Palazzo Foscarini ai Carmini

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Palazzo Foscarini ai Carmini

Palazzo Foscarini ai Carmini

Per esordire con l’illustrazione di questo palazzo, giova trasportarsi ad un’epoca, per Venezia nefasta e clamorosa, ai 16 gennaio 1622. Interveniva allora il ben miserabile fatto di Antonio Foscarini, di questa casa, che, colpito per l’altrui odio, con la più fina astuzia, dalla calunnia di tener secrete relazioni con esteri ambasciatori, subiva il processo, e secondo il sistema della legislazione di quel tempo, ne seguiva necessariamente, come è scritto negli atti, capitale sentenza, per ragione e giustizia. Argomento fu questo a romanzi e tragedie, ma per la luce oggidì dei documenti, la storia rende onore alla equità leale della Repubblica, poiché, risultato innocente il Foscarini, ebbe essa il virtuoso coraggio di confessarne ovunque l’errore, con solenne atto, e fatta disotterrarne pubblicamente la salma, che fu con ogni pompa deposta nelle tombe degli avi, restituiva la riputazione all’insigne sua casa.

Perciò nel citato giorno 16 gennaio drappelli di nobili movevano a questo palazzo, come da memorie di famiglia, in numero prodigioso, e qua convenivano, mostrando sentimenti misti di lagrime e consolazione. Potevano dirsi vergini allora le sembianze di questo edificio, che, secondo la Venezia del Sansovino, si riedificava sui primordi del secolo XVII, nella sua presente colossale struttura. Poiché l’anteriore risaliva al secolo XVI, avendo albergato Enrico III, che da un verone fu spettatore della famosa lotta dei pugni, combattuta dai castellani e nicolotti sul ponte sottoposto, ove si collocavano duecento guerrieri per parte, con celate e morioni in testa. L’antica casa dominicale dei Foscarini era già quella a Sant’Eustachio; tanto è vero, che l’infelice Antonio fu nel tempio di quella parrocchia inumato, ove si aveva anzi in animo di far sorgere un monumento, che l’estinto meritava per infiniti titoli dalla patria, ma dove invece non sivede che una lapide, con busto, e posta anche questa cento anni dopo il deplorabile avvenimento.

E fu quando la famiglia era chiamata all’eredità del procurator Pietro nel 1754, che lasciava il vecchio palazzo, e questo preferiva per domicilio. Grande amore vi aveva posto pertanto il procurator Pietro, che nel suo testamento 8 settembre 1739 aveva espresso il desiderio, rimanesse fornito cogli addobbi, che lasciava, e fossero sempre preservati, per decoro e magnificenza della casa, i fornimenti di parata, che si trovavano nel guardaroba; si aveva già disposto, per acquisti fatti da Jacopo Foscarini, che venissero incorporate nell’ala di questo palazzo le casette in calle dei Ragusei, ed era decantata questa mole come ragguardevole.

In questi recinti nasceva, nel 1696, Marco Foscarini, uno dei più chiari nomi, di cui si onori Venezia, gran politico e gran letterato, che tutti i gradi percorse delle più alte magistrature, spandendo raggi di gloria nel suo sentiero, su cui la patria votava il cumulo degli onori, gloriandosi poi di farlo ascendere al principato. Grandiose furono le spese per fabbriche in questo palazzo, a comodo, per occasioni diverse, come attesta la procuratessa Elisabetta Corner Foscarini nel testamento 23 marzo 1768, e dichiara essa anche per questo titolo minorata, di molto la sua sostanza. Fu per l’innalzamento alla ducale dignità che si lavorava la ricca e fatturosa cornice d’argento ad una specchiera grandiosa; si ammanivano i fornimenti di arazzi nell’appartamento di sopra nel portico e nella sala, obbligati a perpetuo fideicomisso e per altre feste si allestivano tre fornimenti nuovi di seta, due di drappo broccato, uno color verde e giallo, l’altro bleu e bianco, il terzo di amuer bianco schietto, per tre camere sopra il rivo del Carmine, di ragguardevole spendio. E troviamo anche una nota in famiglia, che il fratello Jacopo, per amore e stima a Marco Foscarini, e conscio già che il virtuoso di lui genio avrebbe fatto costruire in qualche luogo della sua casa ai Carmini una libreria grandiosa, per riporvi i suoi libri, disponeva che la spesa ascendesse a zecchini mille, e fosse scelto il sito, e ordinava la struttura dell’opera, secondo il suo beneplacito. In questo mobile prezioso per ogni più squisito ornamento artistico, il Doge raccolse un ricco tesoro di cronache patrie, passate al la Biblioteca imperiale di Vienna, e i molti mille volumi del le più celebri edizioni, tutti con ogni eleganza legati. Dei quali dava il catalogo ragionato Tommaso Gar a Firenze nell’Archivio storico italiano, idea precisa della rarità della collezione, e del genio insieme di chi predilesse gli studi della civile filosofia, dell’eloquenza, e della storia, ed era pensatore profondo. Basterebbe infatti ad immortalarlo il primo tomo della letteratura veneziana, che si lodava dal Tiraboschi nelle riflessioni sull’indole della lingua italiana, e gli valse l’onore, per la purezza della dettatura, di venire ascritto all’Accademia della Crusca, e per la soda e varia erudizione a quella degli Antiquari di Londra. E avremmo anche i materiali per il secondo volume, se qualche perspicace ingegno vi elaborasse intorno, rimasti incompiuti, perla troppo intempestiva, e mai abbastanza lagrimata sua perdita.

Marco Foscarini, insigne uomo di Stato, trascelto dal Consiglio dei Dieci a succedere al Garzoni, come storiografo, che ebbe fama d’illibato, di perspicace e di saggio, consegui trionfi splendidi colla faconda parola nei politici arringhi, in ardui cimenti, a utilità della patria. E appena salito sul trono, come astro disparve, lasciando in profondo lutto Venezia, che in lui venerava il palladio della sua grandezza. Poiché, se nella seconda metà del corso dei secoli, che abbraccia la Repubblica, furono i Dogi come i re di Sparta, colla maestà di un re non possedevano mai altro che l’autorità di uri cittadino, quel cittadino era pure potente, ogni volta che a Marco Foscarini rassomigliava. (1)

(1) GIANJACOPO FONTANA. Cento palazzi fra i più celebri di Venezia (Premiato Stabilimento Tipografico di P.Naratovich. 1865).

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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