Palazzo Michiel dal Brusà ai Santi Apostoli

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Palazzo Michiel dal Brusà ai Santi Apostoli. In "Venezia Monumentale e Pittoresca", Giuseppe Kier editore e Marco Moro (1817-1885) disegnatore, Venezia 1866. Da internetculturale.it

Palazzo Michiel dal Brusà ai Santi Apostoli

Le gravi differenze, che si notano nel prospetto non spregevole di questo palazzo, nei davanzali del terzo ordine senza il sesto acuto, e nella forma delle balaustrate di tutti i poggioli, sembra che, a così dire, suppliscano all’ufficio della storia, per accennare a prima giunta alla fatalità di un incendio, da cui fu colpita la fabbrica nel 1774. Stavano in fatti tranquilli redigendo il catastico della famiglia il notaio Giovanni Battista Conti, il poeta teatrale Giuseppe Foppa, e Jacopo Chiodo, che fu più tardi direttore dell’Archivio generale politico ai Frari, e ardeva intanto vivo il fuoco, che per tre giorni lavorò latente, onde la fiamma si rese quasi inestinguibile, per umano artificio, e quindi, tranne l’archivio, delle ricchezze di quella Casa non poté salvarsi una gioia. Di tanto incendio sono evidenti ancora le orme nel lato del campo, e si scorgono le dentellature, ove era l’ingresso al palazzo, per l’arco di pietra viva, al presente immurato, nella calle del Dragan; cognome questo di un Priore della scuola grande di San Rocco, che in quei dintorni domiciliava. Perciò i Michiel s’intitolarono dal Brusà, giusta il dialetto veneziano, e giusta il costume di segnarsi con quella parola gli avvenimenti del fuoco, come, per esempio certe strade nella Barbarla delle tavole, a Santi Giovanni e Paolo, si appellano del 1.° e del 2.° brusà, per accennare all’epoche degli incendi, seguiti il 1 giugno 1688, e il 7 ottobre 1791. L’infortunio arrestò le considerazioni della Repubblica, e per l’alta stima della Casa, e in memoria di meriti insigni, che furono testimonianze di splendida carità per la patria, a spese pubbliche si restituivano quelle soglie alla integrità primitiva. Era quella una specie di riedificazione, in cui si erogava il dispendio di trenta mila ducati, e tre anni durava l’opera.

Ci dà fede del fatto la seguente iscrizione in marmo di Carrara: quos ignis consumpsit patria mementa, majorum nepotibus patrios lares restituit. S. E. VI Idus Januarii 1777. Simile tributo, onorifico insieme agli ascendenti ed ai nipoti, allora superstiti, si legge nel grande atrio di ingresso, che non è più di stile gotico, ma forse della scuola del Tirali, conformato con quattro colonne massicce di pietra d’Istria ad anelli, avente sedili di marmo, coi pedali all’intorno, e ornamenti di stucco, in forma di rosoni fogliati, come decorazione nel soffitto.

