Famiglia Pesaro

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Campo San Beneto, 3958 (San Marco) - Stemma Pesaro

Famiglia Pesaro

Pesaro. Per comune opinione dei cronacisti e genealogisti, trasse l’origine la famiglia Da Pesaro dalla città del nome medesimo, da cui venne a por stanza a Venezia nel 1432, a motivo, secondo il Frescot, delle dissensioni col partito contrario, che aveva preso il sopravvento in quello città; e secondo Tommaso Diplovatazzi, citato dal Cappellari, e giusta Nicolò Crasso, nella sua opera Pisaura gens, venuta qui nel 1225, guidata dal capo suo Jacopo dei Palmieri, console di Pesaro, fuggito dall’armi di Federico II imperatore, che preso aveva e manomessa la città stessa. Qui giunta, depose essa famiglia l’antico cognome Palmieri, quello assumendo primamente di Carosi, perché molli dei suoi personaggi portavano appunto il nome di Garoso; poi, lasciato anche questo, prese definitivamente il cognome dalla città di Pesaro da cui provenne. Ascritti subitamente i Da Pesaro alla nobiltà veneziana, sostennero fin da principio le cariche più cospicue, e dilatarono la loro posterità, dalla quale si fondarono molti e nobilissimi palazzi in più luoghi di Venezia. Fecero in oltre edificare la chiesa di San Giovanni Decollato, ed altre chiese di Venezia, tengono poi monumenti cospicui e memorie onorate. Produsse questa nobilissima casa molti uomini insigni e strenui guerrieri.

Innalza per arme uno scudo partito d’oro e di azzurro a punte, o denti lunghi d’oro.

Il doge Giovanni Da Pesaro, figlio di Vittore e di Elena Soranzo di Giovanni cavaliere, che mori nel darlo alla luce, nacque nel settembre 1590. Essendo fanciullo cadde in canale dall’alto del suo palazzo, a Santa Maria MaTer Domini, e prodigiosamente si salvò. Entrato nel maggior consiglio all’età conveniente, fu prima savio agli ordini, indi di Terraferma; e nel 1620 ambasciatore residente alla corte di Savoia, e due anni appresso lo fu in Francia, e poscia in Inghilterra. Parimenti lo fu a Roma, nel 1630, dalla quale ambasceria tornava in patria fregiato del titolo di cavaliere. Nel 1636 fu deputato ambasciatore assistente alla dieta di Colonia; e ripatriato sostenne consecutivamente le cariche di savio grande, di senatore e di provveditore ai confini, e quindi, per la morte seguita di Francesco Morosini q. Pietro, fu decorato, il 21 giugno 1641, della stola procuratoria de supra. In seguito, fu riformatore dello studio di Padova. Poco appresso essendo in Senato, colla facondia del dir suo, della quale era meravigliosamente dotato, persuase il Senato medesimo di prendere in protezione il duca di Parma, avversato dai Barberini, contro dei quali, nel 1642, fu eletto capitano della cavalleria. L’anno medesimo era stato destinato ambasciatore a Ladislao re di Polonia, nella di lui assunzione a quel trono, ma fu altri mandato in sua vece; dappoiché parve migliore che egli reggesse, siccome generale, le armi venete nella guerra accennata contro i Barberini, e quindi compié quella carica con molta sua lode, sia per valore, come per senno e prudenza. Nel 1647, fu di nuovo riformatore dello studio di Padova, e nell’anno seguente, essendo savio del consiglio (carica che coprì per ben ventiquattro volte), sostenne in Senato doversi continuare robustamente la guerra col Turco, sicché per la di lui eloquenza cadde il partito di acquistare la pace col sacrificio di Candia. Nel 1651, fu per la terza volta riformatore di Padova, e quattro anni dopo, ambasciatore d’obbedienza appo Alessandro VII, nella sua assunzione al pontificato. Nel 1657, come savio del collegio, perorò eloquentemente perché fossero riamessi i Gesuiti nello Stato, già espulsi. Prestò alla Repubblica, nel 1658, seimila ducati, onde potesse continuare la guerra accennata di Candia; e finalmente l’8 aprile 1658, fu assunto al trono ducale, siccome superiormente dicemmo, morendo dopo un anno ed oltre cinque mesi, nell’età di circa 70 anni.

Il monumento colossale e magnifico, che Leonardo Da Pesaro faceva innalzare a questo doge suo parente, è opera di Baldassare Longhena. Collocato a sinistra di chi entra nel tempio di Santa Maria dei Frari, cinge la porta d’ingresso da quel Iato. Il monumento si erge sugli omeri di quattro Africani di forme colossali, nudi le braccia ed i piedi, che poggiano sopra ricco basamento. Fra essi chiudesi nel mezzo la porta d’ingresso al tempio, sulla cui serraglia è collocato un genio recante un cartello col motto; stabvnt spirantia signa. Lateralmente, entro nicchie quadrate, stanno due scheletri umani di bronzo, ciascuno dei quali tiene fra mani una delle epigrafi, che appresso riportiamo. Quattro spiccate colonne formano tre intercolunni. In quello di mezzo, sorge, collocato sopra due mostri, un magnifico trono, dove, sotto marmoreo baldacchino, siede il simulacro del principe, coperto delle assise ducali. Negli altri due intercolunni, si vedono, alla destra, due figure aggruppate simboleggiami la Religione e il Valore, ed alla sinistra, due altre, che rappresentano la Concordia e la Pace. Sul dinanzi vi sono quattro altre figure di Virtù, due presso al trono, e due situate negli angoli. Adornano il fregio superiore sei putti in basso-rilievo, con elmo in mano; e finalmente nel mezzo della cornice sorge lo scudo coronato della famiglia, sostenuto da due geni di tutto tondo.

