La Guerra della Lega di Cambrai (1508-1516). XVI parte

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Mappa storica della Lombardia

La Guerra della Lega di Cambrai (1508-1516). XVI parte

Il papa aderisce all’Imperatore

Difatti il trattato coll’ Inghilterra fu sottoscritto il 5 aprile  comprendendovi altresì i Veneziani, ma con la Spagna non poté convenirsi del rinnovamento della tregua, volendo essa che vi fosse incluso il Milanese, né tampoco si poté venire a componimento con l’imperatore né con gli Svizzeri. Si teneva il papa irresoluto; perciò scriveva il Senato al suo oratore a Roma adoprasse tutto il suo ingegno a muovere il Pontefice a dichiararsi in favore di Francia, la qual cosa quando fosse per indubbi segni manifesta, basterebbe da sé sola senza sparger goccia di sangue ad assicurare l’Italia. Ma furono vani sforzi; che anzi, cedendo alle insinuazioni della parte contraria, vietava ai suoi sudditi di accettar soldo dai Veneziani, e finì con l’entrare nella lega imperiale la quale gli prometteva le agognate Parma e Piacenza. Quindi la Francia armava e la Repubblica, che dal canto suo faceva ogni maggior possibile apparecchio, la sollecitala a togliere ogni indugio. Anche Genova, prossima ad essere venduta al duca di Milano, favoreggiava segretamente i Francesi. E già questi si presentavano a piedi delle Alpi, ove però trovavano chiusi i passi del Monginevro dagli Svizzeri, cui non speravano di forzare, appostati com’ erano in quelle strette gole.

Meraviglioso passaggio dei Francesi per le Alpi

Ma di tale imbarazzo trasse le genti francesi l’ingegno del loro comandante italiano Gian Jacopo Trivulzio. Egli prese a visitare quelle montagne, ricercare ogni passo, indagare ogni via di poter giungere alle spalle del nemico, e deciso si in ultimo per il sentiero che dalle rive della Duranza conduce per Guillestre e per l’Argentiera alle sorgenti della Stura ed ai piani del marchesato di Saluzzo alleato della Francia, volse ogni impegno a ridurre ad effetto l’ardito concepimento.

Pareva impresa non che difficile, impossibile; conveniva superare con cavalli, carri e artiglierie altissimi e dirupati monti, attraversare burroni e precipizi, aprire vie nel sasso, mettersi in sentieri sconosciuti perfino ai mulattieri, praticati soltanto da qualche cacciatore di camosci. A tutto però doveva far fronte l’animo fermo del vecchio Trivulzio, e l’ardore francese nell’affrontare i pericoli. Il Trivulzio adunque e il Borbone guidando l’avanguardia movevano, provvisti di vettovaglie per cinque giorni e seco conducendo gran numero di marraiuoli e guastatori, il 10 agosto da Erubrun e giungevano a San Clemente e a San Crispino terre poste fra le montagne, poi lasciato il Monginevro a sinistra l’esercito passò a guado la Duranza e accampò a Guillestre. Poco più oltre si presentarono le rupi di San Paolo; nessun passaggio colà si apriva; fu d’uopo spaccare quei sassi per giungere a Barcellonetta e tuttavia le difficoltà ad ogni passo aumentavano. Eppure non s’invilivano i soldati, che anzi con novello ardore l’un l’altro animandosi, qua dava no mano a spezzare le rupi, là colle mine a far saltare in aria enormi macigni: questi tiravano con le funi le artiglierie, quelli sulle spalle le portavano. Ove poi si presentavano precipizi si gettavano ponti, ove fra un monte e l’altro alcun passaggio non conduceva, si costruivano gallerie, e talora si alzavano con gli argani i cannoni e si posavano dall’una all’altra vetta o si calavano nella valle. Giammai avevano risonato quelle rupi di tante umane voci, giammai avevano rimbombato a tanto strepito; l’umano ingegno e la natura erano in lotta, e l’ingegno trionfava, e a capo al quinto giorno quei prodi salutavano con grida di gioia le saluzzesi pianure.

