI. Anni 1577-1578

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Sala dello Scrutinio. Jacopo Robusti detto Tintoretto. Ritratto di Sebastiano Venier

Sebastiano Veniero. Doge LXXXVI. Anni 1577-1578 (a)

I meriti acquistati da Sebastiano Veniero pugnando contro i Turchi, la prudenza sua, e la sua sapienza, gli valsero ad ottenere il principato; il che avvenne il dì 11 giugno 1577: e fu cosa maravigliosa l’osservare, che alla sua esaltazione concorsero unanimi i voti di tutti gli elettori. Ma cosa ancora più singolare fu quella di vedere al suo avvenimento al trono, venire a gratularci con lui i Turchi medesimi, i quali si trovavano allora a Venezia, dimenticando essere stato il Veniero quello, che sulla loro nazione avea conseguita la splendida vittoria alle Curzolari.

E di vero, secondo era costume, non appena eletto il doge veniva seduto sul trono, e dopo di aver ricevuto l’omaggio degli elettori e dei nobili, si aprivano le porte del Palazzo ducale per lasciar modo di compiere quel medesimo atto ai parenti ed ai famigliari di lui. Quindi fu spettacolo commoventissimo l’osservare, non appena eletto il Veniero, recarsi alla presenza di lui dieci Turchi, i quali, a nome di tutti i loro nazionali dimoranti in Venezia, presentarongli omaggio prostrandosi ai di lui piedi, al modo orientale, e questi baciandogli ossequiosamente, prorompere nelle seguenti parole: Non poter la corona ducale essere collocata meglio che sul capo di chi avea debellato l’ottomana potenza. Il quale atto, e le quali espressioni adatto singolari, riempirono di meraviglia tutti gli astanti; ma vieppiù il doge, il quale rispose a quei generosi con molto affetto e gratitudine, presentando loro distinti doni, colmandoli di carezze, sicché ne partirono lieti della ricevuta accoglienza.

Il pontefice Gregorio XIII, del pari, onorava il Veniero, facendolo presentare, il dì 7 luglio 4577, della Rosa d’oro, a mezzo di Annibale di Capoa, arcivescovo d’ Otranto.

In seguito poi alla promulgata liberazione della peste, il dì 24 del mese ora detto ebbe luogo una processione solennissima, e tale che sembrava avere Venezia ottenuta splendida vittoria sui nemici, e colle spoglie loro adobbate le vie ed arricchita la mostra. Costrutto un ponte di galee e di altri navigli, dalla Piazzetta all’isola della Giudecca, per questo procedevano, in mezzo ai cantici dei sacerdoti, dei monaci e delle confraternite di tutta la città, il patriarca di Venezia, quello di Armenia, il primicerio di san Marco, e quindi il doge, la signoria, gli ambasciatori delle corti straniere, i nobili ed il popolo; e giunta la comitiva al luogo assegnato per la erezione del tempio votivo, ove si era improvvisato una chiesa di tavole, coperta di foglie, ed abbellita di cuoi d’oro e di arazzi, nel cui mezzo elevavasi l’altare, si celebrò il divino sacrificio, seguito dal canto degli inni musicati dall’insigne maestro Giuseppe Zarlino. Compiuta la festa, pensavasi tosto alla fabbrica del tempio, e se ne dava l’incarico all’immortale architetto Andrea Palladio, che lo eseguiva in modo da aggiungere a sé stesso gloria, decoro grandissimo alla città.

Senonché queste letizie venivano amareggiate da un infortunio, quello cioé del furioso incendio che arse le principali aule del principato, accaduto il 20 dicembre 1577, per cui perirono i capi d’opera dell’arte pittorica che le decoravano: intorno al quale incendio ed alle providenze prese a riparazione dei guasti gravissimi, é a leggersi quanto serivemmo nei Capi XVI, XVII e XVIII della storia di questa fabbrica.

Domato dagli anni, ed avvilito per cotal traversia, doge Sebastiano Veniero passava a miglior vita il dì 3 marzo 1578, e lodato in funere dal dottore Gregorio Manzini, veniva sepolto nella chiesa di santa Maria degli Angeli a Murano (b).

