Chiesa di San Giovanni in Bragora vulgo San Zuane in Bragora

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Chiesa di San Giovanni in Bragora - Castello

Chiesa di San Giovanni in Bragora vulgo San Zuane in Bragora

Storia della chiesa

Poco distanti dall’Isola di Olivolo si alzavano di quasi egual grandezza due isolette fra sé da un solo canale divise, le quali e per la figura, e per l’ambito fra sé poco dissimili furono chiamate Isole Zimolle (o dire vogliamo Gemelle) dai primi loro abitatori, popoli fuggiti dal furore dei Longobardi. Piantate in esse le loro case vi costruirono pure in ognuna, una chiesa parrocchiale, delle quali la più cospicua fu quella dedicata al precursore di Cristo San Giovanni Battista, che apparso in visione al vescovo San Magno ricoveratosi con i suoi popoli in Rialto, gli disegnò il luogo, ove sotto il suo nome fosse a Dio dedicata una chiesa.

Il merito di aver fabbricata (certamente per eccitamento del santo vescovo) la chiesa, l’attribuisce il Dandolo agli antennati di Giovanni Talonico, che nell’anno 824, per ribellione eccitata finì infaustamente i suoi giorni. Il di lui figlio Domenico, cappellano e cancelliere ducale, avendo da una provincia dell’oriente chiamata Bragula portate a Venezia alcune reliquie del precursore, fatto poi vescovo Olivolense, ricordevole del merito dei suoi progenitori, donò alla chiesa da loro fondata le sacre reliquie: d’onde la chiesa stessa acquistò il soprannome di Bragora, e venne poi volgarmente chiamata San Giovanni in Bragola. Fu tanto appresso i veneti applaudito un tal acquisto, che formò l’elogio al doge Piero Candiano, sotto la di cui immagine posta nella Sala del Maggior Consiglio si legge: Sotto di me nella Chiesa di Bragola furono deposte le Reliquie di San Giovanni.

Indebolita dal lungo corso del tempo fu rinnovata dai fondamenti nell’anno 1178 e nuovamente con migliore struttura fu riedificata nell’anno 1475, avendola poi solennemente consacrata Antonio Suriano patriarca di Venezia.

Si conservano decorosamente in questa chiesa due Spine della Corona di Gesù Cristo, una costa di San Giacomo Minore apostolo, ed alcuni frammenti delle ossa di San Stefano Protomartire, di San Lorenzo levita e martire, e di San Liberale cavaliere altinese.

La più riguardevole però fra le reliquie dei santi si è il venerabile intero corpo del glorioso patriarca di Alessandria San Giovanni Elemosinario, il di cui trasporto a Venezia seguì (come attesta il Dandolo) ai tempi di Marin Morosini eletto doge di Venezia nell’anno 1249. La storia sincera di tal traslazione, (rigettata quella, che si legge stampata di Rocco Bruni) è la seguente tratta da antichi autentici documenti.