Inscrizione a destra.

IOANNEM PISAVRVM VENET. DVCEM
AVREVM INTER OPTIMOS PRINCIPES VIDES,
QVI PER MORTES AD VITAM PRODIENS,
IN LETHALI PVERPERIO MATREM SERVAVIT NASCENDO,
IDEM PATRIAE AVGVRATVS, CVI NASCEBATVR.
POSTINDE PATRIAE TOTVS VIVENS, NVLLVS SIRI,
APVD ALLOBROGES CVM CAROLO EMVNVELE
ARCANAM ILLAM MOLITVS MACHINAM,
IN TELLINAE VALLIS INVASORES,
IMPACTAS VENETAE LIRERTATI COMPEDES FREGIT.
IN GALLIA LVDOVICO JVSTO GLORIOSAE
ORBI CATHOLICO NECESSARIAE, VENETIS OPPORTUNAE,
GALLICANAE QVIETI ALLABORAVIT.
IN ANGLIA JACOBI REGIS OBITVM
MIRA GALLIDITATE GELATVM, MIRA SAGAGITATE RIMATVS,
PRISCAM BENEVOLENTIAM FAELIGITER FIRMAVIT.
ROMAE INTONANTE NOVO TITVLORVM DECRETO,
IOANNI PISAVRO DEBVIT RESPVBLICA,
QVOD MAXIMIS AEQVATA REGIBVS AVITA IVRA SERVAVIT.
HINC LABRIS INNATA SVADA,
LEGATVS LIGATOS ELOQVIO PRINCIPES, QVO LVBEBAT ADDVCTVRVS.
SEMEL AD LADLSLAVM POLONIAE REGEM,
BIS AD FERDINANDVM AVGVSTVM CONCILIATOR,
MOX AD MONASTERII CONVENTVM CADVCEVTOR DESIGNATVS,
MERCVRIVS VIDERI POTVIT, NI MARTEM OSTENDISSENT
ERIDANI RIPAE ROMANIS EREPTAE, AVT VENETIS ASSERTAE
VEL TESTE CALVMNIA,
QVAE VERI FACIEM, ET VIRI FAMAM, VT EXTINGVERET,
CLVRIOREM FECIT VENTILANDO.

Inscrizione a sinistra.

HOC VERO, VEL NOLENS FATERE LIVOR,
QVOD REGNI PVLCHERIMI IACTVM,
VOCE, ARGENTI PROPRII EXEMPLO, PVBLICO FERRO,
CVNCTANTER, AC COSTANTER AVERSATVS AVERTIT:
ET CRETENSEM VENETIS CORONAM,
VENETAM ITALIS GLORIAM CONSERVAVIT,
AC FERE ABSORTAM, OTTOMANIS EXTORSIT.
HINC TOT LABORES, MAXIMO CVMVLANS LABORE, PRINCIPATV.
PROH QVANTVM PATRIAE PRINCIPEM DEDIT,
NEMPE QVALEM ORBIS OPTARET.
QVI CAPVT REIP: DE VVLTV NOSCERETVR,
CVI PRO SVPERCILIO CONCITAS, PRO VERBIS ORACVLA,
PRO HEROICA TESSERA COSTANTIA ATQVE RELIGIO ;
IN DELICIIS MVNIFICENTIA SVPRA REGALEM
IN CONSILIIS SAPIENTIA, QVA AEVI SVI SALOMON AVDIIT,
IN VOTIS IMPLACABILIS, IN CHBISTI HOSTES HOSTILITAS,
IN NVTV SEMPER VICTRIX AVTHORITAS :
QVAE NVPER QVAM MAIOR PRIVATO, FVERIT IN PRIVATO,
FELICITER OSTENDIT, INGENIORVM ERVDITIONI ANIMOR. PIETATI,
COELITVVM PLAVSVI, RESTITVTA. SOCIETAS IESV.
SIC HEV NIMIS BREVE PRINCIPATVS SPATIVM,
QVOD MENSE POSTANNVM PRIMVM, SEXTO ABSOLVIT,
GESTORVM GRANDITATE PROTENDIT,
ATQVE, VT ETIAM POST FATA REIP. PRODESSET,
FLORENTISS : SOBOLEM PATRIAE OPPIGNORAVIT
EX LEONARDO FRATRIS FIMO,
QVI OPVM HAERES, SECTATOR OPERVM, REIP. PROCVRATOR,
PATRVVM AMANTISS; QVA DEBVIT PIETATE VIVVM COLVIT,
QVA POTVIT REDIVIVVM PATRIAE REDDIDIT.

Nel basamento sotto alla prima inscrizione si legge : VIXIT ANOS LXX.
Sotto alla seconda : DEVIXIT anno MDCLIX.
E sotto il trono: HIC REVIXIT ANNO MDCLXIX. (1)

(1) Il Palazzo Ducale di Venezia Volume IV. Francesco Zanotto. Venezia MDCCCLXI

Dall’alto in basso, da sinistra a destra: Campo San Luca, 4558 (San Marco) – Campo San Beneto, 3958 Cà Pesaro degli Orfei (San Marco) – Calle de la Torre, 835 (San Polo) – Rio de Cà Michiel, 3958 Cà Pesaro degli Orfei (San Marco).

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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