Palazzo Priuli Bon Clary alle Zattere

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Palazzo Priuli Bon Clary alle Zattere

Sorge questo palazzo sulla via detta delle Zattere, sulla spiaggia o fondamenta in faccia alla Giudecca, la quale si costruiva nel 1519, lastricata poi tutta a dilungo di trachite dei colli Euganei, ed abbellita da facili e gentili ponti di comunicazione. Il punto è panoramico, dalla parte del gran canale, rese ora amene le attinenze da filari di alberi, a comodo dei passeggi sulla riviera a diporto. La fronte architettonica dell’edificio rivela a prima giunta lo stile lombardesco,e propriamente in sul declinare del secolo XV, verso i primordi del XVI. I parapetti però dei poggioli laterali sporgenti, con leoni accosciati, di lavoro dell’epoca, appariscono intatti, al pari dello stesso poggiolo di mezzo, di eguale carattere. E ciò, a differenza dei pergolati nel palazzo contermine dei Giustiniani, in cui si mutarono evidentemente le balaustrate, le quali risultano di un’età posteriore, e forse erano introdotte, quando veniva quella fabbrica ingrandita nella parte postica, respiciente il Borgo dell’Eremite.

Maestoso si affaccia all’ingresso il vestibolo terreno; il salone del piano nobile, conforme anche all’altro del piano sovrastante, ha decorazioni di colonne di marmo di Verona, e trabeazioni sorrette da doppio arco; le stanze si ravvisano ordinatamente nelle piante distribuite, in ambidue gli ordini, e altresì nell’ultimo, con abbondanza di agi, nella varietà loro molteplice. Erano riccamente un tempo addobbate di cuoi d’oro, e sino ai dì nostri ricordansi i rivestimenti di raso, di più qualità e colori, e in specie di arazzi preziosi, che esistono di presente nel palazzo Martinengo, ora Conti a San Benedetto, in questa Opera descritto.

La famiglia Bon, posseditrice di queste soglie, quivi trasferivasi dalla fondamenta di San Severo, ove ancora sussiste l’antico palazzo, in due ordini, con veroni e colonne di marmo greco e di bisso orientale, con mensole e capitelli, con sedulità lavorati, e con la fronte di ornamenti e sculture dall’alto al basso straricca. Era essa oriunda di una colonia cretense, e alle lagune da vecchia età approdava, avendosi memoria intorno all’828 del famoso Rustico Bon, che tra noi recava d’Alessandria la salma del vangelista Patrono, onde lo stemma, il simbolo ed il prestigio del Leon di San Marco. Francesco Bon, dirigendo la nave, detta piramide di Candia, periva vittima nella gran giornata delle Curzolari: il dott. Nicolò si decantava come uno dei più eruditi antiquari del secolo XVII; lodalo era dal Mazzuchelli Ottaviano, mecenate dei letterati, figlio ad Alessandro, Procurator di San Marco, di cui scrisse la vita il Vescovo Lollino; Pietro fu della patria benemerito, lo stesso che eresse due celle nel convento di San Secondo, e volle restassero anche dopo la sua morte, a sicuro ospizio di chi, da fortuna di mare sorpreso, fosse impedito a proseguire il viaggio, onde è a deplorarsi, che si smantellassero quasi tutte le vaghe isolette, che, come ancelle attorno alla regina, facevano a Venezia gentile ghirlanda, anche per l’asilo indubbio ed agiato, che offrivasi ai passeggeri da quei romiti abitanti.

Dimorò eziandio in questo palazzo la vedova di Zuanne Bon, ultima superstite della casa di Marco Polo, l’erede della sostanza e del palazzo del celebre viaggiatore, converso dai Grimani, che lo acquistavano, nel teatro emeronitio, oggidì Malibran. Passarono poi in questi recinti, come eredi dei Bon, gli altri patrizi Priuli; non già della linea di quelli di San Felice, il palazzo dei quali si abbruciava il 7 marzo 1739; non degli altri, detti Priuli Kan, che avevano il palazzo loro, ove ora sorge a San Polo la Birreria all’insegna del Telegrafo, e nemmeno del ramo agli Scalzi, dove si legge che una Paolina possedesse cinquantanove case nel 1664, ma dei Priuli bensì investiti della contea di Sanguinetto, della casa, di cui tre salirono alla dignità suprema della Repubblica, e quattordici si ballottavano per quel patrio principato. L’ultima ad abitarvi fu a giorni nostri Regina Bon-Priuli, uscita dal ramo dei Bembo, che onorasi dell’appartenenza all’insigne cardinal Pietro, gli eredi della quale vendevano il palazzo al nobile Giovanni Conti, da cui lo acquistavano Edmondo principe Clary Adrighen, e la principessa Elisabetta Ficquelmont, sua consorte, la quale otteneva di aggiungervi la proprietà delle case, fino all’ angolo conterminanti.

