La visita di quattro nobili giapponesi a Venezia

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La delegazione giapponese inviata in Europa nel 1582 In alto da sinistra a destra: Giuliano Nakaura, Diogo de Mesquita, Itō Mancio; in basso da sinistra a destra: Martino Hara e Michele Chijiwa

La visita di quattro nobili giapponesi a Venezia (*)

Narrano gli “Annali della repubblica” che nel mese di giugno 1585 “vennero a Venetia quattro ambasciatori giapponesi li quali alozarono nel monastero de li padri Jesuiti, et furono honorati assai et per loro fo fata solenne processione a santo Marco“.

In quel giorno la Piazza era addobbata con straordinaria magnificenza: bandiere, velluti, damaschi dai balconi, dalle loggie, dagli stendardi e dappertutto una folla enorme di popolo, più che ottantamila persone, fin sui tetti, sulle altane, sulle torri, sulla chiesa di San Geminiano.

Il doge Nicolò da Ponte stava con la Signoria, il Senato, i capi dei Dieci e delle Quarantie, e i quattro giapponesi sopra un palco dinanzi alla chiesa di San Marco, e il doge “hera con habito il più solenne et il più ricco che soglia usare, di finissimo broccato, hornato di pietre pretiose, et rendealo più venerato et maestoso la bella vecchiezza di novanticinque anni sonati“.

Comiciò lenta, tra il suono lieto delle campane e lo squillare allegro delle trombe, a snodarsi la processione: venivano prima i vari ordini monastici, poi il clero con una mirabile ricchezza di vesti sacre e di preziose reliquie portate in tabenarcoli sfolgoranti di oro e di gemme, e poi la Scuole con gli standardi, le torcie istoriate, le immagini sacre con ori, argenti, gioie di cui il Sansovino calcolava il valore a dieci milioni di ducati. Aveva inoltre ciascuna delle sei Scuole grandi ideato varie rappresentazioni o quadri storici o simbolici “de persone vive“, sopra palchi portati dagli Arsenalotti, o tirati su ruote dai “bastasi alle mercantie“, riccamente vestiti dalle Scuola stesse.

Precedeva, prima fra tutte, la scuola di San Marco. Sopra un palco si vedeva una donna bellissima, che una cronaca anonima, ricorda per tale “Marietta Scandelli honorata cortigiana ai santi Apostoli“, splendidamente vestita e ornata di gioie, di perle d’Oriente, rappresentante Venezia. Dinanzi a lei stavano sei confratelli della Scuola in atto interrogativo e lei rispondeva con un motto a grandi lettere scritto “servata paraecepta“.

Seguivano questo palco altri sei, e su ciascuno il santo protettore delle sei Scuole grandi con alcuni confratelli genuflessi d’intorno: un’abbagliante fantasmagorica di costumi, di sete, di colori, una ricchezza magnifica di ori e di argenti. Veniva poi la conversione di santo Aniano operata da San Marco; il miracolo dell’anello in cui si vedeva una barca, vogata da un povero pescatore, con tre santi Marco, Giorgio e Nicolò; e poi, sotto un baldacchino ricchissimo a gran festoni di catene d’oro, sedeva una giovane donna circondata da giovanette, ed era quella Venezia con le virtù, e tale era la magnificenza del palco che si diceva costasse ben duecentomila ducati.

A questo seguivano i palchi simbollegianti il regno di Candia, le isole dell’Egeo, le provincie di terraferma, tra cui la Marca Trevisana, il Friuli, l’Istria, la Dalmazia e le altre sottoposte al veneto dominio.

Dall’alto di un palco bellissimo, con una verde collina da cui zampillava una piccola fonte, stava la Samaritana che porgeva a Gesù l’acqua in un vaso d’argento, e ne spargeva di tanto in tanto anche il popolo che rideva a buttava baci alla santa. La processione seguiva lenta il suo corso e il popolo guardava abbagliato.

Ecco la Scuola della Carità, con i suoi quaranta doppieri dorati e i trenta di purissimo argento, che presenta dodici palchi tra cui quello delle decollazione di San Giovanni Battista raffigurata da un giovane nudo disteso, col capo nascosto e il collo accorciato e insanguinato per modo che pareva proprio decapitato, mentre la testa giaceva pure insanguinata là presso e apparteneva ad altro giovane che, nascosto tutto il resto del corpo, quella sola mostrava. Erodiade nello stesso palco guardava sorridente la morte del santo. 

La Scuola di San Giovanni aveva le quattro stagioni e i quattro Evangelisti: la Scuola di San Rocco aveva Adamo ed Eva, il sacrificio di Abramo, la regina di Saba e Salamone e un palco poi di rara fattura: il Giudizio universale. Stava Gesù sopra un trono eminente circondato da veli, da fiori, da angeli, a destra aveva un cumulo di rose, a sinsitra una spada, quelle per gli eletti, questa per i dannati, dalle tombe uscivano i morti e Gesù giudicava. Isabella, moglie di Lorenzo Dandolo, al buon Gesù, che era Tizianello Vecellio, nipote del gran Tiziano, gettò sorridendo un candido giglio e Gesù sorridendo le gettò la rosa: la cronaca dice che Isabella divenne l’eletta del Tizianello.

La Scuola di San Teodoro comparve con le sue argenterie e nove palchi tra il cui il Santo Sepolcro, San Teodoro e il giudizio di Salamone.

La processione finiva con tutti i componenti delle Scuole minore in ricche vesti a smaglianti colori, ed una selva di gonfaloni di seta, di velluto, di damasco, mandati dalle chiese, dagli ospedali, dagli oratori.

Quasi cento erano i palchi et li ornamenti, li ori, li argenti, le gioie, le perle, le reliquie valevano milioni di ducati d’oro, et solo la grande Venetia dar poteva uno spettacolo tale, vaghissimo et magnifico tra tutti li superbissimi spettacoli“. (1)

(*) Gli ambasciatori erano Mancho Ito (1569-1612) e Miguel Chijiwa (1569-1632), in rappresentanza dei tre signori Otomo Sorin, Omura Sumitada e Arima Harunobu, e Julian Nakaura (1569-1633) e Martino Hara (1567-1620), nobili delle città di Nakaura e Hizen. I quattro nobili erano accompagnati da due servitori i cui nomi, però non sono ricordati; facevano parte della legazione anche due padri gesuiti, Costantino Dourado e Jorge de Loyola. (2)

(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 20 ottobre 1932

(2) https://ilblogdellesca.blogspot.com/2018/10/il-secolo-europeo-in-giappone-parte-3.html  

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