Famiglia Sagredo
Sagredo. Dall’antica Roma, dove cospicuamente fiorì, passava la famiglia Sagredo a Sebenico, città della Dalmazia, onde colà piantarvi una colonia romana, assumendo il cognome dei Segreti, corrotto poscia in quello di Sagredo. Questa appellazione provenne alla famiglia in discorso dall’essere stata, per alcuni secoli, illustre depositaria dell’autorità e della gloria dell’impero romano in quelle parti, trasmettendosi ai suoi personaggi, come ai consiglieri secreti ed esecutori primari, gli ordinamenti imperiali in quelle provincie. Abbattuta la potenza latina sui barbari, e provato da essa famiglia il rigore, prima di Alarico, re dei Goti, poscia di Attila, re degli Unni, riparò nelle venete isolette nel 480, secondo dice il Frescot, nei Pregi della nobiltà veneta. Ma il co. Alessandro Valle, nell’Orazione recitata al doge Nicolò Sagredo, vuole che partissero li Sagredo da Sebenico e si riducessero a Venezia l’anno 900. L’aggregazione di essi alla veneta nobiltà, continua il Frescot, accadde solo allora che la Dalmazia venne sotto il dominio della Repubblica, che fu nel 997, avendo questa famiglia cooperato alla dedizione di Sebenico amica sua patria. Stabilitasi quindi in Venezia, si è sempre conservata nell’ordine patrizio, confermatavi anche nella Serrata del Maggior Consiglio. Produsse vari uomini illustri, tra i quali annovera primo San Gerardo Sagredo, vescovo di Canadia, apostolo dell’Ungheria e martire glorioso. Edificò essa famiglia, unita alla Celsi, la chiesa della Santissima Trinità, e la cospicua cappella sacra al divo Gerardo anzidetto, nel tempio di San Francesco della Vigna.
Innalza per arma uno scudo d’oro con una fascia vermiglia, che alcuni, per distinzione, caricano di tre aurei gigli.
Il doge Nicolò Sagredo nacque nel 1605 da Zaccaria q. Nicolò, procuratore di San Marco, e dopo di aversostenute, fra le altre, le cariche di savio agli ordini e di Terraferma, fu spedito ambasciatore a Filippo IV re di Spagna, e nel 1650 all’ imperatore Ferdinando III. Quindi fu fregiato della dignità di cavaliere, e nel 1654, passò ambasciatore ordinario alla corte di Roma, ove risiedendo fu l’anno appresso, designato ambasciatore straordinario ad Alessandro VII per gratularlo nella sua esaltazione al papato. Il dì 18 giugno dell’anno stesso 1655, veniva decorato della stoia procuratoria de citra, in luogo del defunto Girolamo Foscarini. Nel 1658 passò ambasciatore a Leopoldo I, nella sua elezione al trono imperiale, e l’anno appresso ritornò ambasciatore alle corti di Vienna e di Roma, affine di chiedere aiuto nella guerra contro il Turco. Nel 1662, 1663 e 1671, sostenne la carica di riformatore dello studio di Padova, e nel 1665, orando in Senato, sostenne non doversi cedere Candia alla Porta ottomana. Negli anni 1667 e 1671 fu spedito ambasciator di obbedienza ai pontefici Clemente IX e Clemente X nella loro esaltazione al soglio di Pietro; e finalmente nel 1675, fu elevato al trono ducale, come superiormente dicemmo. L’elogio più bello che ottenne il Sagredo fu quello dettato in poche parole dallo storico contemporaneo Michele Foscarini senatore, ed è questo: Il doge Sagredo, dice egli, lasciò gloriosa memoria di principe generoso, prudente e pio. Praticò le funzioni tutte del principato con somma splendidezza, e con zelo benefico promosse molte buone leggi a sollievo dei poveri. Con accurata attenzione invigilò ai vantaggi della patria nelle interne e nell’esteriori occorrenze. Fu indefesso nelle riduzioni pubbliche, ed ai ricorsi privati. Se in quelle la prudenza non lasciò che desiderar nel consiglio; in questi ammirabile la benignità del tratto rendeva maggiori, nelle concessioni le grazie, e lasciava senza dolore le negative. Tolerò con esemplar costanza la morte, che l’oppresse nello stato di sua più consistente salute, aperta all’improvviso nell’ombelico antica piaga uscirono gli intestini. Tardi, e sforzatamente rimessi, insorse maligna infiammazione, che deluse ogni rimedio dell’arte. Pochi momenti prima di spirare, distribuì, senza perturbazione d’ animo, molti ordini, dettò commissioni, segnò di suo pugno rescritti di grazie, morendo nell’età sua d’anni 74.
Non nella chiesa della Santissima Trinità fu sepolto il Sagredo, come mal dice il Coronelli nel suo libro Dei Procuratori di S. Marco, ma sì nel tempio di San Francesco della Vigna, nella cappella eretta dalla sua famiglia. Questa cappella, la terza a sinistra entrando in detto tempio, sacra a San Gerardo Sagredo, venne riordinata magnificamente come ora si vede dall’architetto Tomaso Temanza, nel 1743, per commissione di Cecilia Grimani, esecutrice testamentario del procuratore Gerardo Sagredo suo marito, il quale dispose anche, che ad onore di Nicolò doge e di Alvise patriarca Sagredo, suoi parenti, uno per lato della detta cappella, fossero eretti due cenotafi. Quello del nostro Nicolò è collocato sulla parete in cornu epistolae, e reca il busto del principe scolpito da Antonio Gai, sotto il quale, sulla base, è intagliata la seguente inscrizione:
D. O. M.
NICOLAO SAGREDO
EQVITI AEDIS D. MARCI PROCVRATORI
DVCI VENETIARVM
PIO FELICI FORTI BONO RP. NATO
e sullo zoccolo, si legge quest’altra inscrizione:
GERARDVS D. MARCI PROCVRATOR
FRATRIS NEPOS TESTAMENTO FIERI IVSSIT
CAECILIA GRIMANI SAGREDO
GERARDI VXOR. POSVIT
ANNO MDCCXLIII.
(1) Il Palazzo Ducale di Venezia Volume IV. Francesco Zanotto. Venezia MDCCCLXI
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