La dogaressa Morosina Morosini moglie del doge Marino Grimani

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Domenico Tintoretto. La dogaressa Morosina Morosini Grimani ritratta con la Rosa d'oro

La dogaressa Morosina Morosini moglie del doge Marino Grimani

Nella domenica del 4 gennaio 1597, narra la cronaca Caroldo, i Consiglieri del doge, il Senato, gli anziani del Consiglio, le alte magistrature andarono con il Bucintoro a Palazzo Grimani a San Luca sul Canal Grande, oggi Corte d’Appello, a prendere Morosina Morosini moglie del doge Marino Grimani eletto il 26 aprile. Era questa, dalla fondazione della Repubblica veneziana la terza dogaressa che veniva solennemente incoronata e per la grande cerimonia gli apparecchi erano di una ricchezza e di uno sfoggio inusitati.

I beccai, i pescatori, i fruttaioli avevano costruito nel Molo archi altissimi, dipinti con immagini allegoriche, con motti laudativi, con trofei pomposi. La bella principessa percorse il Canal Grande sul Bucintoro, seguito da innumerevoli barche adorne di stoffe preziose scese sulla Piazzetta, e preceduta da più che mille artieri, tutti vestiti di seta, tra la folla gioiosa, entrò nella Basilica e poi in Palazzo Ducale. Quanto la dogaressa mise il piede sulla soglia del Palazzo e mentre saliva per la scala detta scala di Piombo, quasi dirimpetto a quella dei Giganti, tutte le campane di San Marco suonarono a festa, le trombe ducali d’argento squillarono ed ella passò attraverso le sale, splendidamente addobbate dalle venti scuole dell’arte, maestosa, sorridente, commossa.

Il giorno dopo avveniva una nuova cerimonia forse meno sontuosa, ma più importante come fatto storico: papa Clemente VIII mandava alla dogaressa la Rosa d’oro, la splendida rosa a cinque petali di finissimo oro e di gemme che il papa aveva benedetto in San Pietro la quarta domenica di Quaresima. E il prezioso dono, omaggio del Santo Padre, veniva offerto in chiesa di San Marco dal Nunzio apostolico Antonio Graziano, vescovo di Amelia presso Terni e da Raffaele Inviziati, vescovo di Zante. Però il Consiglio dei Dieci, geloso di qualunque glorificazione che non fosse quella della grande Patria, ordinò che dopo la morte della Morosina Grimani la Rosa d’Oro venisse riposta nel Tesoro di San Marco, e poco dopo i cinque correttori della Promissione ducale proibivano qualunque solenne incoronazione di dogaressa per sollievo delle grandi spese che ne derivavano al governo, alle art, al popolo.

Nel 1694 fu tolto alla dogaressa anche l’uso del berrettino ducale, ma rimase la tradizione delle parole a lei indirizzate quando entrava per la prima volta in Palazzo. Il più anziano fra i senatori le ricordava, che se premoriva al marito “Vostra Serenità si come viva è venuta in questo locho a tuor il possesso del palazzo, così vi fo intender et sapere che quando sarete morta vi saranno levate le cervelle, gli occhi e le budelle (*) et sarete portata in questo locho medesimo, dove che per tre zorni haverete a stare avanti che siate sepolta“. (1)

(*) Ciò avveniva per l’imbalsamazione.

(1) Giovanni Malgarotto. IL GAZZETTINO, 31 luglio 1931

FOTO: Alfonso Bussolin. Pubblicazione riservata. Non è consentita nessuna riproduzione, con qualunque mezzo, senza l'autorizzazione scritta del detentore del copyright.

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