Fu stupore, spavento nei nemici, i quali s’avvidero indarno aver guardato il Monginevro e il Moncenisio; fu uno dei più bei fatti nella storia militare, superiore al passaggio d’Annibale che non aveva l’ingombro delle artiglierie, superiore a quello di Napoleone che meno ostacoli ebbe, a vincere. Mentre il grosso dell’ esercito scendeva per quel la via che si era da sé stessa creata, le altre schiere scendevano per la Dragoniera, Rocca Perrotta e Cuneo. Con una di esse La Palisse doveva recarsi da Brianzone a Villafranca e di là passare per Sestieres alle sorgenti del Po formando per tal modo l’ala sinistra, nella quale erano anche il Bajardo, l’Humbercourt e il d’Aubigni. Udito come Prospero Colonna capitano generale del duca di Milano si tratteneva spensieratamente a Villafranca, i Francesi comandati dal La Palisse e dal Bajardo gli furono improvvisamente addosso e il presero prigioniero con la maggior parte dei suoi uomini d’arme e più di settecento cavalli.

Il passaggio meraviglioso delle Alpi e il fatto di Villafranca fecero che gli Svizzeri, molto rimettendo del loro ardire, si ritirassero a Novara.

Battaglia di Marignano

Il Cardona se ne stava coi suoi Spagnoli a Verona, là attendendo i soccorsi di Germania, che mai non venivano, e i sussidi di danaro dalla Spagna che pur da lungo tempo mancavano. Aveva dunque scontente e quasi ribellanti le truppe nel tempo stesso che il re di Francia già pene trava nel Milanese da una parte, mentre Lorenzo da Ceri generale dei Veneziani dall’altra, e l’Alviano, toltosi dal Polesine di Rovigo, si accostava a Cremona. Già vedeva adunque Massimiliano Sforza vacillare di nuovo il suo trono, e dagli Svizzeri che si erano dichiarati suoi difensori poco aveva a sperare, ora inclinando essi agli accordi, ora facendo più dimostrazioni che fatti di guerra. Così si trovavano nel medesimo paese fin quattro eserciti; avevano i Francesi quaranta mila uomini scelti, fra i quali duemila cinquecento uomini d’arme eletti di tutta la nobiltà di Francia, ornati di bellissime armi, portati da prestantissimi cavalli e che, già prese Pavia e Novara, accampavano nella terra di Marignano: da questo alloggiamento erano poco di stanti le genti veneziane le quali occupavano la terra di Lodi ed i suoi contorni, in numero di dodici mila fanti e tre mila cavalli, abbondanti tutti e due gli eserciti di artiglieria e di ogni occorrenza di guerra ma separato l’uno dall’altro dalle posizioni nemiche frapposte. Dalla contraria parte erano altresì due eserciti, quello composto di papali, fiorentini e spagnoli a Piacenza e quello degli Svizzeri a Milano, anch’essi l’uno dall’altro disgiunti.

Aveva già Francesco I avviato alcune pratiche d’accordo con gli Svizzeri, quando essi, ottenuti nuovi rinforzi e credendosi ormai di gran lunga superiori ai Francesi, ogni proposizione di componimento rifiutarono, e la sorte d’Italia si trovò posta tutta di nuovo nell’affronto delle armi.

Uscivano precipitosamente gli Svizzeri da Milano per farsi incontro all’esercito francese che non li attendeva; lo raggiungevano due ore avanti notte ed al primo urto lo disordinarono alquanto. Ma poco stettero i Francesi a riprender animo conducendo lo stesso re la cavalleria, e questa dando addosso furiosamente ai fanti svizzeri ne sciolse le ordinanze, onde si vedevano combattere qua e colà in separati gruppi e spingendosi avanti fino all’artiglieria francese, solo attendere a dar morte al nemico nulla curanti della propria salute. E già calava la notte, né per questo posavano le armi, e la strage continuava più aspra che mai, finché presi da grande stanchezza, ambe le parti ad un tempo ristretto, ciascuna rimanendo nel sito ove si trovava.

Col nuovo giorno, riordinatesi le file, ricominciò il combattimento, il maggiore sforzo succedeva intorno all’artiglieria, gli Svizzeri per occuparla, i Francesi per difenderla, quando l’opportuno arrivo dell’Alviano con parte del suo esercito, fra le grida di Marco!, Marco! tolse loro ogni speranza di sostenersi e pensarono a ripiegare in bella ordinanza verso Milano.

