Antonio Grimani. Doge LXXVI. Anni 1521-1523
Prima di passare alla nomina del principe nuovo, i correttori della Promissione ducale fecero aggiungervi altri obblighi, vale a dire, non potesse egli dar risposta agli ambasciatori se non con termini generali, prima di aver consultato il collegio od altri consigli; non potesse aver parte alcuna nei dazi; desse udienza a chiunque, il lunedì e giovedì pubblicamente a porte aperte; i malfattori che, dopo il processo e confessato il delitto, si presentavano al doge a ratificare la loro confessione, ciò facessero d’ora in poi innanzi ai consiglieri un giorno almeno dopo confessato. Si stabiliva anche, che stante la difficoltà di procurare il numero occorrente di uccelli salvatici, soliti dispensarsi dal doge, il 4 dicembre, sacro a Santa Barbara, a tutte le magistrature, fosse a quelli sostituita una moneta del valore di un quarto di ducato. Dopo ciò, raccoltisi gli elettori, fra parecchi concorrenti, elessero, il dì 6 luglio 4521, Antonio Grimani, quello stesso che era stato posto a confine, e quindi richiamato in patria, dopo di aver reso utile servigio, nella guerra di Cambrai, appo il pontefice Giulio II. Il suo innalzamento fu grandemente festeggiato nella città e nello Stato; ma la grave sua età, d’anni 86, non permise che ci sedesse a lungo sul trono.
Continuavano le discordie tra Francia e l’impero a tenere agitata l’Italia; e la Repubblica, pensando essere più vantaggioso alla sua politica stare unita colla prima, negava, con buone ragioni, il passo richiesto dall’imperatore alle sue genti per scendere in Italia, e muniva i confini, rinforzava 1′ esercito ed affidava ad Orazio Maglioni la difesa di Brescia: ma debolmente secondata dalla Francia, dovette abbandonare la difesa di Milano, che cadeva in potere di Cesare; e con essa Lodi, Pavia, Parma e Piacenza.
Toccata poscia una rotta dall’armi franche, il dì 22 aprile 1522, capitanate dal Lautree, pensò la Repubblica di stringere vieppiù le pratiche, non mai state intermesse con l’imperatore, onde le cose fossero restituite in pristino, riavendo quanto prima della fatale guerra di Cambrai possedeva; finalmente si conchiuse, il dì 29 luglio 1523, il trattato definitivo di pace, nel quale furono nominati quali comuni amici i re di Polonia, d’Ungheria e di Portogallo, il duca di Savoja, la Repubblica di Firenze, la casa Medici, il duca di Genova e il marchese di Monferrato. Il Papa e il re d’Inghilterra erano dichiarati custodi e conservatori delle convenzioni statuite.
Doge Grimani però non vide la conclusione di questa pace pubblicatasi in Venezia il dì 15 agosto 1523, imperocché passava a vita migliore il 7 maggio dell’anno stesso.
Fra laudato in funere da Federico Valaresso, e sepolto nella chiesa di San Antonio di Castello: dicendo però il Palazzi che furono poi le di lui ossa trasportate nel tempio di San Francesco della Vigna.
Al suo tempo, cioè il 17 settembre 1521, fu istituito il Magistrato sopra Monasteri, composto di tre nobili, onde, con la intelligenza degli ordinari, ponesse inappellabile fine alle querele dei monasteri, intorno alle riforme, e provvedesse a tutte cose ad essi monasteri relative. Si soppresse, nell’anno stesso, e quindi tre anni dopo si richiamò in vigore il Magistrato de Censori, e nel 1522, si sistemò l’altro Magistrato del Forestiere. Si fondava poi nell’anno ultimo citato lo spedale degli Incurabili dalla pietà di Maria Malipiero e Marina Grimani.
Il breve che gira intorno al ritratto del Grimani dice:
ATTOLENTIS PREMENTISQ. FORTVNAE MIRABILES LVDOS
SEMPER DESPEXI, QVVM INFRACTO ANIMI VIGORE
FIRMVS ET CONSTANS, AB HOC SALVBRI TEMPERAMENTO
ME IPSO MAIOR ET CLARIOR EVASERIM. (1)
(1) Il Palazzo Ducale di Venezia Volume IV. Francesco Zanotto. Venezia MDCCCLXI
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