Il Consiglio dei Dieci e Caterina Querini Durante
L’istituzione del Consiglio dei Dieci rispondeva ai bisogni di un’epoca assai turbolente. Le magistrature ordinarie della Repubblica non davano la sufficiente garanza i per una repressione pronta e radicale dei delitti e delle sedizioni, tanto più che i delinquenti avevano spesso larghe aderenze fra la stessa nobiltà investita di alte cariche. Al Consiglio dei Dieci fu devoluta dunque quell’azione di giustizia che poteva sperarsi da uomini scelti tra il fior fiore del patriziato, ligio ai supremi destini della patria.
Fino allora non erano mancate le leggi repressive contro i riottosi che turbavano la quiete della città; ma il nobile soverchiatore trovava sempre un rifugio sicuro per sottrarsi al rigore della giustizia, oppure alcuni magistrati compiacenti che chiudessero un occhio alle sanzioni. I quali magistrati poi, nobili quasi tutti, dopo avere snocciolato decreti e sentenze contro un sequela di delitti, dopo un gran fracasso di minacce, mettevano ogni cosa nel dimenticatoio, giacché la stessa forza legale finiva col riconoscere le impunità, gli asili, i privilegi di alcune classi.
Il Consiglio dei Dieci, composto di uomini capaci, vincolati da una ben definita responsabilità limitata ad un ristretto circolo di individui, ovviò alle deficienze della magistratura con un’inflessibile volontà che oltrepassava perfino la persona del Doge. Era una specie di “Tribunale Militare” instaurato in tempi calamitosi, dopo le congiure provocate dalla “Serrata del Maggior Consiglio“! Non dobbiamo quindi meravigliarci delle sue ordinanze severe, spesso crudeli, che colpivano anche chi era immune da colpa. Ricordiamo qui il dramma di una vittima di tale situazione.
Caterina, moglie di Nicolò Querini detto Durante, aveva dovuto seguire nell’esilio il marito, complice della congiura del Tiepolo. Per l’infelice sposa furono anni di pene infinite; lontana dai suoi cari congiunti, raminga per il mondo con un marito che sognava un’impossibile riscossa, perseguitata dagli sgherri della Repubblica, Caterina si ammalò. Ma ottenne di tornare in patria solo alla morte del marito, avvenuta dieci anni dopo la sua fuga.
Il 4 febbraio 1321 il Consiglio dei Dieci le permetteva di meter piede in terra di San Marco, confinandola però in un monastero dal quale non potesse in alcun modo uscire senza il permesso dell’autorità. Le fu assegnato il Monastero di Santa Maria di Valverde, presso Mazzorbo, luogo deserto, paludoso e malsano, non troppo indicato per un fisico logorato dagli strapazzi di una vita agitatissima. Appena giunta in questo asilo la Durante peggiorò, onde chiese di poter entrare in Venezia per curarsi. Lunghe e laboriose furono le pratiche per ottenere un atto di semplice umanità.
La giovane donna aveva in Venezia un amico, Angelo Bembo di San Salvatore, il quale l’aveva già una volta aiutata a rientrare nel territorio dello Stato. Questo pietoso patrizio tanto si adoperò da riuscire a smuovere la severità dei Dieci. Fu concesso a Caterina Querini il permesso di risiedere nella capitale per un solo mese pro faciendo se mederi (per farsi medicare). Ma doveva starsene ritirata in casa, senza mai mostrarsi nelle vie, e qualora fosse guarita prima di detto tempo, tornare subito alla sua destinazione di Mazzorbo.
La vedova restò ligia all’ordinanza del Consiglio e fece ritorno tempestivamente al suo monastero. Ma il luogo malsano e la vita chiusa ed inattiva peggiorarono sempre più le sue condizioni di salute. Angelo Bembo ricorse nuovamente al Consiglio dei Dieci il quale per concessione specialissima permise alla Querini di trasferirsi in un convento di Venezia a sua scelta e alle medesime condizioni. Il cambio di ambiente parve giovare al fisico dell’infelice donna. Intanto, essendosi già confiscati i beni di suo marito, i Dieci l’autorizzarono a rivendicare la sua dote ed ogni altro diritto.
Fu un buon auspicio; poco dopo un raggio di sole illuminava la grigia esistenza della martire, poiché un nobile veneziano, forse lo stesso Angelo Bembo, chiedeva di poterla sposare. Deposto l’aborrito nome, Caterina avrebbe potuto finalmente tornare alla vita libera.
Infatti il 27 maggio 1322 la vedova Querini qua confinata fuit morari in quondam monasterium ad voluntatem de Decem sciolta dal suo confino, rientrò nel pieno possesso della sua libertà pro eo quod uxorata est (per essere convolata a nuove nozze). (1)
(1) ATI’. IL GAZZETTINO, 18 ottobre 1934.
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