Lettera del provveditore Domenico Contarini

Cosi descriveva questa battaglia Domenico Contarini proveditor generale in una sua lettera dal campo 14 settembre 1515.

Serenissime princeps ecc. Il successo de la felicissima Victoria di questa mattina è stato che raggiunto io con l’esercito di Vostra Serenità lo illustrissimo signor capitanio nostro general qui a Marignano, dove con grandissimo desiderio ne aspettava, prese con sé la bandiera de li suoi zentilhomeni et spensezze (si spinse) avanti dove era reduto lo acerbissimo conflitto, et trovò il combattere in due parti, l’una che combattea era l’antiguarda de l’esercito regio con una grossissima banda de svizzari, la qual etiam venia di continuo fracassata dalle artiglierie della battaglia della maestà cristianissima; un altra parte dei Svizzeri zente ferocissima, si era prolongata per fianco et spontava la retroguarda francese la quale per confessarli el vero era stata due volte rebattuta et perchè la (stanchezza?) del combater la sera innanzi, la notte, e poi la mattina metteva qualche dubbio di pericolo per modo che in mezzo di essi Svizzeri (quali erano da circa cinquemila in uno battaglione) avevano serrado certe lanze francesi nel qual tempo el signor Capitanio nostro sopra giunto con li cinquanta suoi zentilhomeni, facendo animo alla zente francese, con valentissimo animo si  pose in essi svizzeri e con tanto impeto sua eccellenza primamente correndo la lanza guidò detta sua squadra che pareano tanti leoni fra quelle bestial genti fracassate, rompendole e fu gandole di maniera che quelli che non morseno (morirono) sparvero a modo di nuvole e in diverse parli si posero in fuga, onde questa felicissima impresa è causata; perocchè rianimati li francesi li seguitèno parte per certi boschi e parte in alcune case, molini et corti vi, quali alla fine tutti furono tagliati a pezzi. Principe Serenissimo, testor Deum che un Cesare non ebbe mai tanto valore né magnanimità quanto il suo illustrissimo signor Capitano à demostrata et de proprio visu li ne posso far ampia fede appresso che etiam questa Cristianissima maestà e tutti questi signori ampiamente parlino la vittoria esser causata dalla valorosità di sua Eccellenza e dalla temenza avuta per Svizzeri visto soprazonser le floride genti di Vostra Serenità; le quali si presentorono con tanto animo et ordine che francesi non si ponno tenere di ragionare e se mezzora innanzi giongea la fanteria nostra, nessuno svizzero ritornava addietro; pur in assai bella e buona occasione gionseno unitamente. Tutta questa notte passata et etiam questa mattina questi signori francesi hanno fatto un bravo combattere che non vi si potria punto adgiongere al valor suo, sì le fantarie come le genti d’armi, che grandissima strage hanno latto degl’inimici et senza fine, et tanti sono li corpi morti che non se ne trova numero; di francesi sono pochissimi morti, ma feriti sì, e deli primi signori condottieri deli nostri è solo mancato il sig. Chiapino Orsino, ed alcuni feriti, ma notte non de conto il magnifico la domino Mercurio, quale questa notte ed oggi con la compagnia sua ha fatto valorosamente ha fatto valorosamente è pur ancor ferito un poco nella barba. Circa duecento nomini d’ arme del duca et una banda di svizzeri et assai numero di milanesi posti in rotta sono campati, accompagnati però da domino Mercurio fino nelli borghi di Milano e hanno lasciato quelle artiglierie che avevano, che per quello se dise sono circa pezzi tredici. Questi magnifici oratori in vero hanno fatto oggi officio non da oratori ma da veri capitani e molto più di quello che se li richiede, del che meritano essere commendati. Fussemo con lo Illustris simo signor Capitanio a rallegrarsi con la Maestà Cristianissima qual trovassimo a tavola, mi abbracciò con grandissima accoglienza e disse a sua eccellenza: monsignor Vuj ne avete data la vittoria e lo scrivemo a madonna nostra madre; ringraziando molto la Celsitudine vostra e volle che disnassimo con Sua Maestà, e non volendo noi, ne fece istanza che andassimo a mangiare con Monsignor Gran Maestro con il quale ci rinfrescassimo alquanto e tutti uno ore commendano il bell’esercito di Vostra Sublimità alla quale non voglio restar di notare che svizzeri, iudicando la vittoria per loro, aveano mandato forse ducento fanti qui a Marignano per tagliare un ponte che è sopra Lambro persuadendosi di romper francesi e guadagnar tutti li cariaggi, quali sono stati tutti tagliati a pezzi. Il clarissimo mio collega questa mattina si appresentò nella spianata e dopo stato dalla Maestà Cristianissima si è ritornato a Lodi per far spedire le artiglierie a Crema et intertenir quelle fanterie li: restami solum a dir a Vostra Eccellenza che la Maestà del Re oggi ha dimostrato tal valore della persona sua che mille Cesari avria superato ed ha fatto tal fatica da ieri in qua che è cosa maravigliosa a credere che la età di Sua Maestà lo patisca; pure a laude de Dio sta bene. Non mi par che li abbia da dir altro se non che con grandissima istanza si mandi danari, ecc. perché il sig. Capitano voi mandar una paga a tutte le zente nostre. Me raccomando alla Serenità vostra. Grazie. Ex castris felicissimis ad Marignanum die 14 septembris hora prima noctis. In questa hora el signor Capitanio mi ha mandato a dire che la maestà del re li ha fatto intendere voler veder doman questo esercito in battaglia“. 

