Palazzo Coccina Tiepolo a Sant’Aponal
Non giunse a cognizione nostra di chi fosse in antico questo palazzo, e quale ne sia stato il fondatore. Il Sansovino nella Venezia lo nomina dei Coccina, cittadinesca famiglia che pare vi domiciliasse dall’origine, se si bada al Coronelli. Era dessa dei Salvetti ed aveva la proprietà anche del palazzo Foscarini a Sant’Eustachio. I Coccina si recarono a Venezia da Bergamo ed acquistavano le tombe nella Sagrestia di San Francesco della Vigna dai fratelli Giovanni e Girolamo nel 1562. Fra gli illustri della casa ricordasi un Gio. Batt. dottore e Referendario Apostolico morto nel 1642, primo Auditore di Rota in Roma nel 1600, poichè il papa Rezzonico avea dato il gius regio alla Repubblica di eleggere a tal carica un concittadino secolare, come vi si nominava a tempi nostri Lodovico Flangini che fu poi prete e cardinal Patriarca.
Nella Venezia si loda questo palazzo come ben composto di dentro e vago di faccia dalla parte di fuori, non punto inferiore per struttura e per ornamento a qualsivoglia altro palazzo sul Canal Grande. Ed è infatti moderno ed elegante il prospetto, nei tre ordini toscano, dorico e corintio. Si inganna però il Goronelli nell’attribuirlo al Palladio, distando di troppo dalla purità dello stile palladiano, la qual verità risalta all’occhio il meno esercitato nell’arte. Potrebbe aver forse qualche carattere di somiglianza al prospetto Balbi in Volta di Canal se non fosse meno improbabile l’ammetterlo opera del Sansovino, o di taluno della scuola, accusandone lo stile le finestre, le membrature ed altre interne parti. Vedrebbesi per avventura la mano di uno scolaro nei poggioli, negli ornamenti che contornano le finestre praticate nel fregio, e nelle altre proporzioni non del tutto armonizzanti. La porta della scala nel I piano, foggiata con capitelli, ha le membrature veramente sansovinesche; vi corrisponde la regolarità della pianta, che assunse una maggior latitudine colle ragguardevoli aggiunte, forse ordinate dai Tiepolo quando signori di vennero del palazzo.
È ricca la fabbrica di materiali preziosi avendo camini di marmo greco di bella macchia, e di Carrara, a due, a tre i parapetti sotto i davanzali di varie stanze, di verde antico e di altre specie costose. L’ammezzato ha il camino con un bel fregio in scultura, istoriante un trionfo romano colle iniziali S.P.Q.R. sorretto da due mezze figure in marmo e piccole cariatidi, e sormontato da un capitello jonico. Ricche sono le scale separate e diverse, signorile l’atrio d’ingresso, le porte di fico d’India con le membrature e le fasce laterali di ebano, col blasone di getto avente il castello, la torre, il corno ducale e le aquile, non però intero sulla porta della sala negli ornati in marmo. Tale differenza fa risalire col pensiero al 1310, quando si ordinò dal Senato che in odio a Bajamonte fossero scambiati gli stemmi nei luoghi privati e pubblici, nella sala del maggior Consiglio, sotto l’effige di Jacopo e Lorenzo Tiepolo, e nei loro avelli sul vestibolo della chiesa dei Santi Giovanni e Paolo, ai lati esterni del cassone che chiude fra i due pilastri le salme dei Dogi. Quel Jacopo, primo Duca dell’isola di Candia, che la Repubblica avea comperata da Bonifazio marchese di Monferrato sconfisse i ribelli, fu podestà a Costantinopoli e capitano dell’armata, che si avviava in Terra Santa, e rese Pola e Zara suddite e tributarie. Il figlio Lorenzo fu prode del pari, capitano generale dell’armata contro i Genovesi, vittorioso presso Tiro, e conquistatore di Tolemaide, Principe, della patria il primo che avanti l’incoronazione si portasse in trionfo dalla basilica attorno la piazza nel 1268.
Onorava queste soglie di sua presenza Eugenio Beauharnais Vice Re d’Italia e Arcicancelliere di Stato, e godette dai suoi veroni il passaggio delle sfarzose peotte e dell’eleganti bissone che dal palazzo Pisani fino a Rialto gli sfilarono sotto gli occhi in un fresco. In questi recinti si ammirava un museo classico, che venne illustrato da dotte penne, un medagliere copioso prima istituzione del Senatore Giandomenico Tiepolo, accresciuto col museo di sebastiano Erizzo per le cure del Proc. Lorenzo Tiepolo Bibliotecario della Marciana e del custode letterato Anton M. Zanetti, entrambi rimeritati dal Senato con medaglia d’oro. Qui si conservava il medaglione, unico rimasto, che pendeva dal collare dei quattro cavalli che stanno sul pronao della Basilica, opime spoglie dell’impero greco quando Enrico Dandolo recossi con Lorenzo Tiepolo nel 1202 alla conquista di Costantinopoli. Ora lo custodisce il co. Alvise che abita nel palazzo Maffetti di sua ragione. Stavano pure ad arricchirne le pareti una grande collezione di stampe classiche, una scelta galleria di dipinti, e una pregiata biblioteca per codici mss. e rare edizioni, con lettere di Fra Paolo Sarpi al troppo infelice Antonio Foscarini, di quegli anni che era ambasciatore, lo stesso che giustiziato nel 1622 come reo di Stato, riconoscevasi poi innocente. Merita di essere ricordato tra i signori della magione uno degli ultimi, il co. Domenico Almorò, che con nobile patriottismo propugnando la causa della Repubblica, ne rivendicava la storia dalle accuse vituperevoli del Darù. Egli ospitando un principe in queste soglie, si valse come provveditore della Sanità del privilegio di dare lo spettacolo di una pesca nel canale dei Marani, che era custodito con gelosia ed avea chiusa la foce da una feluca con guardiano illirico.
Ai Coccina ed ai Tiepolo succedettero nella proprietà di questo palazzo i Signori Cornelio, nome caro a Venezia, e un accurato restauro faceva eseguirvi con grande spesa, riabbellendone le pareti Valentino Cornelio, raro uomo che si piange di questi giorni perduto all’amor dei congiunti e degli amici. L’egregio nella gentilezza del cuore poneva affetto a quelle mura sapendole in cento guise illustrate da storiche ricordanze. Sotto il quale aspetto è ben più onorevole dell’erigere, il conservare i monumenti alla patria. Per forza di eventi, tramutato il diritto di proprietà del palazzo nell’inglese Stùrn, questi ne faceva contratto vitalizio col Pourtalès, e quindi per cessione dell’ultimo possessore ne divenivano signori i nobili conti Angelo e Nicolò fratelli Papadopoli, onor di Venezia, stretti ai Cornelio di parentela.(1)
(1) GIANJACOPO FONTANA. Cento palazzi fra i più celebri di Venezia (Premiato Stabilimento Tipografico di P.Naratovich. 1865).
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