La giustizia a Venezia; le condanne per stregoneria

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Ingresso alla Corte degli Angeli con la Chiesa di Santa Maria degli Angeli. Isola di Murano

La giustizia a Venezia; le condanne per stregoneria

Anche a Venezia verso la fine del Quattrocento e nei secoli seguenti erano molto diffuse le arti magiche, la fede nelle influenze degli astri, le ricerche delle pietre filosofali, le misteriose pratiche per scoprire nel futuro il volger fatale delle vicende umane, e a quelle superstizioni, pregiudizi, sortilegi concorrevano tutti dai più bassi popolani agli uomini di molta cultura.

Il reverendissimo padre inquisitore dell’ordine di San Domenico, frate Cataldo Scipioni, riceveva il 20 gennaio 1588 una denuncia trovata nella “casella della bocca del leone” in Campo San Martino.

Il denunziante era tale Iseppo zocoler, abitante a Santa Maria Formosa, il quale scriveva che “havendo hautto pratica” con certa Maddalena Braganza alquanti giorni, pentitosene poco dopo “le diede comiato, ond’ella si partì col sdegno et gionta” a Padova gli scrisse una lettera minacciando di “strigarie et di condurlo a hora prefissa vicino a morte“, come, seguita il denunziante, avvenne in realtà, e come del resto, aggiunse, è solita a fare “con altre consimili occasione“.

Iseppo parlava poi della sua malattia che era durata quasi tre mesi e che, a detta dei testimoni Beneto Fabioorese“, Zuane DraganCapeler” ed Antoniamojer del dito Beneto“; aveva tutto l’aspetto di una stregoneria; alla denuncia allegava inoltre la lettera della Breganza.

La lettera, in data 1 giugno 1587 era indirizzata da Padova a missier Iseposenza fede” e cominciava: “Per questa mia son stada sforzata a schriver avendo inteso il vostro vivere et ancha io sola l’ho visto et vedo in proprio fato perché il proverbio dice il vero chi chon li cani si còrega (corica) si leva con una gran suma del pùlesi, chosì ho fato anche mi a impaciarmi chon vo…” e fra le imprecazioni soggiungeva: “non passerà le 24 hore che tu sentirai una dolgia al chore che prego dio che podè crepare …” e poi firmava: “Io madalena braganza, chi mi vol mal il sia ge insa fora de la pansa (chi mi vuol male crepi)”.

Denuncia e lettera furono letti; i testimoni interrogati ed il Tribunale della Sacra Inquisizione, con l’aggiunta solita dei tre senatori chiamati “Savi all’eresia“, decretarono l’arresto della Braganza e la relativa condanna.

L’infelice Maddalena fu arrestata a Padova e tradotta a Venezia dove fu tenuta “per lo spazio di una hora sora la porta maggiore della chiesa ducale di San Marco“, esposta a tutti i passanti. Sul petto le fu messo un cartello che ne narrava la colpa, e dopo trascorsa l’ora fu condotta in giro per la piazza con grande codazzo di putti che facevano un baccano d’inferno. A vespro fu ricondotta sotto l’atrio della chiesa dove recitò per ben tre volte l'”atto di contrizione“, e dopo partì per il bando che doveva durare due anni.

Così Iseppo, zocoler di Santa Maria Formosa, fu vendicato di Maddalena Braganza con la quale, per alquanti giorni, ebbe pratica amorosa e per virtù di magia, diceva il Tribunale, sofferse tre mesi di letto. (1)

Il 15 gennaio 1733 Giacomo Casanova, bambino allora di otto anni, fu colpito da un ostinato oscolo di sangue dal naso (epistassi) e la nonna materna Marzia Farusi, visto che le cure dei dottori non giovavano a nulla, presa una gondola, condusse il nipote a Murano. Sbarcati presso la chiesa di Santa Maria degli Angeli, dopo alcuni passi entrarono in una vecchia stamberga dove la nonna parlò con una vecchia mostrandole il fanciullo. Era quella la famosa strega di Murano, tale Zanetta delle Vignole.

Per un ducato cominciò la cura: Giacometto fu rinchiuso in una grande cassa dove egli afferma non provò paura, “tanto era intontito“, bensì intese grida, scongiuri e colpi sulla cassa. Alla fine tolto di là e spogliato, venne messo col viso sopra il fumo di alcune erbe, bruciate, spalmato il corpo di un unguento dal profumo acre e, rivestito, fu costretto ad ingoiare cinque pillole nere.

Il sangue era quasi cessato. Ma le cure della vecchia non si limitavano a questo: ella operava anche in grande e il 10 ottobre 1734 una ragazza per certa sua cosa alle assistenze della strega, moriva per i grandi decotti bevuti, e poco dopo la giovane patrizia Anzola Vendramin ammalava gravemente “et solo un miracolo de santo Antonio la salvò de la morte“.

I due fatti furono saputi dal podestà di Murano, che denunciò la vecchia agli “Esecutori della Bestemmia“, e il 4 novembre Zanetta delle Vignole veniva arrestata. Dopo quasi tre mesi di prigionia le fu fatto il processo e fu condannata a confine perpetuo nel territorio di Ceneda, ma prima avvenne nella chiesa di Santa Maria degli Angeli la funzione del pentimento.

Il 5 febbraio 1736 si condusse la donna in chiesa e dinanzi al vescovo di Torcello, che allora aveva stanza a Murano, fece l’abiura delle sue stregonerie, ad alta voce recitò cinque volte il rosario e stette “una hora in piedi sulla porta maggiore de la chiesa con un cartello al collo che diceva le colpe“.

Da Murano fu condotta a Campalto e giunse a Ceneda dopo tre giorni ma per lo strapazzo del viaggio, della funzione e della prigionia morì poco dopo il suo arrivo.(2)

(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 22 gennaio 1924. Archivio di Stato di Venezia. Processi del Santo Ufficio Busta 65.

(2) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 22 gennaio 1924

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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