Giacomo Tiepolo risedendo in Costantinopoli podestà per i Veneziani nell’anno 1217, intesi i prodigi, che frequenti succedevano per l’intercessione di San Giovanni Elemosinario, deliberò d’arricchire la propria patria coll’acquisto del di lui sacro corpo. Sublimato però non molto dopo al trono ducale, commise a Lorenzo Bragadin capitano delle venete galere, che nell’occasione di portarsi ad Alessandria per causa di commercio, studiasse ogni mezzo per ottenere il corpo del Santo Patriarca, per depositarlo nella di lui chiesa fabbricata nuovamente in Rialto. Favorì Iddio l’intrapresa, e nell’anno 1249, sotto il dogado di Marin Morosini, vivendo ancora il soprallodato, Giacomo Tiepolo, che aveva rinunciato alla sua dignità, giunse a Venezia il sacro deposito incontrato con allegrezza e venerazione da ogni ordine dei cittadini. Era indirizzata la galera verso la pubblica piazza; ma tosto che fu a fronte della riva, che conduce, alla Chiesa di San Giovanni in Bragora, ristette immobile, né valse forza umana per farle proseguire il cammino. Fu creduto dunque doversi ivi sbarcare il sacro deposito: ma questo pure fu ritrovato di eguale fermezza, né, quantunque lo stesso vescovo Castellano procurasse di levarlo, volle cedere, finché accorso a porvi mano Giovanni Bellini pievano della chiesa vicina al primo tocco del venerando vecchio si lasciò alzare. S’incamminò dunque la sacra pompa, che accompagnava il santo corpo, verso la Chiesa di San Giovanni di Rialto; ma da un turbine improvviso di diretta piaggia fu costretta a ricoverarsi nella prossima Chiesa di San Giovanni in Bragora; né di indi in poi poterono estrarne quel venerabile corpo immobile contro ogni sforzo di chi procurava levarlo. Conosciuta in tanti prodigi la Divina disposizione, lasciarono il corpo santo, ove voleva riposare, e solamente i sacri piedi, che erano distaccati dal rimanente dell’incorrotto cadavere, furono depositati nell’ecclesiastico tesoro della Ducale Basilica.

A questi prodigi ne seguì un altro anche più mirabile, e fu che il corpo del santo patriarca riposto all’altare maggior della chiesa, fu ritrovato nella seguente mattina giacere in più remoto luogo, e nel primiero sito, ove era stato depositato, si vide una schedula con tal inscrizione, Cedo il luogo al Precursore di Cristo. Aveva anche per tradizione, che Paolo Duodo ricco patrizio deliberato avendo d’innalzargli un magnifico sepolcro, ma trovandosi nella notte distrutto ciò, che si era fabbricato nel giorno, fu creduto essere un manifesto contrassegno dell’umiltà del santo patriarca il ricusare la pompa di una ricca sepoltura. Che però chiuso venne in una decente cassa di legno dorato. Si confermano tali meraviglie dalla continuata incorruzione del sagro corpo, che si comunicò anco alle vesti, le quali essendo le stesse, che lo coprivano al tempo di sua traslazione, tuttavia si conservano illese e dall’ingiurie del tempo, e dai morsi delle tignuole, nulla avendo perduto né di sua consistenza, né della vaghezza dei suoi colori.

Dalla prima cassa però, in cui era riposto, fu trasportato il sacro deposito in una più ornata e decente da Giacomo Albertini, correndo la solennità dell’esaltazione di Santa Croce nell’anno 1326.

Vanno gloriosi gli Ungheri per un equivoco di posseder il corpo di San Giovanni elemosinario donato da Maometto II, gran signore dei turchi a Mattia Corvino illustre re d’Ungheria, che riporre lo fece nella reggia cappella del Castello di Buda. Certo però essendo, che la veneta traslazione fatta da Alessandria del santo corpo precedette per più di due secoli la donazione fatta dall’imperatore turco, e che il possesso dei veneti è riconosciuto concordemente dagli scrittori greci e latini, e che così gli ortodossi, che gli scismatici orientali concorrono a venerarlo, conviene credere, che il corpo donato da Maometto al re d’Ungheria sia quello di San Giovanni il digiunatore, patriarca di Costantinopoli, detto anche elemosinario per la mirabile misericordia, con cui profuse nei poveri ogni sua sostanza.

Erano note tali verità all’illustre Giovanni Langio consigliere di Ferdinando re d’Ungheria: che però nella traduzione latina della Storia di Niceforo Callisto da lui fatta e stampata in Basilea, dove rapporta l’encomio tessuto da Niceforo al patriarca di Costantinopoli Giovanni per l’esimia sua carità verso i poveri, soggiunge in una nota marginale: Altri lo chiamano Giovanni Elemosinario, le di cui sacre ceneri furono riposte nel Castello di Buda.

