Palazzo Moro Lin a San Samuele

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Palazzo Moro-Lin a San Samuele. In "Venezia Monumentale e Pittoresca", Giuseppe Kier editore e Marco Moro (1817-1885) disegnatore, Venezia 1866. Da internetculturale.it

Palazzo Moro Lin a San Samuele

Pietro Liberi, pittore insigne, ordinava questa fabbrica, e ne commetteva il disegno all’amico suo, Sebastiano Mazzoni, pittor fiorentino. È tutta di pietra d’Istria, squadrata a bozze, sostenuta dagli archi del porticato. L’architettura sorgeva allora nei tre ordini soli rustico, dorico e jonico; ha colonnette gentili e bei fregi; si estende per l’intera dimensione del prospetto un lunghissimo poggiolo di marmo, con vago risalto di proporzioni e di ornati. In questi recinti, abbelliti di stupende opere e di una collezione di medaglie antiche, il genio del Liberi s’inspirava alla vittoria dei Veneziani ai Dardanelli, per la Sala dello scrutinio, e al groppo d’Amore e Psiche, bello per impasto di carni e delicatezza di forme e movenze, per i Grimani di San Luca. Quivi si spegneva la face di quel nobile ingegno il 18 ottobre l686. Comperarono questo palazzo dagli eredi del Liberi i gentiluomini Girolamo, Michele e Giovanni Lini. Essi completarono questa fabbrica, facendovi aggiungere il piano superiore, di stile corintio. Combinati cosi nel prospetto i quattro ordini principali di architettura, si sovrapposero nella parte aggiunta i motti: sic placuil Domino, — vox, vox, praetereaque nihil. I Lini immaginarono poi di raccogliere nel palazzo le opere di eletti frescanti, che a quella stagione si distinguevano. Invitati quindi i pittori a lauta mensa, vennero sorpresi col mandato gentile, ed essi lo assunsero di cheto, e si emularono a gara, onde in tre giorni fornivano si belle opere, da lasciare in forse a quale di loro competesse la maggior palma. Furono i trascelti il Molinari, discepolo del Zanchi, il Bellucci, e Gregorio Lazzarini, che vinse ai suoi giorni tutti i migliori nell’arte, perché, seguace del Liberi, lo aveva di molto avanzato nella perfezione. Perciò i Lini furono vaghi che egli dipingesse tutto il palazzo, e si vedevano nella Sala, e per le stanze, opere varie, e veramente stupende del suo pennello. Ora di lui non rimangono che quattro affreschi sopra la porta dell’atrio d’ingresso, guasti dalla salsedine senza riparo, che rappresentano le arti liberali. Nella Sala, che fu nuovamente abbellita di stucchi figurati, di ben vario e grandioso disegno, stanno bensì attualmente sette buoni dipinti, quattro paesaggi, cioè, del Simonini, tre marine di Luca Carlevaris, altrettanti affreschi del Bevilacqua. Alcuni affreschi del Celini e del Moro adornano quelle stanze, che risultarono dal tramezzo dell’unica Sala, come si vede dalle colonne, rimaste inserite tra l’una e l’altra parete. In detta Sala Michelangelo Lini data sovente accademie di musica; egli era gran cacciatore e robusto sollazziero; aveva rara e molteplice abilità, e si distingueva nella festa dei tori, in cui talvolta figurava qualche patrizio in maschera, e altresì quale destro giocatore di pallone. Di tempera salda e nestorea, protrasse la vita fino agli anni 99, senza gli ordinari acciacchi senili, e moriva in queste soglie, ultimo della sua prosapia.

Ereditarono allora questo palazzo i Moro, del ramo di Santa Agnese, dei quali è juspatronato l’Abazia di Santa Maria della Misericordia, l’unica rimasta tra noi, dopo quelle di San Gregorio e di San Giorgio Maggiore. In quella chiesa abbaziale stanno inumati in avelli magnifici il procurator Jacopo, uno dei deputati all’Imperatore di Costantinopoli, ambasciatore a Stefano Duca di Baviera, che trattava la pace con la Repubblica e quella di Genova; Cristoforo, Provveditore delle milizie in Ravenna, quando era minacciata nel 1499 dalle armi del Duca Valentino, quegli, che si segnalava come Podestà e Provveditore di Padova al tempo, che era la città assediata dalle armi di Massimiliano I Imperatore; Gabriele, ambasciatore a Lucrezia Borgia in Ferrara; e Gasparo, letterato e filosofo. Di questa Casa fu il Doge Cristoforo Moro, lodato nelle medaglie cultor religionis et justitiae, amico intimo di San Bernardino da Siena, e l’amore del Cardinale Bessarione.

In questo edifico ebbe stanza l’Hayez, nella prima sua giovinezza, quando coltivava lo studio dell’ arte nell’Accademia del Farsetti.

Più tardi veniva a risiedervi un seguace della scuola dell’Hayez, Lodovico Lipparini, che acquistava una gran parte del palazzo.

Egli pittore storico e ritrattista, e professore di disegno nell’ Accademia di belle arti, mostrò in grado sommo la maestria nell’ imitare, e come fosse splendido e armonico il suo colorire, e sicuro, efficace, pressoché ardito il tocco del suo pennello. Quivi ebbero vita il giuramento dei Greci, la fuga dei Suliotti, la morte di Marco Botzari, e il Vittore Pisani, che, uscito del carcere, fa sacramento di fede di muovere invitto al certame, ed essere scudo all’onore, e alla libertà della patria. Il Lipparini ebbe anche a ritrarre dal vero quel tipo del bello fisico e morale, che fu Leopoldo Cicognara, ed era giovane ancora, quando l’Accademia di belle Arti ne faceva l’amara perdita, e ambi l’ onore di portarne la salma, nei funerali alla Basilica, dividendo il vanto coll’Hayez, col Dusi, e col Fanolli; bello e grazioso omaggio reso a sì gran preside e padre dai quattro geni, allora nascenti, della pittura italiana. Lodovico Lipparini, che, pari all’eccellenza dell’ingegno spiegò la bontà dell’ animo, spirava in questo palazzo il 9 marzo 1857 nella pienezza ancora della vita e delle speranze, tra il compianto degli amici e il lutto delle arti e della patria. E il giorno dell’esequie sue gli veniva restituito il tributo, da lui reso al Cicognara, poiché ne sostenevano l’urna funerea il Bello, il Carlini, il Moretti-Larese, il Rotta, prediletti alunni, onore e vanto della scuola moderna. Ora è proprietario di questo palazzo il congiunto del Lipparini, e pittore egli pure distinto, cav. Rossi.

Chi dopo aver veduto alternarsi in questi recinti la residenza di tanti felici ingegni, quivi inspirati dalla sacra favilla del genio, esiterebbe un istante a risguardare con venerazione queste soglie, come il gentile albergo, anzi il sanuario delle arti del bello? (1)

(1) GIANJACOPO FONTANA. Cento palazzi fra i più celebri di Venezia (Premiato Stabilimento Tipografico di P.Naratovich. 1865).

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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