Palazzo Priuli Bon Rezzonico a San Barnaba
Per la famiglia Priuli-Bon fu architettata la fabbrica da Baldassare Longhena, che occupato dopo lo Scamozzi a condurre l’opera delle nuove procuratie fino dal 1640, ne adottava pure per questi recinti il modello, rimasto però da quella eleganza di gran lunga distante. Imponente è infatti il palazzo per le proporzioni grandiose, non però felice nei dettagli, secondo anche il giudizio del Cicognara. Non difetta l’ingresso di maestà ad onta l’angustia di spazio, perché non poté farsi l’acquisto della maggior area, occupata allora da fondi patrimoniali della chiesa di San Barnaba. Di fianco a destra si apre un atrio ricchissimo, che si prolunga fino alla riva magnifica del Canal Grande. Splendide e marmoree sono le gradinate, con riquadri di marmo nelle pareti. Fra le statue si ammirano due pellegrine vezzose, opera di qualche scalpello gentile.
Comperarono la mole dai Priuli-Bon i Rezzonico, che avendo tesoreggiato nei traffichi, si erano trasferiti sulle lagune e per ingenti esborsi nelle distrette dell’erario ottennero nel 1687 la nobiltà veneziana. Ordinavano essi in più vaga forma l’edificio, aggiuntovi un terzo ordine col disegno dell’architetto Giorgio Massari, che contemporaneo al Temanza e al Lucchesi alzò vari palazzi tra noi sul gusto del Tirali: nel detto ordine i fori del cornicione che fanno l’ufficio di decorarlo, danno luce insieme a diversi stanzini, ove i Rezzonico tenevano negli ultimi tempi la biblioteca.
A questo terzo piano mettono interne scale in fondo all’atrio presso la riva, che si costruiva grandiosa, durante anzi il qual lavoro il tecnico Giuseppe Pedolo fatalmente moriva sul luogo alla sprovveduta. Un altro approdo inferiore sta di fianco sul rivo, forse a comodo della famiglia. I Rezzonico si recarono in questa ristorata dimora soltanto nel 1746, onde in queste soglie non vide altrimenti la luce Carlo Rezzonico che fu papa Clemente XIII, nato in altro palazzo il 7 marzo 1693.
Le stanze del piano nobile conservano pitture di Luca Giordano e del Ribera detto lo Spagnoletto. Un plafone è del pennello del Bonifazio: vi sono statue e busti di Alessandro Vittoria. Alla prima venuta di Giuseppe II nel 1769 era scelto questo palazzo per i trattenimenti e le feste, onde tutto di nuovo si addobbava per cura dei savi cassieri, e si dava a pubbliche spese un’accademia di canto e di suono. La eseguivano cento figlie coriste tratte dai quattro Cori impropriamente nominati Conservatori della Pietà, dell’Ospedaletto, degli Incurabili e dei Mendicanti. Si ricorda anzi quell’orchestra in tre piani, in cui si distinsero le alunne col suono di tutti gli strumenti musicali, e in ispecie colla cantata a sette voci, sostenuta da sette delle più valorose, con l’applaudita musica del maestro Bertoni. Risplendevano le sale per gli arredi preziosi, i cristalli e i lampadari, di bronzo dorato, con nobili intagli di proprietà dei Rezzonico, e per l’intervento di cento e venti dame con seriche vesti gioiellate, e seicento nobili nelle assise patrizie e senatorie. Il cav. Cicogna conserva come curiosità un invito a penna, che assegna l’etichetta nel costume per gli uomini in abito nero, per le dame in andrienne nero e barbole, cuffia da gala e guardinfante.
Si festeggia in questi recinti anche l’esaltamento del Gerarca del Vaticano, quando egli donava alla Repubblica la Rosa d’oro nel 1759. Allora si creava ereditario nella famiglia il cavalierato della stola d’oro, e si insignivano soprannumerari della stola procuratoria Aurelio e Lodovico, fratello e nipote al Pontefice. Il quale Aurelio nell’anno stesso, alle 4 di notte del 15 novembre, cessava in questo palazzo di vivere, e un anno appresso la stessa sorte toccava a Vittoria Barbarigo Rezzonico madre al pontefice, ventitré giorni dopo la di lui incoronazione. E fu per quella congiuntura luttuosa, che si erigeva un ponte sopra barche sul Canal Grande per la pompa funerea, con l’intervento di tutto il clero della città, dei canonici della ducale e patriarcale, e dei parenti corrucciosi in largo manto nero, con strascico a terra per tradurre l’estinta illustre nelle tombe domestiche in San Lazzaro dei Mendicanti.
Al Canova si affidava in appresso dalla famiglia il monumento che addita il papa genuflesso quasi in colloquio con Dio, opera sorprendente con cui l’Italo Fidia, giusta il Missirini, richiamava al centro delle grandezze le smarrite memorie di Atene e Corinto. In Abbondio, nato nel 1744 e morto in Pisa il 4 marzo 1840, si estingueva la famiglia Rezzonico, e passava il patrimonio nei consanguinei Widmann di San Canziano che ne assunsero il cognome.
La proprietà di questo palazzo si legava agli eredi Pedemonte Giovanelli, ma con l’espresso patto che ritornando i Gesuiti in Venezia si converta in luogo per essi di educazione, e si intitolò collegio Rezzonico. Non poterono però i Padri Gesuiti conformare l’edificio al designato uso, e fecero con gli eredi un convegno, rinunziando al benefizio. In appresso il palazzo si alienava ai RR. Infanti di Spagna. Ora lo possiede il co. Ladislao Zelenskij. (1)
Spogliato dell’arredo, suddiviso tra gli eredi e poi venduto, il palazzo passò nell’Ottocento a diversi proprietari; acquistato dal pittore inglese Roberto Barret Browning, fu scelto come residenza dal padre di questi, lo scrittore Robert Browning, che vi morì. Successivamente venne rilevato dal conte Lionello Hirschell de Minerbi, deputato al Parlamento italiano, che lo cedette nel 1935, dopo lunga e complessa trattativa, al Comune di Venezia. (2)
(1) GIANJACOPO FONTANA. Cento palazzi fra i più celebri di Venezia (Premiato Stabilimento Tipografico di P.Naratovich. 1865).
(2) http://carezzonico.visitmuve.it/it/il-museo/sede/la-sede-e-la-storia/
FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.