Però ancora sussistono gotici gli archivolti sulle scale, e nell’ interno dell’atrio rimase incassata tra le pareti, forse impressa del blasone, una grandiosa cisterna, pure gotica, di marmo. La sala del piano nobile appare della stessa epoca della rifabbrica, e molto si accosta al disegno della scala magnifica dei Pisani-Moretta, aprendosi un arco alle soglie di marmo rosso, a pilastri canalati, con capitelli di ordine composito, col frontone e la cornice di bel disegno, intersecato di scaglia africana, di cui sono pure rivestiti i frontoni delle altre cinque porte. L’insieme della sala è modellato a rococò, con stucchi a foggia di medaglioni, effigiami busti d’imperatori romani, e i chiaroscuri e il dipinto ai lati, e nel mezzo del plafone, sono vaghissimi affreschi, con figure del Guarana, di argomento allegorico. Altri plafoni, nelle stanze del secondo piano, sono parimenti del Guarana. Figura in uno l’apoteosi di Flora, coronata dagli Amori; nell’altro il ratto di Venere, per opera di Cupido, su cocchio tirato dalle colombe. Non diremo spregevoli nemmeno i chiaroscuri delle stanze contermini della scuola medesima, massime quello che risulta il più leggiadro, e rappresenta Apollo e Dafne. Forse i descritti della sala alludono a taluna delle glorie domestiche. Poiché i Michiel ebbero undici Procuratori e stole equestri e senatorie, legati e generali in gran numero, una serie inoltre di claustrali e mitrati, e un Cardinale in Giovanni patriarca di Costantinopoli, decano del sacro Collegio, quegli che fu avvelenato da un Borgia per l’avidità di usurparsi il pingue suo censo. Furono gran vanto di questa Casa tre corone ducali, e di pari grandezza risaltarono i meriti dei tre principi delia patria che ne sostennero l’onore. Un Vitale Michiel Protosebaste e Protospatario, dignità suprema dopo quella Imperiale, figura il primo che in remote parti dilatasse gli Stati della Repubblica. Era il tempo della prima Crociata quando Goffredo Buglione, vinto Solimano per la via delle conquiste si coronava re di Gerusalemme e allestiva una flotta contro i Barbari usciti quattro secoli innanzi dal Caucaso. Il Doge stesso alla testa della Crociata col proprio figlio Giovanni e con Arrigo Contarini Vescovo Olivolense umiliava i Pisani alle alture di Rodi e bloccava i porti di Joppe e di Smirne. Chi non ricorda di lui più grande Domenico, rinomato fra i capitani della sua età, che con armata navale straordinaria cingendosi degli allori di Alessandro mosse al conquisto di Tiro nella Soria, centro antico del commercio, e ricondusse la vera epoca del primo risorger delle arti, aumentando le ricchezze veneziane, di cui la conquista di Costantinopoli à compiuto l’opera dell’ingrandimento? Egli vinse Ascalona, la più forte piazza marittima della Siria, e Gerusalemme e Modone nella Morea, e rivendicò al dominio veneto le città usurpate della Dalmazia e si tenne avvinti gli animi dei cavalieri di Cristo nei cinque anni di assedio con tratti di eroismo inauditi, rifiutato per sè il diadema della Sicilia. Tutti i di lui meriti si compendiano nella epigrafe laconica: terror Graecorum et laus Venetorum sul monumento di finissimi marmi a San Giorgio Maggiore, che sorge contiguo a quello di Sebastiano Ziani erettosi per decreto del Senato a spese dei monaci, di marmo greco per 1550 ducati nel secolo XVII. Figlio di questo Doge fu Vitale II di politica esperienza e di rara bontà, nel tempo del cui Dogado si istituiva la Camera degli Imprestiti e si divideva perciò Venezia in seste parti, detti sestieri. Fervendo le fazioni in Italia dei Guelfi e Ghibellini, ruppe egli guerra ad Ulrico patriarca di Aquileia, poscia si misurò coll’esercito di Emanuele Imperatore di Costantinopoli. Veramente infelice per la triste fine a cui nella sua patria soggiacque dopo anni diciassette di regno, interfetto a tradimento, mentre nel giorno di Pasqua si recava ai vesperi in S. Zaccaria, alla qual chiesa fu tratto a stento, e da quei monaci si assisteva nella estrema ora del tremendo passaggio. La morte sua fu lezione alla Repubblica per sottomettere il popolo al Governo e regolar meglio i poteri del principato.

In questo palazzo si vede il ritratto del Silvio Martinengo letterato e filosofo caro al Rubbi, ed al Bondi, e per la sua versione del Paradiso del Milton, con cui vinse il Rolli, lodato dal Corniani nei secoli della letteratura italiana. Da questo esimio cavaliere mancato il 24 luglio 1834 e nel quale si estinse la Casa dei Martinengo della Riva di Biasio, ereditarono i Michiel l’Armeria di Brescia, che venne acquistata dal Re Carlo Alberto, il Magnanimo. La scelta biblioteca e copiosa era pure del Martinengo, e giunse tardo, ma non spregevole compenso alla perdita di quella, che aveva ricca ed eletta un Luigi Michiel Senatore, facondo Avogadore tre volte, uno dei cinque Correttori delle Leggi, di erudizione singolare, mancato all’improvviso il 24 aprila 1589, essendogli morta la parola sul labbro, mentre arringava in Senato. Abbelliscono le suntuose pareti alcuni buoni dipinti del Lazzarini, del Piazzetta, dell’Amigoni. Un paesaggio con lontana veduta del mare, è di Paolo Bruii fiammingo; due miti si attribuiscono al Vasari; il Paradiso coi Profeti che fanno corona al saluto angelico è un dipinto sul rame di Federico Zuccheri celeberrimo fiorentino. Questi rari oggetti d’arte adornavano le stanze della contessa Caterina Pisani da San Stefano, vedova del Carlo, che per le nobili e benefiche azioni di tutta la vita, lasciò fama di grande pietà, e fu l’amor di Venezia, ben degna del cognome assunto pel cospicuo suo maritaggio. Poiché i Michiel discendono dai Frangipani di Roma, e nello storico nome sta una poetica assai espressiva allusione alla pietosa munificenza dei proavi inverso dei miseri nelle distrette della carestia. Questo palazzo riflette in più sensi la gloria delle Crociate in Terra Santa, che fruttarono più conquisti alla patria nei primordi della sua grandezza. (1)

(1) GIANJACOPO FONTANA. Cento palazzi fra i più celebri di Venezia (Premiato Stabilimento Tipografico di P.Naratovich. 1865).

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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