I Francesi padroni di Milano

Questa fu la famosa battaglia di Marignano combattuta il 15 e 14 settembre 1515, nella quale il re diede prove di meraviglioso coraggio e di singolare fermezza nel sostenere i disagi e le fatiche del campo, battaglia di cui da moltissimi anni non si era veduta eguale in Italia e che il Trivulzio chiamava battaglia da giganti. Fu per essa aperta l’ Italia al vincitore. Perché gli Svizzeri, deposto ogni pensiero di difendere Milano, levate le insegne e lasciato solo il presidio dei loro fanti nel castello ove Massimiliano Sforza era stato costretto ritirarsi, si ritornarono alle case loro; il viceré che non s’era levato dal Piacentino, caduto ormi di ogni speranza di poter difendere lo Stato di Milano, si ritirò in Romagna e poi nel regno di Napoli, e le truppe pontificie imitarono, ritirandosi, l’esempio. Perciò Milano mandò tosto ad implorare la grazia del vincitore, e Massimiliano Sforza assediato nella rocca, cedendo alle forze nemiche, capitolò, rinunziando a Francesco ogni sua ragione sullo Stato di Milano e ritirandosi con conveniente appannaggio a vivere in Francia. Tenne il re il suo solenne ingresso in Milano e i Veneziani non tardarono a mandargli quattro ambasciatori, cioè Giorgio Cornaro, Andrea Gritti, Antonio Grimani e Domenico Trevisano, con lettere di congratulazione a lui e alla madre, non che al capitano generale l’Alviano, il quale ebbe ordine di tosto volgersi al riacquisto di Brescia, già avuto Bergamo subito dopo la rotta degli Svizzeri.

Morte dell’Alviano cui succede nel comando Giajacopo Trivulzio

Egli si preparava appunto all’oppugnazione quando colto da grave infermità passò di questa vita (7 ottobre 1515), capitano certamente dei più distinti, ma per lo più infelice nelle sue imprese, ed ora, che ottenuti prosperi successi l’anno innanzi nel Friuli e nel Polesine di Rovigo, allargava il cuore a belle speranze, veniva da morte rapito. Il suo corpo fu portato a Venezia ove gli si celebrarono con molta magnificenza le esequie e fu con orazione funebre lodato da Andrea Navagero, uomo di eccellente ingegno, e chiaro per l’erudizione delle lettere e per gli studi della eloquenza. Fu sepolto l’Alviano a santo Stefano e alla vedova e al figlio, rimasti in povertà, assegnò il Senato ducati sessanta il mese, diede comoda casa in città, ed esenzione di dazi per le cose loro occorrenti, come assegnò
altresì alle sue tre figliuole ducati tremila per ciascuna al loro maritare.  (1) … segue.

(1) SAMUELE ROMANIN. Storia Documentata di Venezia Tomo V. Tipografia di Pietro Naratovich 1856.

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