Leonardo Emo, sua moglie Marina e una lettera anonima al Doge

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Palazzo Emo alla Maddalena. Sestiere di Cannaregio

Leonardo Emo, sua moglie Marina e una lettera anonima al Doge

Il 5 ottobre 1507 sulle scale del Palazzo ducale fu trovata una lettera anonima diretta al doge Leonardo Loredan, nella quale si accusavano alcune patrizie, fra cui Marina Emo e Adriana Cappello, di mandare in rovina le loro famiglie con il lusso immodesto proibito dalle leggi. Della lettera anonima non fu tenuto conto per la lege, dice il Sanuto, che non vuol si leza letere senza sotoscrition, ma sebbene bruciata, pure per la indiscrezione di uno dei consiglieri, divenne ben presto nota fra i patrizi.

Chi ne fu maggiormente colpito fu Lunardo Emo, marito di Marina, il quale volle veder chiaro sul lusso della moglie, non essendosi mai accorto che le spese muliebri fossero così ingenti come dichiarava quella lettera.

Chiamò Zuane Barbon fator de le case, el gastaldo de campagna Antonio dalla Croxe ma entrambi affermarono di non saperne nulla. Visitò allora gli armadi dell’appartamento della moglie e scoperse: “veste de scarlato de seda, zambeloti cremisini foderai de volpe, veste de damaschin, de veluto, de restagno d’oro, tutte con ricami, cavezi de raso, de drapo d’arzento et cadene d’oro et balassi et perle ligade in oro“.

Da dove era scaturita tutta quella ricchezza? Il povero nobilomo interrogò allora la Marina, e quella sorridendo rispose: Una bona muier no dà fastidi al marito!. La risposta persuase poco Lunardo; ma non poteva dubitare della fedeltà della moglie che, sebbene bellissima, gli era sempre stata fedele.

Qualche giorno dopo Zuane Barbon, el fator de le case, gli comparve dinanzi, e tutto piangente gli narrò che per ordine della Marina aveva venduto la casa in el confin de san Pollo cum el terren vacuo et di più titoli a prestito dal banco de messer Dandolo seicento ducati.

Lunardo Emo se non fece una malattia fu proprio un miracolo; ma per rifarsi un po’ di quella disgrazia comiciò a vendere le cadene d’oro, i balassi et le perle; poi passò ai zambeloti, ai restagni, ai veludi e visto che quella lettera anonima gli aveva a tempo aperto gli occhi, perdonò alla moglie et a quel can de Zuane Barbon. (1)

(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO ILLUSTRATO, 3 maggio 1925.

 

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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