Palazzo Barbarigo Nani Mocenigo San Trovaso
II Sansovino nella Venezia qualifica questa fabbrica la veneranda abitazione dei Barbarigo, e la indica vicina a San Gervasio, secondo l’iconografia delle parrocchie al suo tempo, per essere collocata al di là del canale, sulla fondamenta, rimpetto la chiesa. I Barbarighi, oriundi di Monte Barbazzo in Trieste, ove fruivano ricchezze e signorie, furono tribuni fra noi, e si distinsero per legazioni, fatti d’armi, e politici avvedimenti. La fabbrica è del trecento, coeva ai primordi della veneta architettura, che ritraeva del gusto arabo. Lo stemma dei Barbarigo in marmo è infatti inserito negli spazi intermedi dei davanzali del primo ordine, e ripetuto sulle cisterne, che servono per gli usi di ambidue i piani. E del Doge Agostino, ultimo della famiglia, abbiamo il testamento 10 febbraro 1500, che dispone appunto per i congiunti la sua casa grande da stazio, e la casetta attigua dei sacenti, dietro a San Gervasio, e ne condiziona a fidei comisso la proprietà ai discendenti della linea mascolina.
Fu Doge di perspicacia e bontà, e in gravi cimenti della patria si segnalò con valore; a lui toccava ricevere, in nome della Repubblica, dalla vedova augusta dei Lusignani, il diadema che rinunziò di Cipro, nella Basilica di San Marco. Presago egli della politica tempesta, per la futura lega dei principi in Cambray, alta cagione di copiosa gloria al successore Loredan, voleva, per scrupolo di coscienza, restituir la corona; ma Venezia gliela ricinse riconoscente. Bello era della persona; incedeva con aria di maestà, fatto più ragguardevole dalla prolissa e canuta barba, e grave già d’anni e di meriti, si estingueva nel 1501, e veniva inumato, con l’abito dei confratelli della Carità, in uno splendido monumento di quella Scuola grande, dopo gli onori della imbalsamazione, che si usava allora tributare ai Dogi, al pari degl’imperatori romani.
Alla di lui morte, soggiacque questo palazzo a non poche mutazioni. Il Doge aveva già fatto dividere i soleri, con due accessi, che raccomandava di mantener sempre, quali sussistono anche adesso separati, e in quello, che per lungo tempo ad altro uso si accomodava, si vede la scala con ricche balaustrate di marmo. Permise però di fabbricare pergoli od acconciarli; quindi, per aggiunte di spazio, si chiesero con cessioni in più epoche, come si ricava dai documenti dell’archivio domestico. Si mutava altresì nel prospetto la stessa forma dei poggioli; alla quale mutazione alludeva forse la Venezia, coll’asserzione, essersi questo edificio rifatto sul modello del Sansovino. Il superiore poggiolo è del gusto del cinquecento; quello dell’ordine inferiore addita un’epoca più recente. Sul tetto stava anticamente un’altana, o loggia aperta, secondo l’uso veneziano; questa però non si vede in un disegno vecchio di famiglia, perché la facciata terminava allora bensì senza merlatura, ma pure regolarmente, colla sola cornice a punta di diamante. Di questo palazzo divennero eredi, per il maritaggio di Elena, figlia del doge Agostino Barbarigo, con Giorgio Nani, nel 1468, Bernardo e Paolo Nani, figliuoli, coi discendenti, e Agnesina, altra figlia del Doge, che abitò un piano fino che visse. Il ramo, che ora a San Travaso continua, è dei Nani di Canareggio, i quali vennero da Santa Giustina, per l’eredità appunto Barbarigo, e poi si divisero nei due rami degli anzidetti Polo e Bernardo.
La famiglia Nani è antica; ebbe generali, legati, stole equestri e procuratorie. Di questa casa è Giovanni Battista, sette volte ambasciatore, plenipotenziario al congresso di Nimega, e storiografo della Repubblica, morto circa il 1682. Ricorderemo il Senatore Bernardo, che raccolse codici, iscrizioni e monumenti antichi, e propose premi agli eruditi, per illustrare le rarità della biblioteca e del museo. Di lui si legge l’elogio, che gli inseriva il padre Anselmo Costadoni nelle Novelle letterarie di Firenze. Vide altresì la luce in questi recinti, nel 1725, Jacopo Nani già senatore, consigliere di Dorsoduro, uno dei capi del Consiglio dei Dieci, provveditor generale delle isole Jonie, e cavaliere della stola d’oro. Valente ammiraglio, ai tempi di Angelo Emo, avendo comandato la spedizione contro il cantone barbaresco di Tripoli, era stato eletto nel 1796 Provveditore straordinario alle lagune ed ai lidi, quando allarmavano i progressi dell’armi Napoleoniche, e per presidiare la città da un blocco militare, aveva tratto anche profitto dalle dune di Santa Elisabetta del Lido.
La Repubblica abbandonava al suo valore ed alla sua fede la direzione suprema delle forze, per la difesa di Venezia; ma fatalmente moriva, trentanove giorni avanti il nefasto e memorando 12 maggio, e più fatalmente ancora, con cieca si fidanza riversava quella plenipotenza in Tommaso Condulmer, che ormai la storia di violata fede condanna. Fu Jacopo Nani mecenate altresì delle lettere e delle arti, e con fino gusto raccolse una galleria stupenda, che in questa magione si visitava. Sono ricordo delle collezioni disperse varie dissertazioni dei dotti, che le illustrarono, e stanno sparsi alcuni cammei sulla scala, e sopra le porte, e nel soppalco del grande atrio d’ingresso, come stanno negli ammezzati opere in plastica del Vittoria, menzionate dal Temanza.
Demolite a dì nostri le casette dei sacenti, di cui abbiamo toccato (latino saxentes) case d’affittarsi, si apriva un’area, per giardino, a cui si mette da una scala, entro torretta merlata, secondo lo stile dell’edificio. E ciò per cura del conte dott. Filippo Nani Mocenigo, che molto amore aveva posto a questo edificio degli avi suoi, con buon gusto rimodernato, in cui perdeva lo scorso mese la vita, nel lutto della sua casa.(1)
(1) GIANJACOPO FONTANA. Cento palazzi fra i più celebri di Venezia (Premiato Stabilimento Tipografico di P.Naratovich. 1865).
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