Riflettendo dunque al concorde consenso di tutto l’oriente, che venerava il corpo di San Giovanni elemosinario riposto in Alessandria, prima del suo trasporto in Venezia, ed alle cose susseguenti, è indubitato, possedersi questo sacra tesoro dai Veneziani: perloché Calisto III, sommo pontefice in un suo diploma dato nel giorno sesto di agosto dell’anno 1455, concesse indulgenza a chi visitasse e aiutasse la Chiesa di San Giovanni Battista detta in Bragora, nella quale è provato riposarsi il corpo venerabile di San Giovanni elemosinario patriarca d’Alessandria. Tanto attesta Tommaso Donado patriarca di Venezia in un suo decreto emanato nel giorno 30 di ottobre dell’anno 1497, in cui stabilisce, la solennità della traslazione del santo corpo doversi celebrare nel giorno terzo di febbraio, al qual giorno appunto legò papa Callisto la sopraccennata Indulgenza.

Ultimamente ai nostri giorni la pietà di Salvator Varda medico fece restaurare, ed adornare con magnificenza non solo il deposito, ove giace il sacro corpo, ma anche la cappella, in cui è riposto.

Nacque in questa parrocchia, e nel fonte battesimale di questa chiesa rinacque il sommo pontefice Paolo II. Che però a decoro perpetuo costituì i piovani di essa rettori dell’università, e collegio delle arti liberali da esso con apostolico diploma segnato nel giorno 15 di dicembre dell’anno 1470 istituito in Venezia. (1)

Visita della chiesa (1839)

Indebolita dal tempo rinnovata venne questa chiesa dai fondamenti nel 1178, ricevendo migliore struttura nell’ultima riedificazione del 1475, ed un restauro nel 1728. Essa serba nell’estremo la semplicità di quel secolo; e nell’ interno, divisa in tre navi, è fatta adorna da nobili pezzi di pittura.

Appena entrati trovasi a destra una semplice porta che mette al campanile, e subito in bella cornice, sulla maniera del Palma, si vede una santa Veronica che col sudario va incontro al Salvatore.

Lasciato il primo altare, il secondo, più che per la pala raffigurante 5an Giovanni Elemosinario di Jacopo Marieschi, richiama un’osservazione per la mezza luna nel muro laterale alla sinistra dove il medesimo pittore espresse l’accoglimento fatto in Venezia dal doge Marino Morosini e dalla Signoria al corpo di quel santo trasferitovi da Costantinopoli (anno 1249). Quanto è bene composto un tal quadretto! Ma come frutto del secolo XVIII non si guarda: tali sono gli umani pregiudizi!

Sono di Leandro Corona i due pregevoli quadri sopra la porta della sagrestia esprimenti la Coronazione di spine e la Flagellazione. A chi non abbia poi a schifo il nome del detto secolo XVIII potrà sembrar pregevole anche la pala sull’altare della sacrestia medesima. Né altro che per la memoria vuol darsi un’occhiata al ritratto di Pietro Barba che, per essere nato in questa parrocchia, come fu assunto al pontificato col nome di Paolo II costituì i pievani di questa chiesa rettori dell’Università o Collegio delle arti liberali da esso pontefice instituite in Venezia (anno 1470) e diede loro facoltà di licenziar dottori e vestir nel coro in alcuni più solenni giorni il rocchetto ed il mantelletto.

Tornando in chiesa, ed omesso di dire della prima cappella a fianco della maggiore, vuol essere veduto il quadretto sul pilastro della stessa maggiore cappella esprimente Sant’Elena e San Costantino che sostengono la Croce, opera di Giambattista Cima da Conegliano. Correzione di contorno, felice panneggiamento e grazia somma sono in cotesto quadrato. (2)

(1) FLAMINIO CORNER. Notizie storiche delle chiese e monasteri di Venezia, e di Torcello tratte dalle chiese veneziane e torcellane (Padova, Stamperia del Seminario, 1763).

(2) ERMOLAO PAOLETTI. Il fiore di Venezia ossia i quadri, i monumenti, le vedute ed i costumi. (Tommaso Fontana editore. Venezia 1839).

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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