Il ritratto del nostro doge reca il solito cartello, su cui si legge, con poca diversità dal Sansovino e dal Palazzi, i quali, dopo la parola Echinadas, aggiungono, paulo ante:

LAVREAM SERVATAE PATRIAE, QVAM ARMATVS IMFERATOR AD ECHINADAS IN TRIVMPHVM RETVLERAM, PRINCEPS VNA OMNIVM SENTENTIA CREATVS, ITA CIVILI MODERATIONE MVNIVI, VT DVBIVM REI.IQVERIM, FVERIM NE IN REPVB. ADMINISTRANDA PRINCEPS IVSTIOR ET SANCTIOR, AC IN REBVS BELLICIS FORTIOR ET FELICIOR IMPERATOR. (1)

(a) Nacque Sebastiano Veniero da Mose, e fino dalla sua giovanezza dimostrossi eloquentissimo a petto dei migliori dell’età sua, sicché, sostenute da prima alquante cariche, passò a Brescia, nel 1562, siccome capitano, e con la sua prudenza e facondia, compose alcune differenze insorte a cagion dei confini coi Cremonesi. Due anni appresso, fu uno dei senatori deputati ad appianare altre differenze nate per la cagion stessa dei confini nella Carnia, ove per tale effetto tornava, nel 1567. Nel 1568 fu spedito, con molte milizie, provveditore a Corfù onde munire quell’ isola per sospetto dell’armi ottomane. Fu quindi, al dire del Cappellari, avvogadore di comun, savio grande, consigliere e provveditore generale sopra le fortezze; conseguendo poi la stola procuratoria de ultra, il dì 15 maggio 1570, in luogo di Luigi I Mocenigo, eletto doge. Passò indi di nuovo provveditore generale a Corfù, ove instituì la cavalleria leggera, ed espugnò il castello di Sopotò. L’anno appresso recossi nella stessa qualità in Candia, e colà essendo, fu eletto capitan generale di mare, ed a merito suo principalmente si conseguì la famosa vittoria alle Curzolari, in cui rimase ferito di freccia in un ginocchio. Ritornato in patria nel 1573, fu il suo ritorno un vero trionfo. Imperocché, incontrato da cinquanta senatori, e smontato al molo, veniva accolto dai patrizii fra le acelamazioni giulive del popolo, nel mentre lo precedevano le turche spoglie e le conquistate bandiere e le armi ed i prigioni. Egli, vestito con le assise proprie dei generali supremi, procedeva maestoso, Tramezzo alla moltitudine occorrente, e giunto alla porta della basilica di san Marco, gli si fece incontro il doge Luigi Mocenigo, col Senato, rallegrandosi seco lui del felice suo arrivo e della conseguita vittoria. Assistette dappoi ai sacri misteri, celebrati con la più splendida pompa, portandosi poscia alla sua dimora. Nella venuta a Venezia del re Enrico 111 di Francia, fu il Veniero uno fra i quattro destinati a portargli I’ombrello; e nel 1575 era savio del consiglio, infinché, dopo la morte di Luigi Mocenigo, fu elevato alla suprema dignità della patria, come dicemmo. Ebbe a moglie Cecilia Contarini q. Natale, la quale non poté coronarsi dogaressa, atteso l’incendio accaduto nel Palazzo ducale. La di lui fama guerriera fu si diffusa, che l’arciduca Ferdinando, co. del Tirolo, amando raccogliere nel suo castello d’Inspruch le armature dei grandi re e dei capitani famosi, chiese alla Repubblica, nel 1577, col mezzo degli ambasciatori straordinari inviati all’imperatore Rodolfo II, Giovanni Michiel e Leonardo Donato, I’armatura del nostro Sebastiano, elie, secondo nota il Sansovino, gli fu spedita (Cicogna, fuse. Fenez., Voi. VI, pag. 834, e Sansovino, Venezia ce, pag. 617). Il ritratto del Veniero si vede anche espresso da Paolo Veronese, nel dipinto figurante il Salvatore in gloria, collocato sul trono ducale, nella sala del Collegio, inciso ed illustrato nella Tavola LXXXIII ; e si vede pur anco il suo busto in fino marmo, scolpito da Alessandro Vittoria, sull’ interna porta che metteva nelle sale d’Armi, ora Instituto di scienze, lettere ed arti, anche questo inciso ed illustrato nella Tavola CXVIII.

(b) Il sepolcro del nostro doge, é in piano terra, nella citata chiesa di santa Maria degli Angeli a Murano. La inscrizione, che però noi non potemmo leggere ora (1862), essendo quella chiesa in attualità di restauro, dice, secondo la riporta il Moschini (Dell’ isola di Murano, ec. pag. 85 ), che la trasse forse dal Cornaro:

HIC MAGNI PRINCIPIS ATQVE INVICTI SEBASTIANI VENERII OSSA, DVM ILLI DIGNA ERIGANTVR MAVSOLEA.

(1) Il Palazzo Ducale di Venezia Volume IV. Francesco Zanotto. Venezia MDCCCLXI

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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