Festa per la sventata congiura di Bajamonte Tiepolo avvenuta nel 1310, andata del Doge alla Chiesa dei Santi Vito e Modesto vulgo San Vio (15 giugno)

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Campo San Vio. Sestiere di Dorsoduro

Festa per la sventata congiura di Bajamonte Tiepolo avvenuta nel 1310, andata del Doge alla Chiesa dei Santi Vito e Modesto vulgo San Vio (15 giugno)

Il giorno di San Vito, volgarmente chiamato San Vio, che cadeva ai 15 di giugno era solita la Signoria di recarsi processionalmente alla chiesa, oggi scomparsa, di quella parrocchia, in ricordo della vittoria ottenuta sulla congiura di Baimonte Tiepolo. Era una festa solenne e sua Serenità andava nei peatoni dorati seguito dalla Signoria e dagli Ambasciatori, mentre la processione passava sopra un ponte di legno costruito su vecchie galie di l’Arsenal e che attraversava il Canal Grande da San Maurizio al piccolo campo di San Vito.

I Capi della Quarantia, gran parte del Senato, le alte Magistrature, i Savi degli ordini, accompagnati dalle Scuole Grandi, dai musici di San Marco e da nolti patrizi attendevano il doge in campo San Vio ed il magnifico corteo, preceduto dalle trombe d’argento ducali, dopo aver percorso gran tratto della parrocchia entrava nella chiesa sfarzosamente illuminata e piena di fiori e di drappi storiati. Dopo la festa in chiesa, c’era banchetto a Palazzo.

Il 15 giugno 1510 la festa di San Vio non si fece; “el principe Lunardo Loredan in questo anno non volse fusse fatta et cussi tutta la terra l’have a mal et fo gran mormoration“. Il popolo che l’aveva col doge fin dall’epoca della sua elezione per l’avarizia dimostrata in dar danari, accorse più numeroso del solito in chiesa San Vito, e i ragazzi, cogliendo l’occasione propizia per far baccano, corsero tutta la contrada saccheggiando le botteghe dei fruttaroli. Poi con una bandiera condotti da un tale Checco Bressan calegher in Calle de la Crea a San Gregorio, andarono al palazzo di sier Andrea Da Mula conosciuto per i suoi giudizi poco benevoli verso casa Loredan. Nel cortile, con gran rumore di temburelli, si detterò a cantare

La Signoria, l’ha prohibido
De far la festa de santo Vido ..
Percodda mo? Non se lo sa,
Ma certo xe: che no se fa.
Num ghe xe peste per non far feste
E de penuria no ghe n’è più ..
Ma se a Palazo s’ha decretà
Che no se fa – la femo nu!

Sier Andrea mandò loro confetti e frutta e tra le grida di “Viva el Mula” finì la gazzarra.

Quella fu l’unica volta dal 1312 fino alla caduta della Repubblica, che non ebbe luogo la solenne festa di San Vio. (1)

(1) Giovanni Malgarotto. Il Gazzettino. 5 ottobre 1926

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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