Le compagnie, di gentiluomini o di cittadini veneziani, dette della Calza

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Vittore Carpaccio. Ritorno degli ambasciatori (particolare con Compagni della Calza). Gallerie dell'Accademia

Le compagnie, di gentiluomini o di cittadini veneziani, dette della Calza

Era la compagnia della Calza una società di gentiluomini o di cittadini veneziani, con qualche forestiero di sangue prinpesco ancora, che instituitasi nel principio del secolo XV durò sin verso la fine del seguente. Con licenza del consiglio dei Dieci e con sopraintendenza del magistrato dei Provveditori del Comune era scopo dei suoi membri l’esercizio di scambievoli uffizi di amicizia ed il ricrearsi con onesti diporti e piacevoli trattenimenti.

Davano essi quindi a proprie spese allegrezze pubbliche con rappresentazioni teatrali, musiche sull’acqua, regatte, mascherato, feste a ballo ed altri pomposi spettacoli, specialmente nelle nozze, negli ingressi di procuratore, nel venire dei principi forestieri in Venezia, ec. Di persone in gran numero e di varie partite sotto particolari capi la compagnia era composta. Ognuna delle quali partite, nelle comparse pubbliche, abito particolare portava, con la calza alla parte diritta, dalla metà della coscia sino al piede, di vari colori distinta, ed anche guernita d’oro e d’argento o di perle o di gioie. Le calze di una partita erano differenti da quelle dell’altra, siccome pure diversi erano i nomi di ciascuna partita; perciocchè vi erano i Cortesi, i Sempiterni, i Floridi, gli Accesi, i Pavoni, gli Eterei, i Reali ed altri in altro modo chiamati.

Nelle calze poi tante e tali varietà si sono introdotte, che non più bastava la divisa di una calza a mostrare di quale partita un compagno si fosse. Per la qualcosa fu decretato che tutti portassero la calza di colore uniforme, avvenne chè rimanesse la sinistra ad essere sino alla metà intrecciata d’oro ed ornata di gioie. Nelle funzioni altri vestivano giubboni di velluto o di drappo d’oro e le maniche portavano attaccate con stringhe con punta d’oro massiccio e scavezzate in mezzo, affine di far uscire fuori la camicia; altri portavano veste ducale di tabino chermisino; altri aveano una forma di mantello a cappuccio; altri un’altra, a seconda, non solo delle varie partite, ma delle varie stagioni, delle varie circostanze, acciocchè la varietà meglio recasse diletto. Il Gran priore della Compagnia vestiva però alla cavalleresca con la toga d’oro avente un grande strascico, e con un’aurea collana al collo.

Ogni partita aveva due sindaci, un cappellano, un notaio ed un nunzio, e nelle comparse pubbliche sommo sfarzo ciascuna faceva di famigli, di assise, di suoni e di somiglianti magnificenze.

Si narra che la partita dei Sempiterni, nel celebrare la sua maggior festa, rappresentò nel canal grande la macchina del mondo, nel vacuo mezzo della quale, tutto addobbato d’oro e di seta, stavano da duecento gentildonne; che ballando al suono di dolcissimi strumenti erano tirate dai palischermi ed altri legni per lo corso dell’acqua. Immagini ognuno a vedere tale spettacolo quale sarà stata la calca del popolo per le finestre, per le fondamente; immagini il corteggio delle barche, le maschere, i conviti, conforme agli ordini della compagnia della Calza, e pensi poi che cosa fosse allora questa città, quali le ricchezze sue, e quale sovra tutto lo spirito che muoveva i compagni della Calza ad intrattenerla in somiglianti sollazzi. (1)

(1) Ermolao Paoletti. Il fiore di Venezia. I quadri, i monumenti, le vedute ed i costumi veneziani. Vol III (Venezia, Tommaso Fontana Tipografico Edit., 1840).

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