Fu all’epoca dell’acquisto, che tante innovazioni si introdussero nell’interno della fabbrica, da far ben riconoscere, come fosse di ogni più splendida forma capace, nella sua magnifica e grandiosa struttura. Riducevasi il vestibolo, o a meglio dire si rettificava, mettendosi in comunicazione coll’atrio di approdo, concentrandosi due cortili in uno solo, e da tre spazi, suddivisi da mura di cinta, traendosi quasi per incanto un grazioso verziere, con fontana nel mezzo, avente una naiade di getto, tratta d’antica statua: ad esso si accede per gradinata di ferro fuso dalla sala del pranzo alla parte del nord. Alla metà dello scalone principale ordinavasi nello spazio, che era occupato prima da mezzanini, una galleria coperta, ad archi ed a volti conformata, che mette al nuovo atrio, ed alla riva di approdo; opera accoppiante al comodo l’eleganza. Dalla sala del piano nobile, senza sconciarne tampoco l’euritmia, derivavasi bellamente una capace sala di ricevimento, posta in acconcia comunicazione colle stanze laterali, fra cui sta il gran poggiuolo, che prospetta le Zattere e la Giudecca, e lascia goder la veduta dell’orizzonte, pittoresca nella magica scena del tramonto.

Nè parleremo delle decorazioni di ogni genere, a cominciare dai dipinti nei soppalchi di buoni pennelli, dagli intagli e dalle dorature: nè toccheremo della collezione distinta di quadri antichi o moderni, dei rari oggetti di antichità, degli avori, delle cesellature, dei vasi e candelabri, o di ogni più ricco addobbo, per far plauso piuttosto al genio dei principi proprietari, ed allo squisito loro amore del bello. Commisero essi con sano consiglio l’incarico di tante così gravi riforme al sagace e solerte ingegno del noto architetto accademico e scultore sig. Angelo Seguso, che in bello ed acconcio modo incarnava i disegni, coadiuvato dal bravo Aglio Lorenzo. Ed era ben felice la ventura per Venezia di quell’acquisto, poichè per esso una illustre casa di principi trascelse albergo fra noi, e fa conoscere la bontà dell’animo, la soavità dell’indole, e l’inclinazione di giovare agli artisti.

A cui si commettono opere di continuo, ad abbellimento delle pareti, come di recente allogava il principe al valente scultore Borro il medaglione in marmo, effigiante Cassandra, che videsi nella Esposizione di questi giorni all’Accademia di belle arti, e di cui egli intende far dono generoso al Panteon del palazzo ducale. Né meno proteggitrice delle arti è la principessa, di fina cultura d’ingegno, nella quale la bellezza del cuore si riflette nelle sembianze, e che si mostra imitabile esempio di grandezza di animo e beneficenza. Nè a minore utilità sono le notate riforme di queste soglie, che erette da principi, vengono pure con l’oro di principi restituite alla prisca maestà ei tempi felrci, ai begli anni di opulenta quiete e di suntuoso vivere, quando il patrizio equivaleva ad un re, e tenevano i gentiluomini l’assoluto dominio di Venezia regina; allora, che la materiale magnificenza valeva a far sensibile la grandezza delle prosapie, la dignità insieme delle magistrature e nella pompa dell’etichette il decoro delle feste e delle rappresentanze diplomatiche della Repubblica. (1)

(1) GIANJACOPO FONTANA. Cento palazzi fra i più celebri di Venezia (Premiato Stabilimento Tipografico di P.Naratovich. 1865).

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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