La giustizia a Venezia: le querele e il processo

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Magistrati veneziani, Sala dei Censori, Palazzo Ducale

La giustizia a Venezia: le querele e il processo

Le accuse secrete o pubbliche, dette nel linguaggio del foro querele e querelanti gli accusatori, quando erano ricevute si annotavano in un libro. Si procedeva quindi a compilare il processo, compilato il quale, lo si poneva in un archivio detto cassone, e poi, giusto in ordine di data, si presentavano alla deliberazione dei Dieci.

Per ordine dei capi dei Dieci, l’imputato era arrestato, senza formalità, improvvisamente, senza dar conto né a lui, né a suoi della casa dell’arresto. Per lo più la cattura era fatta nella notte, ed ecco come potesse dirsi che sparivano uomini. In carcere non poteva vedere i suoi se non in certi casi e quando era sostenuto per lievi delitti. Si è veduto però quali pratiche fossero necessarie prima di accettare le accuse secrete e le accuse pubbliche. Le semplici apparenze di delitti non potevano prestare argomento a processo.

L’imputato era condotto innanzi ad un collegio criminale composto di un avogadore e di un capo dei Dieci. Ivi era interrogato. Erano deputati alcuni notari ducali a scrivere i processi, e si chiamavano notari dei camerini. Due notari erano impiegati in ogni processo separatamente. Uno assumeva la parti dell’accusa; cioè udiva l’imputato quand’era accusato, notava le risposte alle accuse, i testimoni che erano per le accuse. L’altro assumeva le parti della difesa, notando le discolpe dell’imputato, i testimoni che lo difendevano.

L’imputato aveva diritto di chiamare testimoni e documenti scritti a difesa; inoltre poteva farsi aiutare dalla penna dell’avvocato, ma non dalla voce. Compiuto il processo dal collegio criminale e presentato al Consiglio dei Dieci, si leggevano tutti gli atti. L’avogadore placitava, accusava il reo e proponeva la pena. Poi si discuteva sul fatto e sul diritto.

Finita la discussione si proponeva la sentenza. Ognuno dei Dieci aveva diritto di proporre le minorazioni di pena, e ogni proposizione era messa a voti. Quella che otteneva la maggioranza era posta ad altre quattro prove. Approvata, era sentenza inappellabile. La sentenza era intimata al reo da un avogadore, presenti i capi. Le pene erano l’ammenda pecuniaria, il carcere a tempo, il carcere in vita, la galera a tempo e a vita, l’esilio, il confine, la morte di capestro e di ferro. (1)

(1) Venezia e le sue lagune Vol I (Stabilimento Antonelli, Venezia 1847)

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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